Stefano Montesi - Corbis
Tempo di lettura stimato: 12'
La pena di morte è una punizione crudele, disumana e degradante che ormai la maggior parte degli stati del mondo ha consegnato alla storia.
Fin dalla nostra fondazione nel 1961, abbiamo iniziato a fare pressione attraverso gli appelli per fermare le esecuzioni dei prigionieri di coscienza, vale a dire persone detenute solo per il pacifico esercizio dei propri diritti.
Negli anni, ci siamo impegnati sempre di più contro la pena capitale a prescindere dal reato commesso. A livello internazionale siamo, ad esempio, tra i membri fondatori della Coalizione mondiale contro la pena di morte. In Italia, dal 2014 collaboriamo con la Task force contro la pena di morte, istituita dal ministero degli affari esteri.
Ogni anno diffondiamo un rapporto sulla pena di morte nel mondo, fornendo dati e informazione dettagliate.
Il numero delle esecuzioni registrate nel 2023 è il più alto da quasi un decennio. Nonostante questo aumento, il numero degli stati che hanno eseguito condanne a morte ha raggiunto un minimo storico. Le condanne alla pena capitale sono state 2428, il 20 per cento in più rispetto al 2022.
Quasi il 90 per cento delle esecuzioni registrate ha avuto luogo in soli due paesi del Medio Oriente e Africa del Nord: in Iran (74%) e in Arabia Saudita (14%). Negli Usa i progressi degli ultimi anni hanno segnato il passo. Altri passi indietro sono stati registrati nell’Africa subsahariana, dove sono aumentate sia le condanne a morte che le esecuzioni. Il dato non tiene conto delle migliaia di condanne a morte presumibilmente eseguite in Cina.
Il diritto internazionale dei diritti umani stabilisce che le esecuzioni dovrebbero limitarsi ai “reati più gravi”, ma gli illeciti per i quali è prevista la pena di morte sono molteplici e profondamente diversi da stato a stato: la maggior parte dei mantenitori la prevede per l’omicidio, altri per terrorismo o reati contro l’ordine costituito, altri ancora per apostasia o reati a sfondo religioso. In alcuni stati, si può essere condannati a morte per adulterio o per aver stretto una relazione omosessuale, anche se consensuale.
Esistono ordinamenti giuridici che prevedono la pena più crudele anche per reati comuni come il traffico di droga.
Esecuzioni per reati di droga sono state registrate in Cina (sebbene non se ne conosca il numero), Iran (481), Arabia Saudita (19), e Singapore (5) , Kuwait (1) e hanno costituito il 44 per cento del totale delle esecuzioni registrate da Amnesty International nel 2023.
persone messe a morte nel 2023
Le autorità iraniane stanno compiendo una strage di stato sotto la veste di esecuzioni giudiziarie. Sono state messe a morte persone condannate per reati di droga, manifestanti, dissidenti politici e membri di minoranze etniche oppresse. Nel 2023 Amnesty International ha registrato almeno 853 esecuzioni. Nei primi sette mesi del 2024, secondo le organizzazioni locali per i diritti umani, sarebbero state già oltre 300.
Circa il 20% delle esecuzioni riguardano i membri della minoranza etnica beluci, sebbene costituiscano solo il 5% della popolazione iraniana. Nel 2023, le esecuzioni di persone condannate per reati legati alla droga sono triplicate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Queste esecuzioni colpiscono maggiormente le comunità più impoverite.
Le autorità mettono a morte persone anche solo per i loro messaggi sui social media e per rapporti sessuali tra adulti consenzienti. Le autorità iraniane stanno intensificando il ricorso alla pena di morte come strumento politico di repressione. Stanno usando questa punizione estrema, crudele e disumana per tormentare e terrorizzare le persone in Iran e imporre il silenzio e la sottomissione.
La comunità internazionale deve a chiedere immediatamente all’Iran di imporre una moratoria ufficiale su tutte le esecuzioni, inviare rappresentanti a visitare i bracci della morte e chiedere di poter assistere ai processi degli imputati che rischiano la pena capitale.
Firma l’appello e chiedi con noi lo stop delle esecuzioni!
68199 persone hanno firmato
La Dichiarazione universale dei diritti umani e altri trattati regionali e internazionali, che chiedono l’abolizione della pena di morte, riconoscono il diritto alla vita. Un riconoscimento sostenuto anche dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che, nel 2007 e nel 2008, ha adottato una risoluzione che chiede, fra l’altro, una moratoria sulle esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte.
Una difesa legale inadeguata, le false testimonianze e le irregolarità commesse da polizia e accusa sono tra i principali fattori che determinano la condanna a morte di un innocente. In alcuni paesi, il segreto di Stato che circonda la pena capitale impedisce una corretta valutazione di questo fenomeno.
Nessuno studio ha mai dimostrato che la pena di morte sia un deterrente più efficace di altre punizioni.
Eseguendo una condanna a morte, lo stato commette un omicidio e dimostra la stessa prontezza del criminale nell’uso della violenza fisica. Alcuni studi hanno non solo dimostrato come il tasso di omicidi sia più alto negli stati che applicano la pena di morte rispetto a quelli dove questa pratica è stata abolita, ma anche come questo aumenti rapidamente dopo le esecuzioni.
Qualunque sia il metodo scelto per uccidere il condannato, l’uso della pena di morte nega la possibilità di riabilitazione, di riconciliazione e respinge l’umanità della persona che ha commesso un crimine.
Questa storia spiega perché le firme, le mobilitazioni, la sensibilizzazione servono e possono salvare delle vite.
Magai aveva solo 15 anni quando era stato condannato in Sud Sudan alla pena capitale. Anche grazie al nostro lavoro di denuncia e pressione, la notizia della sua condanna a morte ha fatto il giro del mondo. Centinaia di migliaia di persone come te hanno firmato appelli e fatto pressione sulle autorità per chiedere di annullare la condanna a morte. Ha funzionato!
Magai non sarà messo a morte.