Messico: le detenzioni arbitrarie affliggono il “nuovo” sistema giudiziario

13 Luglio 2017

© Itzel Plascencia López/Sopitas.com

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La combinazione deleteria di un sistema giudiziario difettoso, gli agenti di polizia non addestrati e l’impunità in generale incoraggiano detenzioni arbitrarie e portano alla tortura, alle esecuzioni e alle sparizioni forzate, ha dichiarato Amnesty International lanciando un nuovo rapporto.

“Falsi sospetti: le detenzioni arbitrarie della polizia in Messico” dimostra come la polizia in Messico trattiene costantemente le persone per estorcere confessioni in modo arbitrario. Inoltre, spesso si portano prove cercando di dimostrare che si sta facendo qualcosa per affrontare la criminalità o punire gli individui per il loro attivismo dei diritti umani. Il rapporto si basa su interviste confidenziali con i membri della polizia e del sistema giudiziario.

“Il sistema giudiziario in Messico è completamente inadatto allo scopo e per questo sta deludendo il larga misura la popolazione”, ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, direttrice di Amnesty International per le Americhe.

“La polizia sembra trattenere le persone per nessun altro motivo se non per fingere che siano state intraprese azioni per combattere la criminalità. In definitiva non raggiunge nulla e mette tutti nel paese in pericolo di violazioni dei diritti umani, inclusi torture e altri maltrattamenti”.

Le detenzioni arbitrarie possono facilmente portare ad altre violazioni dei diritti umani, come la tortura, la sparizione forzata e le esecuzioni extragiudiziali.

Il 25 febbraio 2016, gli agenti di polizia di X-Can, una piccola comunità nella penisola dello Yucatán nel Messico meridionale, hanno arrestato arbitrariamente José Adrián, un ragazzo disabile di 14 anni, e lo hanno accusato di lanciare pietre alla loro macchina.

Gli agenti di polizia non hanno detto a José Adrián perché è stato arrestato e non hanno contattato la sua famiglia. Invece, lo hanno picchiato, gli hanno tolto la camicia e l’hanno ammanettato. Poi lo hanno portato in una vicina stazione di polizia dove lo hanno appeso per le manette e lo hanno picchiato mentre era sospeso per costringerlo a confessare.

Quando i genitori di José Adrián lo hanno finalmente trovato, sono stati invitati a pagare circa 138 dollari per il danno all’auto e 39 dollari come ammenda. Le autorità locali hanno detto che se non avessero pagato, José Adrián non sarebbe stato rilasciato, perciò alla fine hanno messo insieme i soldi e pagato l’ammenda.

La famiglia ha presentato una denuncia dinanzi alla Commissione per i diritti umani statali e alla Procura di Stato, ma 18 mesi dopo ancora non sono stati informati di eventuali sviluppi nell’inchiesta.

Nel giugno 2016, il Messico ha applicato un nuovo codice procedurale in tutto il paese, che ha dato alla polizia più poteri per condurre indagini. Il codice ha lo scopo di accelerare le indagini penali.

In pratica, tuttavia, la legge non viene correttamente applicata, con molti agenti di polizia non adeguatamente formati e che non rispettano la premessa fondamentale della presunzione di innocenza – un diritto umano fondamentale.

In un’ammissione sconvolgente, un agente di polizia ha dichiarato ad Amnesty International che non ritiene importante rendere i detenuti consapevoli dei loro diritti umani. Ciò richiama l’atteggiamento di un gran numero di funzionari dell’applicazione della legge che violentemente e ingiustamente violano i diritti umani delle persone con cui interagiscono.

I membri della magistratura non solitamente non mettono in dubbio la fonte delle prove presentate dalla polizia, anche se sanno che in molti casi la polizia presenta elementi di prova per incriminare le persone, specialmente nei crimini legati a rapine, armi e traffico di droga.

Molti membri della magistratura, la polizia e l’ufficio del procuratore generale hanno denunciato ad Amnesty International la mancanza di risorse (incluso personale, veicoli, telefoni e esperti forensi) per risolvere i delitti. I membri della magistratura hanno ammesso di affrontare la pressione dei loro superiori, e persino dell’esecutivo, per deliberare in un determinato modo in casi rilevanti.

Lo studente universitario e attivista per i diritti umani Enrique Guerrero Aviña sta languendo in una prigione federale di massima sicurezza nello stato di Jalisco, da quando è stato arrestato illegalmente dalla polizia federale in borghese a Città del Messico nel maggio 2013.

Dal momento del suo arresto, Enrique è stato picchiato e umiliato. È stato poi portato in una località non identificata dove è stato torturato con pugni, soffocamenti e minacce alla sua famiglia, mentre veniva interrogato circa il suo lavoro sui diritti umani.

Il  giorno dopo, è stato portato all’ufficio del procuratore generale dove è stato torturato di nuovo mentre la polizia cercava di costringerlo a confessare un rapimento – cosa che ha rifiutato di fare. È stato poi interrogato e accusato di essere coinvolto nella criminalità organizzata e in un rapimento insieme altre dodici persone che avevano a loro volta detto di essere state torturate per confessare. Enrique rimane ancora in detenzione preventiva, quattro anni dopo il suo arresto.

“Questa ricerca dimostra che tutti sono a rischio di detenzione arbitraria in Messico, e che si è più a rischio se si è poveri, si indossano abiti sbagliati o si lavora per difendere i diritti umani. Il sistema messicano sembra essere progettato per fare tutto ciò che serve per mantenere le carceri piene. Questo deve cambiare, e cambiare velocemente”.

FINE DEL COMUNICATO

Roma, 13 luglio 2017

Il rapporto “Falsi sospetti: le detenzioni arbitrarie della polizia in Messico” è disponibile (dal 13 luglio 2017).

Per interviste:

Amnesty International Italia – Ufficio Stampa

Tel. 06 4490224 – cell. 348 6974361, e-mail: press@amnesty.it