Alcuni genitori uiguri sono stati separati dai loro figli e costretti a vivere in continenti diversi solo perché appartenenti a questa etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina, in particolare nella regione autonoma dello Xinjiang.
Questo incubo è iniziato circa quattro anni fa quando la Cina ha lanciato una repressione senza precedenti contro le popolazioni etniche dello Xinjiang e che ha avuto un impatto orribile sulla vita di quelli che si stima essere migliaia di genitori.
Molte coppie di genitori uiguri hanno lasciato i propri figli alle cure di membri delle loro famiglie che vivono nelle città natali nella regione dello Xinjiang per andare a studiare e lavorare all’estero nella speranza di migliorare le proprie condizioni di vita.
Mihriban e Ablikim sono fuggiti dallo Xinjiang e sono arrivati in Italia nel 2016 dopo essere stati maltrattati dalla polizia e costretti a rinunciare ai loro passaporti. Avevano lasciato i loro quattro figli alle cure temporanee dei nonni, ma poco dopo la loro partenza la nonna è stata portata in un campo di rieducazione mentre il nonno veniva interrogato dalla polizia.
Nel novembre 2019, Mihriban e Ablikim hanno ricevuto dal governo italiano un permesso per portare i loro figli in Italia. Tuttavia, i quattro minori – di età compresa tra i 12 ei 16 anni – hanno dovuto viaggiare da soli attraverso la Cina fino al consolato italiano a Shanghai per richiedere il visto italiano. Purtroppo, sono stati presi sotto la custodia dalla polizia e rimandati all’orfanotrofio e al collegio nello Xinjiang.
La storia di Mihriban e Ablikim sfortunatamentenon è l’unica. Molti genitori uiguri all’estero hanno dovuto lasciare uno o più figli alle cure dei membri della famiglia nello Xinjiang. Da allora, alcuni genitori hanno appreso che i loro figli sono stati portati in “campi per orfani” gestiti dallo stato o in collegi dopo che i parenti che avrebbero dovuto prendersi cura di loro erano stati arrestati.
La campagna di detenzione di massa nello Xinjiang ha impedito ai genitori uiguri di tornare in Cina per prendersi cura dei propri figli e ha reso, inoltre, quasi impossibile per loro portare fuori dalla Cina i bambini e riunirsi con essi in quanto i passaporti dei minori sono stati negati o confiscati.
Firma l’appello e invita la Cina a garantire che i bambini possano lasciare la Cina per ricongiungersi il più rapidamente possibile con i loro genitori e fratelli che già vivono all’estero, se preferiscono.
Mihriban Kader e suo marito Ablikim Memtinin, originari di Kashgar, sono fuggiti in esilio in Italia nel 2016 dopo essere stati ripetutamente molestati dalla polizia e dopo che gli è stato detto di consegnare i loro passaporti alla stazione di polizia locale.
Subito dopo la loro partenza, la polizia ha iniziato a molestare anche i genitori di Mihriban, che si prendevano cura dei loro quattro figli. Alla fine, la nonna è stata portata in un campo e il nonno è stato interrogato per diversi giorni e in seguito ha trascorso mesi in ospedale.
Ciò ha lasciato i bambini senza nessuno che se ne prendesse cura. “Gli altri nostri parenti non hanno osato occuparsi dei miei figli dopo quello che era successo ai miei genitori”, ha detto Mihriban ad Amnesty International. “Avevano paura che anche loro sarebbero stati mandati nei campi”.
Nuove speranze per un ricongiungimento familiare sono arrivate nel novembre 2019, quando Mihriban e Ablikim hanno ricevuto dal governo italiano un permesso per portare in Italia i loro figli. Affinché ciò potesse accadere, tuttavia, i loro quattro figli – S. (12), M.(14), Y.(15) e Z.(16) – dovevano partire da soli per un estenuante e incerto viaggio di 5000km (3.100 miglia) da Kashgar, vicino al confine cinese con il Pakistan, alla città costiera orientale di Shanghai per richiedere i visti italiani nel giugno 2020.
Sulla strada hanno dovuto affrontare molti grandi pericoli e sfide. I regolamenti vietano ai bambini di acquistare biglietti ferroviari o aerei e di viaggiare da soli in Cina. A causa delle politiche discriminatorie e degli editti del governo locale, gli hotel spesso rifiutano di accogliere gli uiguri, sostenendo che non ci sono camere disponibili. Nonostante le avversità, i bambini hanno perseverato e sono riusciti ad arrivare a Shanghai.
Quando finalmente i bambini hanno raggiunto i cancelli del consolato italiano, con il passaporto in corso di validità in mano, era quasi come se i loro genitori fossero proprio dietro il cancello davanti a loro e stessero per abbracciarsi presto.
La loro eccitazione si è trasformata rapidamente in orrore quando gli è stato negato l’ingresso al consolato. Gli è stato detto che i visti per il ricongiungimento familiare potevano essere rilasciati solo presso l’ambasciata italiana a Pechino, ma in quel periodo, giugno 2020, le persone non potevano viaggiare a causa del rigoroso lockdown a Pechino. Con il cuore in frantumi, i bambini aspettavano fuori dal consolato, sperando che qualcuno sarebbe uscito e li avrebbe aiutati. Invece, è arrivata una guardia cinese e li ha minacciati di chiamare la polizia se non se ne fossero andati.
Rifiutandosi di cedere alla disperazione, i bambini hanno cercato l’assistenza di diverse agenzie di viaggio per richiedere i visti italiani. Il 24 giugno, come riportato dai loro genitori, tutti e quattro erano seduti in una stanza d’albergo a Shanghai quando sono stati portati via dalla polizia e riportati in un orfanotrofio e collegio a Kashgar. Essendo arrivati così vicini, se la giornata al consolato fosse andata diversamente, ora avrebbero potuto ricordare insieme ai loro genitori il viaggio ardito che avevano intrapreso invece di languire in un orfanotrofio cinese. Per come si sono messe le cose, Mihriban e Ablikim temono di aver perso i loro figli per sempre.
Circa quattro anni fa, i genitori uiguri che studiavano o si guadagnavano da vivere all’estero iniziarono a vivere un incubo ricorrente. Molti avevano lasciato uno o più bambini alle cure di membri della famiglia nelle loro città natali nella regione autonoma uigura dello Xinjiang, nel nord-ovest della Cina. All’epoca non potevano sapere che la Cina stava per lanciare una repressione senza precedenti contro le popolazioni etniche nello Xinjiang che avrebbe avuto un impatto orribile sulla vita di quelli che si stima essere migliaia di genitori proprio come loro.
Per decenni, molti uiguri hanno subito una sistematica discriminazione etnica e religiosa nello Xinjiang. Dal 2014, lo Xinjiang ha assistito a un notevole incremento della presenza della polizia e a una pesante cappa di sorveglianza come parte di una “guerra del popolo al terrorismo” e di una lotta contro “l’estremismo religioso” pubblicamente dichiarate. Le misure di sorveglianza e controllo sociale hanno iniziato a diffondersi rapidamente nel 2016. Nel 2017, le cose hanno iniziato a prendere una svolta ancora peggiore per uiguri, kazaki e altri popoli prevalentemente musulmani nella regione. Da quel momento, si stima che 1 milione di persone, forse di più, siano state arbitrariamente detenute in centri di “trasformazione attraverso l’istruzione” o “formazione attitudinale” nello Xinjiang, dove sono state sottoposte a varie forme di tortura e maltrattamenti, compreso l’indottrinamento politico e l’assimilazione culturale forzata. Questa oppressiva campagna di detenzione di massa e repressione sistematica ha impedito ai genitori uiguri di tornare in Cina per prendersi cura dei propri figli e hanno reso quasi impossibile ai loro figli lasciare la Cina per riunirsi con loro all’estero.
Molti genitori inizialmente hanno pensato che la repressione sarebbe stata temporanea e che presto sarebbero stati in grado di tornare a casa dai loro figli. Tuttavia, amici e parenti li hanno avvertiti che quasi certamente sarebbero stati rinchiusi in campi di internamento al ritorno in Cina. E l’esistenza dei campi e la detenzione arbitraria al loro interno, potenzialmente di qualsiasi membro di un gruppo etnico musulmano, è ormai inconfutabile. Mentre all’inizio era possibile un minimo contatto con i loro figli, questa possibilità si è interrotta quando i parenti che si erano occupati dei bambini sono stati loro stessi portati in campi di internamento o incarcerati. I soggiorni dei genitori all’estero si stavano lentamente e inesorabilmente trasformando in esilio.
Amnesty International ha recentemente parlato a lungo con sei genitori che sono stati separati dai loro figli, residenti in Australia, Canada, Italia, Paesi Bassi e Turchia. Le loro testimonianze iniziano solo a scalfire la superficie delle esperienze delle famiglie uiguri profondamente desiderose di ricongiungimento con i bambini intrappolati in Cina.
È giunto il momento che la Cina metta fine alle clamorose violazioni dei diritti umani in corso e alle politiche repressive in Xinjiang e rispetti gli obblighi sui diritti umani, anche in relazione ai diritti dei minori sanciti dal diritto internazionale. La Cina ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sull’infanzia (CRC) nel 1992. Ai sensi degli articoli 9 e 10 della CRC, la Cina deve vigilare affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà e che l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente [(Articolo 3)]. Il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti del bambino ha confermato che, se la riunificazione della famiglia non fosse possibile nel paese d’origine, per qualsiasi ragione, sia il paese ospite che il paese d’origine devono attivarsi in ogni modo per facilitare la riunificazione altrove, tenendo debitamente conto dei diritti umani dei minori e dei genitori, compreso il diritto a lasciare il proprio paese.
I minori separati dai genitori generalmente hanno il diritto a mantenere regolarmente con loro rapporti personali e un contatto diretto. Uno Stato che si assuma la custodia di un minore, affidandolo ad esempio a un orfanotrofio o un collegio, deve fornire ai genitori o altri familiari informazioni sull’ubicazione del minore.
In base ai diritti di libertà di espressione e alla riservatezza e alla vita familiare, a tutte le persone, compresi i bambini, deve essere garantita l’opportunità di contattare con regolarità i familiari all’estero e di ricercare, ricevere e rivelare informazioni, a prescindere dai confini nazionali.
A ottobre 2016, sono state numerose le segnalazioni secondo cui le autorità nella regione hanno confiscato passaporti uiguri nell’intento di limitare ulteriormente la loro libertà di movimento. Il diritto alla libertà di movimento, che include il diritto a lasciare il proprio paese e ottenere i necessari documenti di viaggio, non può essere soggetto a limiti in modo arbitrario, se non sulla base di comprovate giustificazioni legali, necessarie e proporzionate a realizzare una finalità legittima e in linea con altri diritti umani, compreso il diritto alla non discriminazione.
I genitori sentiti da Amnesty International hanno riferito che i consolati cinesi hanno respinto le domande di rinnovo del loro passaporto, informandoli che, per procedervi, sarebbero dovuti tornare in Cina. Il diniego di uno Stato a rilasciare un passaporto o a estenderne la validità sulla base di norme giuridiche o misure amministrative non necessarie può configurare una violazione del diritto alla libertà di movimento nei confronti della persona interessata.
Il governo cinese deve conformarsi all’obbligo di elaborare in modo positivo, umano e rapido le domande di minori o dei rispettivi genitori che servano a entrare o lasciare liberamente la Cina, in particolare al fine della riunificazione familiare. Inoltre, il governo cinese deve garantire l’assenza di conseguenze negative a carico di genitori o figli che abbiano richiesto di essere riuniti alle loro famiglie. Una politica di separazione familiare forzata e, in particolare, di inserimento coatto di minori uiguri in orfanotrofio, viola i diritti dei bambini, compresi il diritto alla protezione rispetto alla discriminazione e alla punizione sulla base delle convinzioni e degli atti dei loro genitori.
Mentre si attende una riunificazione familiare, la Cina deve rispettare i membri delle famiglie uigure a mantenere contatti diretti e regolari tra loro. Amnesty International ha documentato casi in cui il contatto con l’estero è ritenuto una motivazione primaria per la detenzione arbitraria nei campi di internamento in Xinjiang.
Inoltre, il governo cinese deve rivelare immediatamente l’ubicazione dei minori e altri familiari di genitori all’estero, compresi coloro che restano in stato di detenzione nei campi di internamento, nelle carceri o altre istituzioni statali. Il diniego di tali informazioni potrebbe rappresentare anche un’interferenza arbitraria nel diritto dei bambini a una vita familiare (articolo 16 della CRC).