Nel mondo, non sono pochi i casi in cui a pagare il prezzo più alto non è chi commette i crimini, ma chi li denuncia. Sono centinaia, infatti, gli operatori dell’informazione che vengono ostacolati, perseguitati, minacciati e persino uccisi per aver cercato o raccontato la verità.
Durante i conflitti e le guerre, l’interesse del potere di mantenere il silenzio sul proprio operato si impenna. Così i giornalisti diventano bersaglio di persecuzione giudiziaria, censura, attentati e uccisioni. Questo è successo in Russia dall’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina, ma già da tempo il giornalismo indipendente era sotto attacco. Pensiamo alla sorte di Anna Politkovskaja, giornalista assassinata nel 2006. Per il suo stesso giornale lavora Elena Milashina, importante giornalista investigativa in prima linea nel denunciare le violazioni dei diritti umani e l’impunità e in Cecenia e la cui incolumità è costantemente a rischio.
In Tunisia il governo del presidente Kais Saied ha intrapreso una vera e propria guerra ai media. Il giornalista Mohamed Boughalleb ha più volte criticato l’operato del governo e per questo è stato condannato a otto mesi di carcere per infondate accuse di diffamazione. In carcere le sue condizioni di salute sono molto peggiorate. Ora è libero, ma le accuse restano in piedi ed è sottoposto a divieto di viaggio.
In un Venezuela in piena crisi dei diritti umani e fiaccato dall’emergenza umanitaria, non si placano gli attacchi alla libertà di espressione. Al 17 febbraio 2025 almeno 1.061 persone erano ancora detenute arbitrariamente per motivi politici. Tra loro Carlos Julio Rojas, giornalista e difensore dei diritti umani che ha sempre denunciato i problemi che affliggono la sua comunità.
Dal 3 maggio, Giornata mondiale della libertà di stampa, al 3 giugno vogliamo coinvolgere il maggior numero di persone in una maratona di raccolta firme a sostegno della libertà d’informazione.
La dedichiamo a tre persone che hanno messo a rischio la propria vita solo per svolgere il loro lavoro.
Il giornalismo non è un crimine.
Da tanti anni, il maratoneta disegnato da Guido Scarabottolo è diventato la mascotte della nostra annuale campagna Write for Rights. Dall’anno scorso la campagna è raddoppiata e il maratoneta corre ancora con noi con un solo obiettivo comune: il rispetto dei diritti umani.
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Elena Milashina è un’importante giornalista investigativa di Novaya Gazeta, il quotidiano per cui lavorava anche Anna Politkovskaja. Da molti anni denuncia le violazioni dei diritti umani e l’impunità in Cecenia, dove coloro che difendono i diritti umani sono seriamente a rischio di ritorsioni, minacce, intimidazioni, campagne diffamatorie e violenze.
La stessa Elena Milashina è stata presa di mira in numerose occasioni. Nel 2017 fu lei a denunciare la campagna omofoba di rapimenti, torture e omicidi in Cecenia. Nonostante la condanna globale, la Russia si è rifiutata di collaborare o rispondere alle richieste di indagine.
La giornalista russa non si è mai arresa e continua a svolgere con passione e devozione il suo lavoro.
Il giornalismo non è reato. Chiedi protezione per Elena Milashina!
Dopo la denuncia del trattamento riservato alla comunità Lgbtqia+ in Cecenia, un altro articolo ha scandalizzato il mondo. Il 10 luglio 2017, Elena Milashina ha denunciato l’esecuzione extragiudiziale di massa di almeno 27 uomini ceceni nel gennaio dello stesso anno. Per questo, i rischi per Elena e i suoi colleghi sono aumentati.
La sera del 6 febbraio 2020, lei e l’avvocata per i diritti umani Marina Dubrovina erano in Cecenia per lavoro quando sono state aggredite da una folla nell’atrio del Continent Hotel, nella capitale Groznyj. Gli aggressori hanno colpito con schiaffi e pugni le due donne, filmando le loro azioni con una telecamera. Nonostante la condanna nazionale e internazionale, ad oggi l’indagine avviata su questo attacco si è rivelata inefficace e i responsabili sono ancora in libertà.
Il 12 aprile 2020, Milashina ha pubblicato un articolo critico sulla risposta delle autorità alla pandemia di Covid-19 in Cecenia. In risposta, il presidente ceceno Ramzan Kadyrov l’ha minacciata di morte in un video su Instagram. La giornalista non si è fatta intimidire e il 15 marzo 2021 su Novaya Gazeta ha rivelato arresti illegali, torture ed esecuzioni extragiudiziali perpetrate da soldati del Secondo reggimento di pattuglia speciale della Cecenia. L’articolo si basava in gran parte sulla testimonianza del loro ex ufficiale Suleyman Gezmakhmayev, corroborando e integrando le conclusioni dell’indagine condotta dal quotidiano, dalla stessa Elena Milashina e da altri difensori dei diritti umani russi sulle presunte esecuzioni extragiudiziali avvenute in Cecenia nel 2017.
In risposta all’articolo, alti funzionari ceceni hanno avviato una campagna diffamatoria e intimidatoria contro Elena Milashina e il suo giornale, arrivando a chiedere alle autorità federali russe di chiuderlo. Le autorità si sono spinte oltre, definendo i giornalisti di Novaya Gazeta “agenti dei servizi speciali occidentali” e affermando che stavano cospirando contro le autorità cecene e che perseguivano un’agenda anti-russa.
Egregio Presidente Putin,
le scrivo per esprimere la mia profonda preoccupazione in merito alle minacce e alle vessazioni cui è sottoposta la giornalista di Novaya Gazeta, Elena Milashina.
Considerando il pregresso di omicidi di giornalisti e difensori dei diritti umani in Russia e i precedenti attacchi contro Elena Milashina in relazione al suo lavoro sulla Cecenia, Amnesty International ritiene che la sicurezza di Elena Milashina sia gravemente a rischio. È fondamentale intensificare gli sforzi su tutti i fronti – pressione diplomatica, advocacy internazionale, solidarietà e sostegno pubblico e visibile – per garantire che Elena Milashina e gli altri collaboratori di Novaya Gazeta siano protetti e possano continuare il loro lavoro giornalistico in sicurezza e senza timore di rappresaglie. Le autorità dovrebbero rispettare gli obblighi internazionali e proteggere tutti coloro che esercitano la libertà di espressione e la libertà di stampa in Russia.
Le chiedo, in qualità di Capo dello Stato e garante della Costituzione e dei diritti umani in essa sanciti, di:
– condannare pubblicamente le minacce contro Elena Milashina, adottare misure significative per garantire che ciò non accada di nuovo e che la giornalista sia al sicuro;
– sostenere il diritto di chi fa giornalismo a portare avanti il suo lavoro senza rischi di rappresaglia, oltre a tutelare il diritto alla libertà di espressione e di informazione.
Cordiali saluti.
Carlos Julio Rojas è un giornalista e difensore dei diritti umani che ha sempre denunciato i problemi che affliggono la sua comunità. Il suo lavoro ha dato fastidio al potere e il 15 aprile 2024 è stato arbitrariamente arrestato a Caracas da individui armati, incappucciati e vestiti di nero che lo hanno costretto a salire a bordo di un veicolo non identificato. Poche ore dopo, il Procuratore generale del Venezuela ha dichiarato che l’arresto di Rojas era collegato a un presunto tentativo di assassinio del presidente: un’accusa pesantissima insieme a quella di “terrorismo”, entrambe completamente infondate. Il giornalista è stato tenuto in isolamento per 35 giorni e il suo diritto alla difesa gravemente compromesso.
Il caso di Carlos Julio Rojas è emblematico dello schema di persecuzione cui sono sottoposte le persone che difendono i diritti umani in Venezuela. Dal 2019 denunciamo i crimini contro l’umanità commessi dal governo di Nicolás Maduro, come detenzioni arbitrarie per motivi politici, sparizioni forzate e torture, anche ai danni di bambini e di persone con disabilità.
Attualmente il giornalista è detenuto a El Helicoide, Caracas, sotto la custodia del Sebin (Servizio nazionale di intelligence bolivariano).
Carlos Julio Rojas è un prigioniero di coscienza, criminalizzato per il suo lavoro e il suo attivismo, e deve essere scarcerato immediatamente e senza condizioni.
Il giornalismo non è reato!
Carlos Julio Rojas, oltre ad essere un giornalista – è vicesegretario generale dell’Associazione nazionale dei giornalisti -, è anche attivista e organizzatore di comunità. È membro della squadra nazionale dell’organizzazione della società civile Grande alleanza nazionale e coordinatore dell’associazione di quartiere Fronte nord di Caracas.
La situazione di Carlos Julio e degli altri giornalisti e difensori dei diritti umani detenuti è tutt’altro che unica. Secondo l’organizzazione locale Foro Penal, al 17 febbraio 2025 almeno 1.061 persone erano ancora detenute arbitrariamente per motivi politici, tra cui 121 donne, quattro adolescenti e 58 persone di cui, a quanto pare, non si conoscono né la situazione giudiziaria né il luogo di detenzione.
Nel 2024, dopo l’annuncio dei contestati risultati delle elezioni di luglio, le autorità hanno intensificato la loro politica di repressione su larga scala, che ha incluso l’uso eccessivo della forza, letale e meno letale, da parte di funzionari pubblici e gruppi armati filogovernativi contro le proteste. Ciò ha causato almeno 24 morti in soli quattro giorni.
Le autorità hanno inoltre effettuato detenzioni arbitrarie di massa per motivi politici, sparizioni forzate e torture, anche ai danni di minorenni e persone con disabilità. Secondo dati ufficiali, più di 2.000 persone sono state arrestate dopo le contestate elezioni del 2024, di cui almeno 198 minorenni. Si ritiene che tutte queste persone siano sottoposte a procedimenti penali infondati per terrorismo e altre gravi accuse.
I difensori dei diritti umani e le organizzazioni della società civile subiscono persecuzioni e stigmatizzazione da parte delle autorità attraverso campagne diffamatorie, dichiarazioni pubbliche minacciose, leggi restrittive e altre politiche repressive. Nell’agosto 2024 l’Assemblea Nazionale, controllata dal governo, ha accelerato l’approvazione della cosiddetta “legge anti-Ong”. A partire dal febbraio 2025, questa legge impone requisiti esorbitanti e arbitrari ai nostri partner e alla nostra sezione. Anche altre leggi recentemente approvate o al vaglio dell’Assemblea (la legge contro il “fascismo” e la “legge Bolívar”) mettono a rischio in modo significativo qualsiasi forma di dissenso, incluso il diritto alla libertà di espressione, di riunione e di associazione.
Presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela
Nicolas Maduro
Procuratore generale
Tarek William Saab
c/o Ambasciata del Venezuela
Via Nicolò Tartaglia, 11, 00197 Roma RM
Egregio presidente Nicolás Maduro,
chiediamo la scarcerazione immediata e incondizionata di Carlos Julio Rojas, prigioniero di coscienza detenuto esclusivamente per aver difeso e promosso i diritti umani. Non avrebbe mai dovuto essere arrestato.
Carlos Julio Rojas è un giornalista e organizzatore comunitario, detenuto dal 15 aprile 2024 per aver espresso preoccupazione per i problemi che affliggono la sua comunità. Fa parte di un numeroso gruppo di prigionieri politici che hanno subito una miriade di altre gravi violazioni dei diritti umani, tra cui sparizioni forzate nei giorni successivi alla detenzione, negazione di una difesa legale affidabile, periodi di detenzione senza contatti col mondo esterno, negazione di cure mediche e, in alcuni casi, persino tortura.
Questi possibili crimini di diritto internazionale e gravi violazioni dei diritti umani sono monitorati e analizzati singolarmente da meccanismi internazionali di giustizia e di accertamento delle responsabilità, tra cui la Corte penale internazionale. Le molestie, le minacce e la detenzione dei difensori dei diritti umani e gli attacchi alla società civile in generale devono cessare immediatamente. Il loro ruolo, nel mezzo dell’attuale emergenza umanitaria e della crisi dei diritti umani, dovrebbe essere protetto e celebrato.
Chiediamo la scarcerazione immediata e incondizionata di Carlos Julio Rojas e di tutte le vittime di detenzione arbitraria in Venezuela. Finché rimarranno sotto la vostra custodia, esigiamo il loro diritto alla vita e alle cure mediche, a non essere sottoposte a tortura e a godere di tutte le garanzie di un giusto processo.
La ringrazio per l’attenzione
Mohamed Boughalleb è un importante giornalista tunisino. Ha criticato spesso il presidente Kais Saied e altri funzionari in tv, radio e sui social media, accusandoli di malgoverno e corruzione. Nella Tunisia di Saied ogni dissenso è represso e il decreto legge 2022-54 sui reati informatici è diventata l’arma principale della sua guerra ai media.
Mohamed Boughalleb è stato arrestato il 22 marzo 2024, a seguito di una denuncia di un alto funzionario del Ministero degli affari religiosi che male aveva digerito le critiche del giornalista. È stato successivamente condannato a otto mesi di carcere per diffamazione e posto arbitrariamente in custodia cautelare in un caso separato. Le sue condizioni di salute sono gravemente peggiorate durante la detenzione a causa della mancata assistenza sanitaria.
Il 20 febbraio 2025 la Corte d’appello di Tunisi ha approvato la richiesta di libertà provvisoria, gli ha imposto un divieto di viaggio e ha deciso di rinviare il processo. Rischia cinque anni di carcere e una multa di 50.000 dinari (circa 16.000 euro).
Le autorità tunisine devono far cadere tutte le accuse nei confronti di Mohamed Boughalleb, detenuto esclusivamente per aver esercitato pacificamente il suo diritto alla libertà di espressione.
Il giornalismo non è un crimine!
Dal maggio 2024 le autorità tunisine hanno ulteriormente intensificato la repressione nei confronti dei media e del diritto alla libertà di espressione. Il 22 maggio il Tribunale di primo grado di Tunisi ha condannato Borhen Bsaies e Mourad Zeghidi, entrambi noti giornalisti, a un anno di carcere ai sensi dell’articolo 24 del Decreto legge 2022-54 sui reati informatici, in casi separati. Il giorno successivo, lo stesso tribunale ha condannato il fondatore dei media e attivista tecnologico Houssem Hajlaoui a nove mesi di carcere con sospensione condizionale per le sue attività online, dopo averlo trattenuto per 11 giorni.
L’11 maggio 2024 anche Sonia Dahmani, avvocata ed editorialista, collega di Bsaies e Zeghidi nel popolare programma quotidiano “Emission Impossible” della radio privata IFM, è stata arrestata ai sensi dello stesso decreto. Il 6 luglio 2024 il Tribunale di primo grado di Tunisi l’ha condannata a un anno di carcere, ridotto a otto mesi in appello, per aver fatto un commento ironico sulla situazione dei migranti in Tunisia durante un programma televisivo.
Il 24 ottobre 2024 lo stesso tribunale l’ha condannata a ulteriori due anni di carcere, in un caso separato, per aver denunciato pratiche razziste e discriminatorie in Tunisia.
Dalla sua promulgazione nel settembre 2022, le autorità hanno utilizzato il Decreto legge 2022-54 per colpire le persone che esercitano il loro diritto alla libertà di espressione. Questa norma viola i trattati sui diritti umani, comprese le disposizioni della Carta africana dei diritti umani e dei popoli e del Patto internazionale sui diritti civili e politici, di cui la Tunisia è Stato parte. Sia l’articolo 9 della Carta che l’articolo 19 del Patto garantiscono il diritto alla libertà di espressione. Le restrizioni ai diritti umani basate su termini ambigui e eccessivamente generici come “fake news” e altre disposizioni repressive della legge sulla criminalità informatica non soddisfano i requisiti di legalità, necessità e proporzionalità.
Il 25 luglio 2021 il presidente Kais Saied si è attribuito poteri di emergenza, sostenendo che gli erano stati concessi dalla Costituzione tunisina del 2014. Dal febbraio 2022 la situazione dei diritti umani si è rapidamente deteriorata. Le autorità hanno ordinato successive ondate di arresti contro oppositori politici e presunti critici del presidente Saied.
Oltre 70 persone, tra cui oppositori politici, avvocati, giornalisti, attivisti e difensori dei diritti umani, sono state sottoposte a procedimenti giudiziari arbitrari e/o detenzioni arbitrarie dalla fine del 2022 in relazione all’esercizio dei loro diritti.
La repressione dell’opposizione e dei critici rappresenta un flagrante attacco allo stato di diritto e ai diritti umani, compresi i diritti alla libertà di espressione, di associazione e di riunione pacifica, tutelati dagli articoli 19, 21 e 22 del Patto internazionale sui diritti civili e politici e dagli articoli 9, 10 e 11 della Carta africana dei diritti umani e dei popoli.
Presidente della Repubblica Kais Saied
Route de la Goulette Site archéologique de Carthage, Tunisie
Email: contact@carthage.tn;
Twitter: @TnPresidency
Eccellenza,
Le scrivo per esprimere la mia profonda preoccupazione per i continui attacchi a Mohamed Boughalleb, arrestato nel marzo 2024, solo per aver esercitato pacificamente i suoi diritti umani. Le forze di sicurezza lo hanno arrestato il 22 marzo in seguito a una denuncia presentata da un alto funzionario del Ministero degli affari religiosi, dopo che Mohamed Boughalleb aveva pubblicamente messo in discussione le spese del Ministero.
Il 26 marzo 2024 il pubblico ministero presso il Tribunale di primo grado di Tunisi ha incriminato Mohamed Boughalleb per “aver attribuito atti illeciti a un pubblico ufficiale senza fornire prove” e per “aver insultato altri o disturbato la loro tranquillità attraverso le reti di telecomunicazioni pubbliche” ai sensi rispettivamente degli articoli 128 del Codice penale e 86 del Codice delle telecomunicazioni. Il 5 aprile 2024 un giudice istruttore presso il Tribunale di primo grado di Tunisi ha incriminato Mohamed Boughalleb in un caso separato ai sensi dell’articolo 24 del Decreto legge 2022-54 sui reati informatici per “aver utilizzato reti di telecomunicazione per produrre, inviare o diffondere ‘fake news’ o ‘dicerie’”; per “danneggiamento, diffamazione o istigazione alla violenza contro altri” a seguito di una denuncia di una professoressa che sosteneva che Mohamed Boughalleb l’avesse “insultata” su Facebook. Mohamed Boughalleb ha sostenuto che i commenti da lei definiti “insultanti” non provenivano dal suo account.
La salute di Mohamed Boughalleb è gravemente peggiorata durante la sua ingiusta detenzione. Soffre di malattie croniche come diabete e ipertensione e ha sviluppato problemi alla prostata. Il diabete si aggravato in carcere, scatenando ripetute infezioni. La sua vista e il suo udito sono stati gravemente compromessi. Nonostante ciò, non gli è stato concesso l’accesso a cure mediche adeguate in carcere, comprese le medicine quotidiane e le visite mediche regolari.
Il 20 febbraio 2025 la Corte d’appello di Tunisi ha approvato la richiesta di libertà provvisoria ma gli ha imposto un divieto di viaggio.
La esorto a far cadere tutte le accuse nei confronti di Mohamed Boughalleb, preso di mira esclusivamente per il pacifico esercizio dei suoi diritti umani. Inoltre, invito le autorità del Suo paese a cessare gli arresti mirati di critici, giornalisti e oppositori politici per il pacifico esercizio del loro diritto alla libertà di espressione.
La ringrazio per l’attenzione.