Myanmar, crimini contro l’umanità commessi da 13 ufficiali delle forze armate

27 Giugno 2018

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Amnesty International chiede che il comandante in capo delle forze armate di Myanmar e altri 12 ufficiali siano processati per crimini contro l’umanità ai danni dei rohingya.

In evidenza:
– in un nuovo rapporto di Amnesty International i nomi di 13 militari di Myanmar che hanno preso parte a omicidi, stupri e deportazioni di rohingya;
– le forze armate di Myanmar hanno commesso nove distinte fattispecie di crimini contro l’umanità, le cui responsabilità risalgono tutta la catena di comando;
– necessario processare i responsabili, anche attraverso un deferimento al Tribunale penale internazionale da parte del Consiglio di sicurezza.

Amnesty International ha raccolto ampie e credibili prove sul coinvolgimento del comandante in capo delle forze armate di Myanmar, il generale Min Aung Hlaing, e di altri 12 militari in crimini contro l’umanità commessi durante la pulizia etnica della popolazione rohingya nel nord dello stato di Rakhine.

Il rapporto, intitolato ‘Distruggeremo tutto’: le responsabilità delle forze armate nei crimini contro l’umanità commessi in Myanmar, nello stato di Rakhine, chiede che la situazione sia deferita al Tribunale penale internazionale per lo svolgimento di indagini e l’avvio di un procedimento giudiziario.

“Le violenze – tra cui omicidi, stupri, torture, incendi e affamamenti – commesse dalle forze armate di Myanmar nei villaggi del nord dello stato di Rakhine non sono state il frutto di soldati o unità allo sbando ma, stando alla montagna di prove raccolte, hanno fatto parte di un attacco davvero orchestrato e sistematico contro la popolazione rohingya”, ha dichiarato Matthew Wells, alto consulente di Amnesty International sulle crisi.

“Coloro che hanno le mani sporche di sangue, fino al vertice della catena di comando rappresentato dal generale Min Aung Hlaing, devono essere chiamati a rispondere del loro ruolo nella supervisione o nel compimento di crimini contro l’umanità e di altre gravi violazioni dei diritti umani previste dal diritto internazionale”, ha aggiunto Wells.

La raccolta delle prove

Nel suo rapporto, Amnesty International fa anche i nomi di nove militari sottoposti al comandante in capo dell’esercito, Min Aung Hlaing, e di tre membri della Polizia di frontiera, coinvolti nella campagna di pulizia etnica.
Frutto di nove mesi di intense ricerche, tanto in Myanmar quanto in Bangladesh, il rapporto è finora il più completo resoconto di come le forze armate di Myanmar abbiano costretto oltre 702.000 uomini, donne e bambini – ossia oltre l’80 per cento della popolazione rohingya presente nello stato di Rakhine allo scoppio della crisi, il 25 agosto 2017 – a fuggire in Bangladesh.

Il rapporto, inoltre, fornisce nuovi particolari sulla struttura di comando delle forze armate di Myanmar e sul dispiegamento delle truppe, così come su arresti, sparizioni forzate e torture di adulti e ragazzi rohingya nelle settimane precedenti l’inizio della crisi.

Il documento contiene anche le più dettagliate informazioni ad oggi sulle violazioni commesse dal gruppo armato Esercito di salvezza dei rohingya dell’Arakan (Arsa), prima e dopo gli attacchi simultanei lanciati il 25 agosto 2017 contro postazioni di sicurezza dell’esercito, tra cui uccisioni di persone di altre etnie e fedi religiose e omicidi e rapimenti di rohingya sospettati di essere informatori delle autorità.

Amnesty International aveva già denunciato come la crudele risposta dell’esercito di Myanmar alle violenze dell’Arsa fosse avvenuta nel contesto di un duraturo e istituzionalizzato regime di discriminazione e segregazione equivalente ad apartheid e segnato da crimini di diritto internazionale tra i quali omicidi, stupri, torture, incendi mirati e su vasta scala di villaggi, uso di mine terrestri, affamamento, deportazione di massa e altre gravi violazioni dei diritti umani.

Basato su oltre 400 interviste, corroborate da prove precedentemente acquisite – tra le quali immagini satellitari, foto e video validati e analisi di esperti militari e forensi – il nuovo rapporto presenta agghiaccianti particolari sulle violazioni dei diritti umani commesse nel contesto della “operazione di pulizia” lanciata dall’esercito di Myanmar a seguito degli attacchi dell’Arsa e identifica esattamente le divisioni o i battaglioni responsabili delle peggiori atrocità.
Amnesty International ha attribuito alle forze armate di Myanmar nove delle 11 fattispecie di crimini contro l’umanità elencati nello Statuto di Roma del Tribunale penale internazionale.
Truppe dispiegate per “distruggere tutto”
Il rapporto di Amnesty International denuncia che gli alti comandi militari hanno schierato nel nord dello stato di Rakhine alcuni tra i più feroci battaglioni, già famigeratamente noti per le violazioni commesse in altre parti del paese, con conseguenze disastrose per la popolazione rohingya.

Nelle settimane precedenti il 25 agosto 2017 l’esercito ha trasferito il 33° e il 99° battaglione della Fanteria leggera, implicati secondo Amnesty International in crimini di guerra nello stato di Kachin nel nord dello stato di Shan tra la fine del 2016 e la metà del 2017, nel contesto del conflitto armato ancora in corso in quelle zone del paese.

In alcuni villaggi rohingya i comandanti dei battaglioni appena arrivati hanno reso chiare le intenzioni sin dall’inizio. Intorno al 20 agosto 2017, cinque giorni prima dello scoppio della violenza, il comandante del 33° battaglione ha incontrato a Chut Pyin, nei pressi della città di Rathedaung, i leader rohingya dei villaggi circostanti. Secondo sette persone presenti, intervistate separatamente da Amnesty International, il comandante ha minacciato che se nell’area vi fossero state attività dell’Arsa o se gli abitanti dei villaggi avessero fatto “qualcosa si sbagliato”, i suoi soldati avrebbero aperto il fuoco contro i rohingya senza fare distinzioni.

Amnesty International ha anche ottenuto la registrazione audio in lingua birmana, che ritiene autentica, di una telefonata tra un abitante rohingya di Inn Din, nei pressi della città di Maungdaw, e un militare sul posto, Nella registrazione, l’ufficiale dice: “Abbiamo l’ordine di bruciare l’intero villaggio al minimo disordine. Se voi non ve ne state in pace, distruggeremo tutto”.

L’ondata di violenza che è iniziata poco dopo, in cui i militari hanno incendiato parzialmente o del tutto diverse centinaia di villaggi rohingya nel nord dello stato di Rakhine, tra cui quasi tutti quelli nella zona di Maungdaw, è stata ampiamente documentata da Amnesty International e da altre fonti.

Il nuovo rapporto aggiunge altri dettagli sull’ampio e sistematico attacco contro la popolazione rohingya, tra cui tre massacri su vasta scala nei villaggi di Chut Pyin, Min Gyi e Maung Nu, in cui sono state uccise migliaia di donne, uomini e bambini: sul posto, mentre fuggivano o nell’incendio delle loro abitazioni. Il numero esatto delle persone che hanno perso in questo modo la loro vita non si riuscirà mai a determinare.

I militari hanno stuprato donne e ragazze rohingya, sia nei villaggi che durante la fuga verso il Bangladesh. Amnesty International ha intervistato 20 donne e due ragazze sopravvissute allo stupro, 11 di loro a stupri di gruppo. L’organizzazione ha potuto documentare stupri e violenze sessuali in 16 località diverse del nord dello stato di

Rakhine. Si è trattato di una prassi costante e diffusa che ha terrorizzato le comunità rohingya e che ha contribuito a cacciarle dai loro territori. Alcune sopravvissute allo stupro hanno aggiunto al trauma l’uccisione sotto i loro occhi dei familiari. In almeno un villaggio i soldati hanno lasciato le donne stuprate all’interno di abitazioni cui hanno successivamente dato fuoco.

Arresti e torture da parte della Polizia di frontiera

Nei giorni precedenti e successivi agli attacchi dell’Arsa del 25 agosto 2017 le forze di sicurezza di Myanmar hanno arrestato e posto in detenzione arbitraria centinaia di uomini e ragazzi dei villaggi del nord dello stato di Rakhine. Amnesty International ha intervistato 23 uomini adulti e due ragazzi arrestati e sottoposti a maltrattamenti e torture e poi consegnati alla Polizia di frontiera, che li ha tenuti in detenzione senza contatti col mondo esterno per giorni e anche settimane.

Gli agenti della Polizia di frontiera hanno torturato i detenuti per estorcere informazioni o costringerli a confessare di far parte dell’Arsa. Amnesty International ha documentato in dettaglio le torture praticate in due basi della Polizia di frontiera a Taung Bazar e Zay Di Pyin, rispettivamente nei pressi delle città di Buthidaung e Rathedaung. Numerosi sopravvissuti alla tortura hanno fatto i nomi degli agenti della Polizia di frontiera responsabili delle torture in quelle due basi.

Tra i metodi di tortura, sono stati segnalati bruciature, pestaggi, l’annegamento simulato (noto come waterboarding), lo stupro e altre forme di violenza sessuale. Molti uomini rohingya detenuti a Taung Bazar hanno denunciato che gli è stato dato fuoco alla barba, un uomo e due ragazzi detenuti a Zay Di Pyin hanno riferito di essere stati privati di acqua e cibo, di essere stati picchiati quasi a morte e, in molti casi, di aver subito bruciature sui genitali che hanno dato luogo a vesciche.

“Stavo in piedi con le mani legate dietro la testa. Mi hanno tolto i vestiti e acceso una candela sotto il mio pene. Un agente reggeva la candela e il suo superiore gli dava gli ordini. Entrambi mi dicevano di dire la verità altrimenti sarei morto”, ha raccontato ad Amnesty International un contadino di un villaggio nei pressi della città di Tathedaung.

Alcuni detenuti sono morti sotto tortura, tra cui un ventenne picchiato a morte con un asse di legno solo per aver chiesto dell’acqua.

Per ottenere il rilascio, i detenuti hanno dovuto pagare esose tangenti e firmare un documento da cui risultava che non avevano subito alcun maltrattamento. Dieci mesi dopo, le autorità di Myanmar non hanno ancora fornito informazioni su chi è ancora in stato di detenzione, dove si trovi e di cosa sia eventualmente accusato. Si tratta, per il diritto internazionale, di detenzioni arbitrarie.

La responsabilità di comando

Amnesty International ha esaminato documenti confidenziali riguardanti le forze armate di Myanmar, i quali indicano che durante le operazioni militari come quelle svolte nel nord dello stato di Rakhine, le forze sul terreno agiscono normalmente sotto lo stretto controllo dei più alti comandanti. Le unità da combattimento, che hanno commesso la maggior parte dei crimini contro i rohingya, hanno l’obbligo di riferire sui loro movimenti, sugli scontri e sulle armi usate, informazioni che i più alti in grado sapevano o avrebbero dovuto sapere.

Inoltre, i vertici delle forze armate tra cui il generale Min Aung Hlaing si sono recati personalmente nel nord dello stato di Rakhine prima o durante la campagna di pulizia etnica per presiedere a parte delle operazioni.
I vertici delle forze armate sapevano o avrebbero dovuto sapere che erano in corso crimini contro l’umanità, eppure non hanno usato la loro posizione di comando per fermarli prima e durante e per punire i responsabili, negando persino gran parte di quanto accaduto. Ci sono dunque prove sufficienti per chiedere un’indagine per determinare se tutti o alcuni dei più alti ufficiali siano stati direttamente coinvolti nella pianificazione, nell’ordine o nella commissione di uccisioni, stupri, torture e incendi di villaggi.

Le ricerche di Amnesty International hanno identificato 13 persone che hanno avuto un ruolo chiave nei crimini contro l’umanità ai danni dei rohingya. I loro nomi saranno resi noti il 26 giugno al termine di una conferenza stampa. L’organizzazione chiede che tutti i responsabili affrontino la giustizia.

Il momento dell’accertamento delle responsabilità

Di fronte alla crescente pressione internazionale, il mese scorso le autorità di Myanmar hanno annunciato l’istituzione di una Commissione indipendente d’inchiesta per indagare sulle denunce di violazioni dei diritti umani. Le indagini promosse dai precedenti governi o quelle condotte dall’esercito su quanto accaduto nello stato di Rakhine sono solo servite a negare le atrocità commesse dalle forze armate.
“La comunità internazionale non dovrebbe essere raggirata da quest’ultimo tentativo di proteggere i responsabili. Al contrario, dovrebbe finalmente porre fine ad anni d’impunità e assicurare che questo capitolo nero della storia di Myanmar non abbia più a ripetersi”, ha commentato Wells.

“Il Consiglio di sicurezza deve smetterla di fare politica e deferire urgentemente la situazione di Myanmar al Tribunale penale internazionale, imporre un embargo totale sulle armi dirette a Myanmar e imporre sanzioni economiche mirate nei confronti degli alti ufficiali responsabili di gravi crimini e violazioni.
“Mentre prova a cercare sostegno e consenso internazionale per il deferimento al Tribunale penale internazionale, la comunità internazionale dovrebbe ricorrere al Consiglio Onu dei diritti umani per istituire un meccanismo che consenta di raccogliere e conservare prove da utilizzare in futuri procedimenti giudiziari”, ha aggiunto Wells.
“Se non agirà subito alla luce delle schiaccianti prove, cosa ci vorrà perché la comunità internazionale prenda sul serio la necessità di fare giustizia?”, ha concluso Wells.

Ulteriori informazioni

I nomi delle 13 persone che hanno avuto un ruolo chiave nei crimini contro l’umanità ai danni dei rohingya saranno resi noti il 26 giugno a New York, al termine di una conferenza stampa in cui verrà presentato il rapporto.
Oltre al rapporto, Amnesty International e Situ Research hanno creato una nuova piattaforma per visualizzare i crimini contro l’umanità commessi dall’esercito di Myanmar ai danni della popolazione rohingya nel nord dello stato di Rakhine a partire dal 25 agosto 2017.

L’utente viene portato in un viaggio interattivo lungo le settimane che hanno preceduto lo scoppio delle violenze, che prosegue col dispiegamento dei militari, la commissione delle atrocità, la fuga in massa dai villaggi rohingya verso il Bangladesh e le recenti costruzioni sui luoghi dove sono stati distrutti i villaggi. La piattaforma chiede che gli ufficiali delle forze armate di Myanmar che hanno avuto un ruolo chiave nelle atrocità – tra cui omicidi, stupri e deportazioni – siano chiamati a rispondere del loro operato.
FINE DEL COMUNICATO

Roma, 27 giugno 2018
Qui il rapporto ‘Distruggeremo tutto’: le responsabilità delle forze armate nei crimini contro l’umanità commessi in Myanmar, nello stato di Rakhine

Per interviste:
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