Myanmar: campagna di terra bruciata alimenta la pulizia etnica dei rohingya, accusa Amnesty International

14 Settembre 2017

© K. M. ASAD/AFP/Getty Images

Tempo di lettura stimato: 11'

In evidenza:

  • oltre 80 incendi appiccati dal 25 agosto;
  • oltre 370.000 rohingya fuggiti attraverso il confine col Bangladesh in meno di tre settimane;
  • testimonianze di attacchi pianificati, deliberati e sistematici.

Amnesty International ha diffuso nuove prove sulla campagna su scala massiccia di terra bruciata in corso nello stato di Rakhine, dove le forze di sicurezza di Myanmar e gruppi di vigilantes danno fuoco a interi villaggi abitati dai rohingya e sparano contro le persone in fuga.

L’analisi dei dati dei rivelatori satellitari antincendio, delle immagini satellitari, delle riprese fotografiche e video dal terreno, così come decine di testimonianze oculari tanto in Myanmar quanto in Bangladesh hanno portato l’organizzazione per i diritti umani a concludere che da quasi tre settimane è in corso una campagna coordinata di incendi sistematici dei villaggi rohingya nello stato di Rakhine.

“Le prove sono inconfutabili: le forze di sicurezza stanno dando alle fiamme lo stato di Rakhine in una campagna mirata per costringere i rohingya a lasciare il paese. Non c’è alcun dubbio: si tratta di pulizia etnica”, ha dichiarato Tirana Hassan, direttrice di Amnesty International per le risposte alle crisi.

“Il modello è chiaro e sistematico. Le forze di sicurezza circondano un villaggio, sparano alle persone in fuga e in preda al panico e poi danno alle fiamme le abitazioni. In termini giuridici, questi sono crimini contro l’umanità, ossia attacchi sistematici e deportazione forzata di civili”, ha precisato Hassan.

Incendi mirati su vasta scala

Dal 25 agosto, quando l’esercito di Myanmar ha lanciato un’operazione militare a seguito degli attacchi del gruppo armato Esercito di salvezza dei rohingya dell’Arakan (Asra) contro una serie di posti di blocco della polizia, Amnesty International ha osservato almeno 80 vasti incendi in aree abitate. Negli ultimi quattro anni i sensori satellitari non hanno mai rilevato incendi di simile portata in un intervallo di tempo analogo.

Gli incendi hanno interessato ampie parti delle zone abitate dai rohingya nello stato di Rakhine. Sebbene sia impossibile valutare in modo indipendente e sul posto i danni causati dagli incendi a causa delle restrizioni imposte dal governo di Myanmar, con ogni probabilità sono stati dati alle fiamme interi villaggi e decine di migliaia di persone terrorizzate hanno dovuto fuggire.

Amnesty International ha messo a confronto le immagini satellitari con le testimonianze oculari e le riprese da terra delle abitazioni incendiate.

Il numero effettivo degli incendi e delle proprietà distrutte è destinato a essere più alto, poiché la copertura nuvolosa tipica della stagione monsonica ha reso difficile al satellite fotografare tutti gli incendi. Per di più, focolai più piccoli possono non essere rilevati dai sensori satellitari.

Le immagini dal satellite del villaggio di Inn Din, in una zona etnicamente mista a sud di Maungdaw, mostrano chiaramente che nella zona abitata dai rohingya le abitazioni sono state incendiate e che in quella non abitate dai rohingya sono rimaste intatte.

Un uomo di 27 anni di Inn Din ha raccontato ad Amnesty International che il 25 agosto i soldati, accompagnati da un piccolo gruppo di vigilantes, ha circondato il villaggio sparando in aria. Una volta entrati hanno cominciato a sparare a caso contro i rohingya in fuga. L’uomo si è nascosto in una foresta vicina da cui ha osservato i militari rimanere per tre giorni nel villaggio, saccheggiando e incendiando le case.

Lo stesso ha riguardato i centri urbani. A Maungdaw, i quartieri abitati prevalentemente dai rohingya sono stati dati alle fiamme, diversamente da quanto accaduto in altre zone della città che non sono abitate dai rohingya.

Attacchi sistematici e coordinati

I testimoni oculari rohingya sia nello stato di Rakhine che tra i rifugiati in Bangladesh hanno descritto l’agghiacciante modus operandi delle forze di sicurezza: soldati, agenti di polizia e vigilantes circondano un villaggio e sparano in aria prima di entrare, ma spesso fanno irruzione sparando a casaccio in tutte le direzioni e centrando le persone in fuga.

Mentre gli abitanti dei villaggi sopravvissuti cercano di lasciare la zona, le forze di sicurezza incendiano le case con la benzina o con lanciarazzi da spalla.

L’8 settembre un uomo di 48 ha visto esercito e polizia fare irruzione nel villaggio di Yae Twin Kyun, a nord di Maungdaw: “Quando sono entrati, i soldati hanno iniziato a sparare e la gente impaurita ha cercato di fuggire. Ho visto i soldati sparare a molte persone e uccidere due ragazzi. Poi hanno incendiato le nostre case. Delle 900 case che componevano il nostro villaggio, se ne sono salvate solo 80. Ora non è rimasto più nessuno neanche per seppellire i cadaveri”.

Amnesty International ha potuto confermare gli incendi anche attraverso le fotografie scattate lungo la riva del fiume Nef, in Bangladesh, da cui si vedevano alte colonne di fumo levarsi dall’interno di Myanmar.

Questa è la testimonianza di un uomo che il 26 agosto è fuggito da Myo Thu Gyi, nella zona di Maungdaw:

“I militari hanno attaccato alle 11 di mattina. Per un’ora, hanno sparato contro le case e le persone. Quando si sono fermati, ho visto il cadavere di un mio amico lungo la strada. Alle 16 sono tornati e hanno ripreso a sparare. Dopo la fuga degli abitanti, hanno dato fuoco alle case con la benzina e i lanciarazzi. Gli incendi sono durati tre giorni. Ora non c’è più alcuna casa in piedi. Sono state bruciate completamente”.

Usando i rivelatori satellitari d’incendio, Amnesty International ha potuto verificare che il 28 agosto a Myo Thu Gyi erano in corso vasti incendi.

Particolarmente sconcertante è la circostanza che in alcune zone le autorità abbiano avvisato i villaggi che le loro case sarebbero state date alle fiamme: una chiara indicazione che gli attacchi erano sia deliberati che pianificati.

A Kyein Chaung, sempre a Maungdaw, secondo il racconto di un uomo di 47 anni, l’amministratore del villaggio ha radunato i rohingya e li ha informati che l’esercito avrebbe potuto di lì a poco dare fuoco alle loro abitazioni, incoraggiandoli a cercare riparo fuori dal villaggio lungo la riva del fiume. Il giorno dopo, 50 soldati hanno circondato il villaggio e sono entrati, dirigendosi verso i rohingya sulla banchina e sparando contro di loro. Per chi non sapeva nuotare non sono rimaste alternative di fuga. I soldati si sono accaniti contro gli uomini, aprendo il fuoco da distanza ravvicinata e accoltellando chi non era riuscito a fuggire.

Un uomo del villaggio di Pan Kyiang nella zona di Rathedaung ha raccontato la stessa scena. La mattina del 4 settembre i soldati sono arrivati insieme all’amministratore del villaggio: “Ci ha detto che sarebbe stato meglio andar via entro le 10 del mattino poiché dopo sarebbe stato incendiato tutto”. Mentre i suoi familiari si preparavano a lasciare il villaggio, ha visto quella che ha descritto come “una palla di fuoco” incendiare la sua abitazione. Altri abitanti che si erano nascosti in una risaia hanno visto i soldati dare fuoco alle case usando probabilmente dei lanciarazzi.

Le autorità di Myanmar hanno negato che le loro forze di sicurezza siano responsabili degli incendi e, incredibilmente, hanno accusato gli stessi rohingya di aver dato fuoco alle loro abitazioni.

“Il tentativo del governo di accusare la popolazione rohingya è una clamorosa bugia. Le nostre ricerche mostrano senz’ombra di dubbio che sono state le forze di sicurezza di Myanmar, insieme a gruppi di vigilantes, a incendiare le case dei rohingya”, ha commentato Hassan.

Amnesty International ha anche ricevuto resoconti che appaiono credibili di militanti rohingya che hanno dato fuoco alle abitazioni di persone di etnia rakhine e di appartenenti ad altre minoranze. Tuttavia, l’organizzazione non è stata finora in grado di verificare queste notizie.

Centinaia di migliaia in fuga

Secondo le stime delle Nazioni Unite, dal 25 agosto la violenza e gli incendi dei villaggi hanno costretto oltre 370.000 persone a fuggire in Bangladesh. Altre decine di migliaia potrebbero essere sfollate o in fuga all’interno dei confini di Myanmar. Già nel corso della precedente offensiva militare su vasta scala, tra la fine del 2016 e l’inizio del 2017 erano fuggite circa 87.000 persone.

“I numeri parlano da soli: non è esagerato dire che in meno di un anno quasi mezzo milione di rohingya ha dovuto lasciare le loro case. I crimini commessi dalle forze di sicurezza di Myanmar devono essere indagati e i responsabili devono essere chiamati a risponderne di fronte alla giustizia. E Myanmar deve porre fine alla discriminazione sistematica ai danni dei rohingya che è al cuore dell’attuale crisi”, ha affermato Hassan.

“È giunto il momento che la comunità internazionale rivolga attenzione all’incubo che stanno vivendo i rohingya. Le prove raccolte dicono che gli attacchi contro di loro sono calcolati e coordinati in vari luoghi dello stato di Rakhine. Dev’esserci molta più pressione su Aung San Suu Kyi e sui vertici militari di Myanmar affinché sia posta fine a questa carneficina”, ha aggiunto Hassan.

“Tra pochi giorni il Consiglio Onu dei diritti umani discuterà sulla situazione di Myanmar. Sarà l’occasione per il mondo di mostrare che ha compreso la gravità dell’attuale crisi e per adottare una forte risoluzione. Chiediamo al Consiglio anche di estendere il mandato della Missione internazionale di accertamento dei fatti, cui le autorità di Myanmar dovrebbero offrire piena collaborazione”, ha concluso Hassan.

FINE DEL COMUNICATO

Roma, 14 settembre 2017

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