Percorsi legali e sicuri per fermare la fossa comune nel Mediterraneo

30 Maggio 2016

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Segue il testo della dichiarazione rilasciata da Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia:

‘Nella seconda metà di maggio centinaia di persone (tra cui decine di bambini) sono morte durante l’attraversamento del mar Mediterraneo.

Stipate all’inverosimile su barche inadatte alla navigazione, incentivate dall’abbassamento dei prezzi dell’imbarco e costrette a imbarcarsi il prima possibile dalla violenza, dalle torture e dagli stupri che subiscono in Libia, decine di migliaia di persone sono partite e sono destinate a continuare a partire verso l’Italia. Molte di esse sono, purtroppo, anche destinate a morire.

Di fronte a questa situazione, le pur encomiabili operazioni di ricerca e soccorso in mare, svolte da vascelli militari e civili così come da navi di organizzazioni non governative – che hanno salvato da morte certa oltre 10.000 persone nel mese di maggio – non possono essere la soluzione di lungo periodo.

I paesi di origine delle persone che hanno preso il largo dalla Libia e anche dall’Egitto lasciano intendere che si tratti, in molti casi, di richiedenti asilo in fuga dalla persecuzione, dalla guerra e dal terrore di governi e di gruppi armati, provenienti da Eritrea, Somalia, Sudan, Sud Sudan, Nigeria.

Anziché proporre piani per finanziare paesi in cui la situazione dei diritti umani è pessima – piani destinati a prevenire le partenze senza risolvere i motivi di fuga – o ipotizzare interventi militari per ‘stabilizzare’ la Libia – anche in questo caso, con l’obiettivo non dichiarato ma palese di fermare le partenze – i paesi dell’Unione europea dovrebbero concentrare i loro sforzi e investire tutte le risorse necessarie nell’organizzazione di percorsi legali e sicuri per i richiedenti asilo.

Quanti altri morti in mare saranno necessari prima che l’Unione europea si renderà finalmente conto di quanto irresponsabile, cinico e contrario a ogni esigenza di sicurezza sia stata la politica di negare quei percorsi legali e sicuri per mettere il destino e la vita di uomini, donne, bambini e neonati nelle mani della criminalità organizzata?’

FINE DEL COMUNICATO                                                                              Roma, 30 maggio 2016

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