Missione di Amnesty International dal Kenya: elezioni, violenza e caos

31 Ottobre 2017

© AFP/Getty Images

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Amnesty International ha reso note le prime conclusioni della missione di ricerca svolta in Kenya in occasione della ripetizione delle elezioni presidenziali.

Nella città occidentale di Kisumu, dove forze di polizia munite di armi pesanti stanno usando illegalmente la forza contro manifestanti e semplici passanti, è in corso quella che appare una campagna punitiva diretta a chi continua a protestare contro l’esito delle caotiche elezioni della scorsa settimana.

A Nairobi, la brutalità delle forze di polizia è stata accompagnata da atti di violenza e intimidazioni tra i sostenitori dei due più importanti esponenti politici del paese, il presidente uscente Uhuru Kenyatta e il leader dell’opposizione Raila Odinga.

“A Kisumu le forze di polizia hanno aperto il fuoco, aggredito persone e persino fatto irruzione nelle abitazioni di persone sospettate di aver preso parte alle proteste. Ma ne hanno fatto le spese anche persone che semplicemente si trovavano nei pressi delle manifestazioni: chi stava acquistando cibo al mercato, chi tornava a piedi da scuola o chi riposava in casa propria”, ha dichiarato Justus Nyang’aya, direttore di Amnesty International Kenya.

“Stiamo assistendo a un’azione punitiva, un palese tentativo di intimidire e punire chi abita in una roccaforte dell’opposizione”, ha aggiunto Nyang’aya.

Uccisioni e uso indiscriminato delle armi da fuoco

Il 26 ottobre a Kisumu le forze di polizia hanno ucciso almeno due persone. Un terzo uomo è morto a seguito di ferite inferte con un grande corpo contundente ma le circostanze della sua morte restano sconosciute.

Sempre il 26 ottobre un attivista è stato ucciso nello slum di Mathare Nord, nella capitale Nairobi. Le prove sin qui disponibili indicano che a sparargli siano state le forze di polizia intervenute nello slum per affrontare le proteste. La polizia non ha confermato l’accaduto.

A Kisumu, Amnesty International ha incontrato sette persone, tra cui un 16enne, colpite dai proiettili delle forze di polizia. Nella maggior parte dei casi si è trattato di vittime casuali del fuoco aperto a casaccio dagli agenti contro le persone che prendevano parte alle proteste.

“L’uso indiscriminato di proiettili veri contro i manifestanti dev’essere fermato immediatamente. Le armi da fuoco non dovrebbero mai essere usate per disperdere la folla. Agli agenti di polizia devono essere impartite chiare istruzioni affinché usino solo i metodi consentiti dalla legislazione nazionale e dal diritto internazionale”, ha chiarito Nyang’aya.

Sempre a Kisumu, Amnesty International ha incontrato altre sette persone aggredite e ferite da agenti di polizia tra il 24 e il 27 ottobre, in quattro dei casi dopo che le forze di polizia avevano fatto irruzione nelle loro abitazioni.

Un uomo di circa 30 anni, che vende cibo cucinato dalla madre, ha riferito di essere stato colpito mentre si stava recando al mercato di Kondele per acquistare delle verdure. Quando ha visto gli agenti armati, si è inginocchiato e ha alzato le mani. Un agente ha sparato alla sua mano sinistra ferendolo al dito anulare. Un secondo agente lo ha trascinato presso una fogna costringendolo a bere le acque di scarico. Poi l’uomo è stato picchiato e colpito col calcio di una pistola sul dito precedentemente ferito.

La gravità delle ferite riportate da alcune delle vittime lascia intendere che le forze di polizia abbiano fatto ricorso a un livello estremo di violenza.

Sempre a Kondele, alle 8 di sera del 27 ottobre, un uomo inseguito dalle forze di polizia ha cercato riparo in casa:

“Ho chiuso a chiave la porta di casa, ma gli agenti l’hanno sfondata. Hanno iniziato a picchiarmi sulla testa coi manganelli, ho cercato di proteggermi con le braccia e hanno preso a colpire ovunque. Ho la schiena e le costole doloranti”.

All’uomo sono state diagnosticate una frattura al cranio e varie ferite a un braccio. Sono stati necessari alcuni punti di sutura sotto gli occhi: “Come se avesse avuto un incidente in motocicletta”, ha sintetizzato un medico.

Otto agenti armati hanno fatto irruzione nell’abitazione di una donna, iniziando a picchiare il figlio ventenne. Quando lei ha supplicato di smetterla, l’hanno presa a calci sullo stomaco:

“Sono entrati in casa dicendo ‘Siete voi quelli che hanno lanciato i sassi’. Ho detto che non eravamo stati noi. Allora ci hanno ordinato di mostrare le mani, le hanno osservate e hanno concluso che erano mani di chi aveva lanciato sassi. Allora hanno iniziato a picchiarci”.

Quando Amnesty International ha incontrato suo figlio, questi aveva ancora evidenti segni di ferite a un occhio.

Lei e altre cinque persone hanno trascorso la notte in una scuola per timore di ulteriori irruzioni nelle abitazioni.

“Sebbene alcune delle proteste di Kisumu siano state violente, con lanci di pietre e di fionda, la risposta delle forze di polizia è stata gravemente sproporzionata e a volte ha somigliato più ad azioni di rappresaglia che a legittime operazioni di controllo dell’ordine pubblico”, ha commentato Nyang’aya.

Nairobi: la polizia nega

Nella capitale, la polizia continua a negare di aver aperto il fuoco in diverse circostanze.

Oltre all’uccisione dell’attivista di Mathare Nord del 26 ottobre, secondo alcune fonti negli ultimi giorni e nella stessa zona sono state ferite a colpi d’arma da fuoco almeno altre quattro persone. Amnesty International ha anche ricevuto informazioni credibili su pestaggi ad opera della polizia.

Amnesty International ha seguito ulteriori casi di uso eccessivo della forza nel giorno delle elezioni e in quelli successivi. Molti di questi casi non sono stati denunciati alla polizia o sono stati negati da quest’ultima. Le vittime hanno estrema paura di raccontare l’accaduto, temendo ritorsioni.

Le indagini sono essenziali

Sia a Nairobi che a Kisumu le forze di polizia hanno dovuto affrontare proteste e, in alcune zone, i tentativi di impedire l’apertura dei seggi o d’intimidire i votanti. La polizia ha il dovere di assicurare che chi intende recarsi a votare possa farlo in condizioni di sicurezza e può reagire nel caso in cui le proteste diventino violente ma solo ricorrendo alla forza minima necessaria per gestire la situazione.

L’uso delle armi da fuoco è giustificato solo quando le forze di polizia, o singole persone che dovrebbero proteggere, sono di fronte a un’imminente minaccia di morte o di ferimento grave. In nessuno dei casi riferiti ad Amnesty International la polizia ha agito in modo legittimo e proporzionato alla minaccia.

Molte delle persone raggiunte da proiettili paiono essere state colpite poiché gli agenti hanno aperto il fuoco in modo indiscriminato, anche nei confronti di persone che in tutta evidenza si stavano limitando a osservare le proteste.

Tutti i casi in cui un pestaggio risulta intenzionale costituiscono una violazione dei diritti umani.

“Il fatto che le forze di polizia rifiutino di fornire informazioni sulle uccisioni è profondamente preoccupante. Su ogni caso del genere, l’Autorità indipendente di monitoraggio delle operazioni di polizia dovrebbe avviare indagini immediate”, ha commentato Nyang’aya.

“Se si vuole che l’azione delle forze di polizia sia posta a freno e risulti conforme alle linee guida riconosciute a livello internazionale sul mantenimento dell’ordine pubblico, è fondamentale che coloro che le hanno violate e chi era in posizione di comando nei loro confronti siano portati di fronte alla giustizia”, ha concluso Nyang’aya.

FINE DEL COMUNICATO

Roma, 31 ottobre 2017

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