illustrazione di zainab fasiki
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad alcune delle più grandi mobilitazioni da decenni a questa parte: Black Lives Matter, MeToo, i movimenti contro i cambiamenti climatici hanno ispirato milioni di persone a scendere in strada per chiedere giustizia per le persone discriminate su base etnica e per l’uguaglianza, i mezzi di sostentamento, la giustizia climatica, la fine della violenza e della discriminazione di genere.
Ovunque, le persone si sono mobilitate contro la violenza e gli omicidi della polizia, la repressione di stato e l’oppressione. Quasi senza eccezione, la risposta delle autorità statali a questa ondata di proteste di massa è ostruttiva, repressiva e spesso violenta. Invece di creare le condizioni per esercitare il diritto di protesta, i governi stanno ricorrendo a misure ancora più estreme per stroncarlo. Ecco perché Amnesty International ha deciso di lanciare questa campagna.
La campagna globale “Proteggo la protesta” intende sfidare gli attacchi internazionali e diffusi alla protesta pacifica, supportando le e i manifestanti pacifici e sostenendo le cause dei movimenti sociali che spingono al cambiamento per la realizzazione dei diritti umani. Il nostro obiettivo è che tutte le persone possano intraprendere azioni pacifiche e far sentire la propria voce, in sicurezza e senza ripercussioni!
I principali obiettivi della campagna:
Il diritto di protesta è protetto da diverse disposizioni di diritti umani e in particolare dall’interazione dei diritti alla libertà di riunione pacifica e di espressione. Le proteste sono un modo comune con cui le persone possono esprimere le proprie opinioni e possono contribuire alla protezione di molti altri diritti.
Le proteste sono protette dal diritto internazionale sui diritti umani indipendentemente dalla questione per cui le persone protestano e dal fatto che la motivazione sia o meno una questione di diritti umani. Sono un modo importante per le persone di incontrarsi e creare un forum per il dibattito pubblico e l’impegno politico.
Attraverso la protesta, le persone che sono state ridotte al silenzio e private dei diritti civili possono rivendicare la loro voce e il loro potere politico e ottenere forza dall’essere parte di un gruppo o movimento più grande. Le proteste creano anche opportunità per promuovere e difendere i diritti di altri e per promuovere società che rispettino i diritti.
Sulla base delle tutele che il diritto internazionale dei diritti umani offre alle proteste, in particolare il diritto alla libertà di riunione pacifica, le autorità hanno il dovere di rispettare, proteggere e facilitare la protesta pacifica. Ciò significa astenersi dall’interferire indebitamente con l’esercizio di questo diritto, proteggere i manifestanti dalla violenza, fornire servizi (come la gestione del traffico o servizi igienici, se necessario) e comunicare con coloro che organizzano o partecipano a una protesta per garantirne la pacifica condotta.
Un gruppo numeroso di persone che si riunisce in un unico luogo per esprimere un messaggio comune è per sua natura suscettibile di essere dirompente. Pertanto, le autorità dovrebbero generalmente tollerare questo disturbo, poiché le proteste pacifiche sono un uso legittimo dello spazio pubblico e spesso anche di quello privato. In generale, le autorità dovrebbero presumere che le proteste siano pacifiche – nel senso di non violente – e l’approccio generale delle autorità dovrebbe essere guidato dalla comunicazione, cercando di prevenire l’insorgere di conflitti attraverso il dialogo e la mediazione, nonché di attenuare e risolvere pacificamente i conflitti che potrebbero verificarsi.
Diversi governi stanno cercando sempre più di controllare e reprimere il dissenso introducendo o non abrogando la legislazione ordinaria che impone restrizioni illegittime alle proteste, come ad esempio chiedere alle e agli organizzatori di richiedere l’autorizzazione prima delle manifestazioni.
Qualsiasi restrizione a questo diritto è ammissibile solo se soddisfa gli elementi di legalità, necessità, proporzionalità e perseguimento di uno scopo legittimo.
Le forze di polizia possono identificarmi? E per organizzare una manifestazione devo chiedere l’autorizzazione? Le risposte a queste e ad altre domande sono disponibili nella guida che Amnesty International Italia ha realizzato per informare chiunque voglia organizzare o semplicemente prendere parte a una protesta.
Il 20 maggio 2024 ha preso il via la campagna di comunicazione: “Manifesta oggi per i diritti di domani”, realizzata in collaborazione con attivisti e attiviste di Baobab Experience, Extinction Rebellion, Fridays For Future, Greenpeace, Lucha Y Siesta, No Tav, Non Una di Meno e Unione Sindacale di Base. L’obiettivo comune è quello di richiamare l’attenzione sull’importanza delle proteste pacifiche, motore di cambiamento sociale e tutela dei diritti umani, secondo quanto sancito anche dall’art. 17 della Costituzione che garantisce il diritto di riunirsi pacificamente e senza armi.
La campagna nasce da un workshop di quattro giorni tenutosi nel novembre 2023, durante il quale le persone attiviste di queste associazioni hanno cercato una risposta comune alla narrativa denigratoria promossa da istituzioni e organi d’informazione contro chi protesta pacificamente in Italia.
Con questa campagna e tramite il nuovo appello, rivolto alla presidente del Consiglio e al ministro dell’Interno per garantire la tutela del diritto di protesta e l’introduzione dei codici identificativi per le forze di polizia, Amnesty International Italia intende ribadire che le proteste pacifiche non sono una minaccia all’ordine pubblico, ma un diritto fondamentale.
Il foglio di via obbligatorio, sebbene sia una misura di prevenzione, negli ultimi tempi viene utilizzato sempre più frequentemente per colpire attivisti per la giustizia climatica, sindacalisti, lavoratori in protesta o persone che hanno semplicemente espresso il proprio dissenso. Tale misura incide direttamente sulla libertà di movimento.
Notevole può essere anche l’impatto “indiretto” di un uso atipico e diffuso del foglio di via obbligatorio, consistente in un effetto intimidatorio che rischia di generare timore e scoraggiamento, dissuadendo così le persone dal protestare. Approfondisci.
Online una mappa interattiva (in continuo aggiornamento) per documentare quanto gli stati del mondo stiano ricorrendo sempre più all’uso illegale della forza e a leggi repressive per stroncare le proteste.
La mappa interattiva descrive le numerose violazioni dei diritti umani subite dalle persone che scendono in strada per manifestare; mostra come i governi considerino le proteste una minaccia più che un diritto e come chi è responsabile dell’ordine pubblico interpreti il suo ruolo come soppressore dei diritti umani anziché loro garante. Ecco perché migliaia di persone vengono illegalmente sgomberate, arrestate, picchiate e persino uccise durante le manifestazioni.
La mappa interattiva, la prima del genere, evidenzia anche come in molti stati le cosiddette armi meno letali (gas lacrimogeni, pallottole di gomma, spray al peperoncino e manganelli) siano usate per intimidire, minacciare, punire e sfollare chi manifesta, dunque per negare il diritto di protesta pacifica.
La disobbedienza civile è una forma di protesta attraverso un’azione diretta non violenta che viene tradizionalmente utilizzata per sfidare leggi o situazioni ingiuste. Può includere la violazione premeditata di leggi che limitano intenzionalmente l’esercizio di un diritto umano, limitano l’espressione di convinzioni particolari o che sono in conflitto con le leggi e gli standard internazionali sui diritti umani. Queste includono, ad esempio, i regolamenti che impongono un divieto totale di proteste o una legge che criminalizza lo svolgimento di una manifestazione senza la preventiva autorizzazione delle autorità.
Altri atti di disobbedienza civile possono comportare la violazione di una legge ordinaria che contiene un divieto o un’altra forma di restrizione non in conflitto con il diritto internazionale dei diritti umani (come la violazione di domicilio o l’ostruzione delle strade). Tali attività possono essere svolte per motivi di coscienza o perché percepite come il modo più efficace di protestare o esprimere il proprio dissenso, per attirare l’attenzione del pubblico generale e contribuire al dibattito politico, o per fermare o prevenire violazioni dei diritti umani.
Di fronte alla disobbedienza civile, gli stati a volte rispondono accusando coloro che sono coinvolti di reati eccessivamente ampi e gravi o di reati penali ingiustificati come terrorismo, tradimento o ribellione. Questa risposta da parte delle autorità può avere un potente effetto: dissuadere altre persone dall’intraprendere azioni simili o anche semplicemente esercitare i propri diritti alla libertà di riunione pacifica e di espressione.
Quando si considerano sanzioni o altre restrizioni per le persone che hanno violato una legge ordinaria in un atto di disobbedienza civile, le forze di polizia e le autorità giudiziarie dovrebbero essere in grado di considerare caso per caso i diversi elementi di un atto di questo tipo, compresi il suo intento.
Le forze di polizia hanno il dovere di ridurre al minimo danni e lesioni, di preservare la vita umana ed esercitare l’uso della forza con moderazione. Amnesty International e le organizzazioni della società civile in tutto il mondo continuano a documentare l’uso illegale della forza, per reprimere violentemente e/o disperdere le proteste pacifiche. La securitizzazione e la militarizzazione della polizia stanno contribuendo a un aumento della violenza e della repressione, alimentando narrazioni che descrivono le e i manifestanti come violenti e pericolosi e a una maggiore polarizzazione del discorso pubblico.
Il coinvolgimento dei militari, l’uso indiscriminato di armi da fuoco da parte delle forze di polizia e l’uso improprio di armi meno letali hanno contribuito a far aumentare il numero di manifestanti gravemente feriti e uccisi. Le armi da fuoco possono essere utilizzate solo contro persone che presentano una minaccia imminente di morte o lesioni gravi. Laddove necessario, queste persone devono essere prese di mira con attenzione, adottando tutte le precauzioni disponibili per evitare che altri vengano feriti e il loro utilizzo deve essere sempre preceduto da un avviso. Sparare indiscriminatamente sulla folla e utilizzare armi da fuoco come mezzo per disperdere un’assemblea è illegale ai sensi del diritto internazionale dei diritti umani e rappresentano una violazione del diritto alla vita.
Armi meno letali (come manganelli, spray al peperoncino, gas lacrimogeni, granate stordenti, cannoni ad acqua e proiettili di gomma) sono state utilizzate nel contesto delle proteste in paesi di tutte le regioni del mondo e hanno provocato un numero molto elevato di violazioni dei diritti, comprese le lesioni permanenti che hanno causato invalidità e morte. L’uso di queste armi, sia indiscriminato che mirato a infliggere gravi lesioni, è diventato una pratica diffusa nell’ambito delle proteste sociali.
Gli standard internazionali sull’uso della forza regolano anche il modo in cui le forze di polizia dovrebbero usare armi da fuoco e armi meno letali. In conformità con l’obbligo legale principale di facilitare le proteste, le forze di polizia dovrebbero impiegare una serie di mezzi non violenti evitando attivamente l’uso della forza o di qualsiasi mezzo in grado di causare lesioni o morte ai manifestanti. Allo stesso scopo, le forze dell’ordine schierate devono essere adeguatamente equipaggiate con dispositivi di protezione per ridurre al minimo la necessità di utilizzare armi.
In ogni parte del mondo, i governi giustificano le limitazioni alle proteste sostenendo che queste costituiscono una minaccia all’ordine pubblico, criminalizzano le persone che vi prendono parte, definendole “provocatrici”, “rivoltose” o persino “terroriste” e tentano di mettere a tacere il dissenso attraverso azioni legali aggressive e sorveglianza di massa.
Conosciute anche come SLAPP (Strategic Litigation Against Public Participation), o “querele temerarie”, queste azioni legali sono intentate con l’obiettivo di intimidire le persone e scoraggiare la partecipazione pubblica, spesso prendendo di mira giornaliste e giornalisti, chi difende i diritti umani, organizzazioni della società civile o persone accademiche con l’obiettivo di metterle a tacere e scoraggiare altre voci critiche. Il costo della lotta contro queste azioni legali può esercitare un’estrema pressione finanziaria e di altro tipo su chi difende i diritti umani, costringendoli ad utilizzare i fondi e le risorse già limitati del loro lavoro per difendere la causa.
Gli stati e le aziende stanno utilizzando sempre di più sofisticati strumenti digitali mirati e di massa per sorvegliare i manifestanti, invadere la loro privacy e rintracciarli dopo aver partecipato a una protesta. Le tecnologie di riconoscimento facciale, spesso utilizzate con una mancanza di controllo giudiziario e un quadro legislativo inadeguato, sono sempre più utilizzate dalla polizia e dalle forze di sicurezza per monitorare gli spazi pubblici, anche durante le manifestazioni. L’uso di nuove tecnologie, tra cui telecamere a circuito chiuso, catcher IMSI in grado di tracciare telefoni e bodycam, pone anche nuovi rischi per il diritto a un’assemblea pacifica, soprattutto quando tali tecnologie sono utilizzate in combinazione come parte dei poteri di sorveglianza statale e di conservazione dei dati esistenti.
L’uso delle tecnologie di sorveglianza, da sole o in combinazione, comporta il rischio non solo di violazioni in tempo reale del diritto di riunione pacifica, ma anche di dissuadere le persone dall’esercitare i propri diritti in futuro. Queste tecnologie hanno un profondo impatto sulle persone razzializzate e su altri gruppi che subiscono discriminazioni.
Come si apprende il diritto di protesta?
I trattati internazionali stabiliscono regole fondamentali per la difesa dei diritti umani, ma se gli Stati non le rispettano, i titolari dei diritti, cioè tutti noi, possiamo ricordarglielo.
Difendere i diritti umani esercitando proprio quei diritti risulta molto potente perché passa il messaggio che sono i tuoi diritti, nessuno può portarteli via, e se vengono messi in discussione, li difenderai.
La crescente partecipazione dei ragazzi alle proteste ci testimonia come stiano crescendo generazioni sempre più attente, vigili e più sensibili alle questioni globali e alle violazioni che vedono coinvolte anche persone che vivono dall’altra parte del mondo.
Le proposte, anche attraverso l’analisi di casi reali, si propongono di aiutare ragazze/i e attiviste/i a:
ACCEDI AL CORSO DIRITTO DI PROTESTA
Anche quest’anno scenderemo nelle principali piazze e strade italiane accanto ai Pride e porteremo la campagna “Proteggo la protesta”, declinata in chiave Lgbtqia+.
Ecco dove puoi trovarci!
“Proteggo la protesta, proteggo il Pride” mira a trasmettere un messaggio di tutela e rivendicazione degli spazi di protesta e proposta, con un’attenzione particolare alle battaglie per i diritti umani di tutte le persone. In un contesto politico che spesso mina i diritti delle persone Lgbtqia+, è fondamentale promuovere la libertà di espressione e il diritto alla protesta.