Fatma al-Arwali, 34 anni, attivista yemenita per i diritti delle donne, è a rischio di imminente esecuzione.
Il 5 dicembre 2023 un tribunale di Sana’a, nella zona dello Yemen controllata dal gruppo armato huthi, l’ha giudicata colpevole di aver fornito informazioni coperte dal segreto militare agli Emirati Arabi Uniti, principali partner della campagna di bombardamenti avviata nel 2015 dall’Arabia Saudita.
All’epoca dell’arresto, Fatma al-Arwali era a capo dell’ufficio yemenita dell’Unione per la leadership femminile della Lega araba. Il 13 agosto 2022 la sua auto è stata fermata a un posto di blocco. Le forze di sicurezza huthi l’hanno poi sottoposta a sparizione forzata per circa otto mesi, negando ogni informazione alla famiglia che la cercava nelle stazioni di polizia e nella prigione di Sana’a. La famiglia ha poi appreso in modo informale che si trovava in un centro di detenzione della capitale. Il suo processo è stato farsa e deve essere annullato.
Diciamo NO alla condanna a morte per Fatma al-Arwali.
Ansarullah Spokesperson
Mohamed Abdelsalam
Email: mdabdalsalam@gmail.com
X/Twitter: @abdusalamsalah
Egregio Mohamed Abdelsalam,
Le esprimo profonda preoccupazione per la situazione di Fatma al-Arwali, un’attivista per i diritti umani a rischio di esecuzione, dopo che il Tribunale penale speciale (SCC) di Sana’a, controllato dagli huthi, l’ha condannata a morte il 5 dicembre 2023, al termine di un processo gravemente iniquo. I timori sono aumentati dopo che suo fratello ha ricevuto, il 18 gennaio 2024, una telefonata da un numero sconosciuto nella quale gli è stato detto che la sorella sarebbe stata messa a morte il 21 febbraio 2024 in piazza Tahrir a Sana’a, la capitale dello Yemen. Il 21 gennaio 2024, durante una visita al centro dei servizi di sicurezza e intelligence nel quartiere di al-Siyasi a Sana’a, i funzionari hanno negato che fosse stato emesso un ordine di esecuzione.
Il 13 agosto 2022, le forze di sicurezza huthi hanno arrestato Fatma al-Arwali a un posto di blocco ad al Manshour, nel governatorato di Ta’iz. La donna è stata sottoposta a sparizione forzata per circa otto mesi durante i quali i suoi familiari l’ha cercata in ogni stazione di polizia e prigione di Sana’a, ma le autorità hanno negato loro qualsiasi informazione sulla sua sorte e su dove si trovasse. La famiglia ha poi appreso in modo informale che dopo il suo arresto era stata trattenuta senza contatti col mondo esterno presso il centro di detenzione di sicurezza e intelligence di Chamlan, a Sana’a, dove si trova tuttora. La sparizione forzata è un crimine di diritto internazionale.
Il 31 luglio 2023 si è aperto il procedimento penale contro Fatma al-Arwali, accusata di aver collaborato con gli Emirati Arabi Uniti e di aver fornito coordinate per rivelare le posizioni delle forze armate Huthi e dei “comitati popolari”, accuse che comportano la condanna a morte, oltre all’aver usato un documento d’identità falso. Il suo caso è stato deferito all’SCC.
A Fatma al-Arwali è stato negato il diritto a un giusto processo. Il 19 settembre 2023, durante la sua prima udienza, il giudice ha rifiutato di iscrivere la presenza del suo avvocato negli atti del tribunale e membri dei servizi di sicurezza e intelligence hanno cercato di allontanarlo dall’aula. Il giudice ha poi riferito a Fatma al-Arwali che non c’era bisogno di un avvocato. Fatma Al-Arwali ha dichiarato al giudice che si trovava detenuta in una stanza sottoterra, in condizioni crudeli e inumane. Ha anche chiesto di vedere i suoi figli.
Il 5 dicembre 2023, il tribunale l’ha dichiarata colpevole di aver “aiutato un paese nemico” e l’ha condannata a morte. Sebbene secondo la legge yemenita Fatma al-Arwali abbia il diritto di chiedere all’Alta corte la revisione della sentenza, sono forti le preoccupazioni sull’indipendenza e imparzialità di quest’organo giudiziario.
Esortiamo le autorità huthi ad annullare la condanna a morte e garantire a Fatma al-Arwali un nuovo processo equo davanti a un tribunale competente, indipendente e imparziale, senza che vi sia ricorso alla pena capitale. In caso contrario, la donna dovrà essere immediatamente scarcerata e le sue accuse ritirate. Nel frattempo, chiediamo che la famiglia e l’avvocato possano incontrare Fatma al-Arwali e che le condizioni di detenzione siano conformi agli standard internazionali sul trattamento dei prigionieri.
La ringrazio per l’attenzione
Considerata la natura irreversibile della pena di morte, i procedimenti nei casi capitali devono rispettare scrupolosamente tutte le norme internazionali che tutelano il diritto a un giusto processo. Chiunque sia arrestato o detenuto con un’accusa penale deve essere trattato nel pieno rispetto degli obblighi in materia di diritti umani dello Yemen, compreso il diritto a un giusto processo. Questi includono il diritto di scegliere il proprio avvocato; accedere a un’efficace assistenza legale dal momento dell’arresto e durante tutta la fase istruttoria e dibattimentale; essere portato tempestivamente davanti al giudice civile ordinario; contestare la legittimità della detenzione dinanzi a un tribunale indipendente e imparziale; beneficiare della presunzione d’innocenza; rimanere in silenzio e non essere costretto ad autoincriminarsi o a confessare la propria colpa; ottenere pieno accesso alle prove pertinenti; non essere detenuto con accuse vaghe; esaminare e controinterrogare i testimoni; ricevere un’equa udienza pubblica davanti a un tribunale competente, indipendente e imparziale; e di ricevere una sentenza pubblica e motivata.
Dal 2015, Amnesty International ha documentato i casi di oltre 60 persone che sono state portate dinanzi al Tribunale penale speciale di Sana’a, tra cui giornalisti, difensori dei diritti umani, oppositori politici e membri di minoranze religiose, che sono stati sottoposti a processi iniqui sulla base di false accuse o invenzioni di questo tribunale. Praticamente tutti sono stati processati con l’accusa di spionaggio, punibile con la morte secondo la legge yemenita.
Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi, senza eccezioni. La pena di morte è una violazione del diritto alla vita proclamato nella Dichiarazione universale dei diritti umani e la massima punizione crudele, inumana e degradante. Amnesty International ha costantemente invitato tutti gli Stati che mantengono la pena di morte a istituire una moratoria ufficiale sulle esecuzioni, con l’obiettivo di abolirla completamente.