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Regno dell’Arabia Saudita

Capo di stato e di governo: Salman bin Abdulaziz Al Saud (ha ricoperto anche la carica di capo di governo fino a settembre)

Capo di governo: Mohammed bin Salman bin Abdulaziz Al Saud (nominato a settembre)

Le autorità hanno preso di mira persone che avevano esercitato pacificamente i loro diritti alla libertà d’espressione e associazione. La corte penale specializzata (Specialized Criminal Court – Scc) ha processato persone accusate in relazione alla loro pacifica espressione o associazione o per avere formato organizzazioni comunitarie e le ha condannate a lunghi periodi di carcerazione, al termine di procedimenti giudiziari gravemente iniqui. I difensori dei diritti umani sono stati maltrattati in carcere o soggetti a divieti di viaggio arbitrari come condizione per il loro rilascio dal carcere. I tribunali hanno emesso condanne alla pena capitale al termine di processi gravemente irregolari, anche in casi giudiziari riguardanti persone minorenni all’epoca del reato ascritto, e persone sono state messe a morte per un’ampia gamma di reati. Migliaia di residenti sono stati sottoposti a sgomberi forzati nella città costiera di Gedda. I lavoratori migranti hanno continuato a subire abusi e sfruttamento nel contesto del sistema di lavoro tramite sponsor e a migliaia sono stati arbitrariamente detenuti in condizioni disumane, torturati e altrimenti maltrattati, e rimandati contro la loro volontà nei loro paesi d’origine, nel quadro di un giro di vite messo in atto a livello nazionale contro i migranti privi di documenti. L’entrata in vigore di una legge sullo status personale, la prima mai introdotta nel paese, ha codificato a livello legislativo il sistema di tutoraggio maschile e la discriminazione contro le donne.

 

CONTESTO

Il 27 settembre, re Salman ha nominato il principe ereditario Mohammed bin Salman quale primo ministro, una funzione precedentemente esercitata dal re, in virtù di un’eccezione alla legge fondamentale saudita sulla governance.

A marzo, alti rappresentanti del Parlamento europeo hanno pubblicato una dichiarazione sulla situazione dei diritti umani in Arabia Saudita, condannando l’esecuzione di massa avvenuta il 12 marzo e sollecitando il paese a stabilire un’immediata moratoria sulle esecuzioni.

A luglio, il presidente statunitense Joe Biden ha visitato l’Arabia Saudita. Successivamente, lo stesso mese, l’Arabia Saudita ha pubblicato una dichiarazione congiunta (Comunicato di Gedda) che delineava la partnership strategica tra i due paesi e che non conteneva alcun riferimento al tema dei diritti umani.

Il 6 novembre, nella capitale Riyadh, l’Arabia Saudita e l’Ue hanno avuto il loro secondo dialogo sui diritti umani. L’Ue ha espresso preoccupazione per il forte aumento delle esecuzioni, per questioni legate alla libertà di riunione e di associazione e per l’uso dei divieti di viaggio.

La coalizione guidata dall’Arabia Saudita impegnata nel perdurante conflitto in corso in Yemen ha continuato a essere implicata in crimini di guerra e altre gravi violazioni del diritto internazionale (cfr. Yemen).

 

LIBERTÀ D’ESPRESSIONE E ASSOCIAZIONE

La corte penale specializzata (Specialized Criminal Court – Scc) ha emesso verdetti di colpevolezza nei confronti di almeno 15 individui, sia cittadini sauditi che stranieri, condannandoli a pene variabili dai 15 ai 45 anni di carcere al termine di processi gravemente irregolari, per il pacifico esercizio della loro libertà d’espressione o associazione, comprese pacifiche conversazioni online pubblicate su Twitter. L’Scc ha condannato almeno due attiviste per i diritti delle donne a pene detentive di inedita lunghezza.

L’Scc e altre corti hanno anche continuato a imporre condizioni restrittive nei confronti di individui scarcerati durante l’anno al completamento della loro condanna, comprendenti divieti di viaggio e la chiusura dei loro account sui social.

Il 9 agosto, durante un’udienza d’appello, l’Scc ha condannato Salma al-Shehab, dottoranda e attivista, a 34 anni di carcere seguiti da un divieto di viaggio per altri 34 anni, per i suoi scritti e la sua pacifica attività su Twitter a sostegno dei diritti delle donne in Arabia Saudita. La pubblica accusa aveva chiesto una pena più dura, dopo che era stata inizialmente condannata a sei anni di carcere. L’inasprimento della pena era basato sulla discrezionalità del giudice di punirla per “avere turbato l’ordine pubblico e destabilizzato la sicurezza e la stabilità dello stato” attraverso la pubblicazione di tweet, citando gli artt. 34, 38, 43 e 44 della legge antiterrorismo e l’art. 6 della legge sui reati informatici1.

Al termine di un processo gravemente iniquo, l’11 ottobre l’Scc ha condannato 10 uomini nubiani egiziani a pene variabili dai 10 a 18 anni di carcere, per avere organizzato un pacifico evento di commemorazione2.

Gli uomini avevano trascorso più di due anni in detenzione cautelare arbitraria.

 

DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI

I difensori dei diritti umani hanno continuato a essere arbitrariamente detenuti, condannati al termine di processi gravemente iniqui o ridotti al silenzio, dopo essere state scarcerati con la condizionale.

A febbraio, la nota difensora dei diritti umani Loujain al-Hathloul è stata rilasciata con la condizionale al completamento del periodo di pena1. A giugno, le difensore dei diritti umani Nassima al-Sada e Samar Badawi sono state scarcerate, anche loro con la condizionale. Le condizioni imposte comprendevano tra l’altro divieti giudiziari di viaggio, di parlare in pubblico, di riprendere il lavoro di difesa dei diritti umani e di utilizzare i social network; queste costituivano una violazione dei loro diritti alla libertà d’espressione, associazione e riunione pacifica all’interno del paese, e della libertà di movimento al di fuori dell’Arabia Saudita.

Tra gennaio e luglio, l’Scc ha indebitamente condannato cinque difensori dei diritti umani a pene variabili dai sei ai 20 anni di reclusione. Alcuni di loro avevano appena finito di scontare lunghi periodi di carcerazione, derivanti da precedenti casi giudiziari per accuse similari, legate al loro pacifico esercizio dei diritti umani2. Per esempio, ad aprile, l’Scc ha condannato Mohammad al-Rabiah, difensore dei diritti umani, scrittore e aperto fautore dei diritti delle donne, a sei anni di reclusione seguiti da un divieto di viaggio della durata di sei anni, quando aveva già scontato quasi tre anni di carcere dopo essere stato arrestato a maggio 2018, nell’ambito del giro di vite messo in atto dalle autorità contro i difensori dei diritti umani.

 

DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI

Le organizzazioni per i diritti umani sono rimaste vietate ai sensi della legge sulle associazioni. Difensori dei diritti umani e attivisti hanno continuato a essere arbitrariamente arrestati, vessati in detenzione o sottoposti ad arbitrari divieti di viaggio che limitano la loro libertà di movimento. Decine di loro continuavano a dover scontare pene carcerarie a causa del lavoro in difesa dei diritti umani.

A marzo, Raif Badawi, blogger e attivista, è stato rilasciato con la condizionale dopo avere scontato una condanna a 10 anni di carcere, per avere creato un forum di dibattito pubblico online per il quale era stato accusato di avere insultato l’Islam. Al suo rilascio è scattato un divieto di viaggio della durata di 10 anni, che gli era stato comminato come parte della sentenza3.

A Mohammad al-Qahtani, difensore dei diritti umani e membro fondatore dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici, da ottobre a fine anno, è stato negato ogni contatto con la famiglia. A maggio è stato aggredito da un altro recluso con lui nella stessa ala del carcere, il quale soffriva di problemi di salute mentale.

 

PENA DIMORTE

Le autorità hanno emesso nuove condanne a morte ed effettuato esecuzioni di persone giudicate colpevoli di omicidio, rapina, stupro, traffico di droga e reati in materia di terrorismo, al termine di procedimenti giudiziari gravemente iniqui. A febbraio, la commissione per i diritti umani saudita ha riferito ad Amnesty International che il paese non effettuava più esecuzioni “per reati commessi da minorenni” e che aveva commutato tutte le condanne di questo tipo ancora in sospeso. Tuttavia, tra giugno e ottobre, l’Scc e un altro tribunale penale hanno confermato le condanne a morte di tre giovani, che all’epoca del reato capitale non avevano ancora compiuto i 18 anni4.

Nella più grande esecuzione di massa effettuata in un solo giorno negli ultimi decenni, il 15 marzo sono stati messi a morte 81 uomini, cittadini sauditi e stranieri. Secondo il ministero dell’Interno, le persone messe a morte erano state condannate per un’ampia gamma di reati, inclusi crimini in materia di terrorismo, omicidio, rapina a mano armata e traffico di droga. Alcuni dei condannati erano stati ritenuti colpevoli di “danno al tessuto sociale e alla coesione nazionale” e “partecipazione e incitamento alla partecipazione a sit-in e proteste”, formule che descrivono atti che sono tutelati dai diritti alla libertà d’espressione, riunione pacifica e associazione. Quarantuno dei prigionieri messi a morte erano membri della minoranza sciita dell’Arabia Saudita5.

A novembre, le autorità hanno messo a morte 20 persone per reati in materia di droga, le prime esecuzioni per questo tipo di reato da quando, a gennaio 2021, la commissione per i diritti umani saudita aveva annunciato una moratoria sul ricorso alla pena capitale per reati di droga.

Processi iniqui

Ad aprile, la Corte suprema ha confermato le condanne a morte emesse contro due cittadini del Bahrein sciiti per “terrorismo” e imputazioni legate alle proteste. Erano stati arrestati l’8 maggio 2015 e trattenuti in incommunicado e in regime di isolamento per tre mesi e mezzo. A ottobre 2021, l’Scc li aveva condannati a morte al termine di un processo gravemente iniquo. Qualora il re ratificasse le loro condanne, sarebbero a imminente rischio di esecuzione6.

A marzo, Abdullah al-Huwaiti, che era stato arrestato all’età di 14 anni, è stato condannato a morte una seconda volta dalla corte penale della città di Tabuk, dopo che la Corte suprema aveva annullato a novembre 2021 una precedente condanna a morte emessa contro di lui a ottobre 2019. A giugno, una corte d’appello di Tabuk ha confermato la sentenza. Nel periodo trascorso in detenzione, Abdullah al-Huwaiti era stato tenuto in regime di isolamento, gli era stato negato l’accesso a un avvocato ed era stato costretto a “confessare” sotto coercizione. Era stato processato per accuse che includevano rapina a mano armata e l’omicidio di un agente di sicurezza7.

 

SGOMBERI FORZATI

Da gennaio fino a ottobre, le autorità hanno sottoposto migliaia di residenti, compresi cittadini stranieri, a sgomberi forzati nella città di Gedda, nel contesto di una demolizione di massa e di un piano di sgombero, legati allo sviluppo della città. Un organo di stampa allineato con le autorità statali ha annunciato il 31 gennaio un piano di indennizzo, dal quale erano esclusi gli stranieri, destinato ai cittadini sauditi che costituivano circa il 47 per cento delle persone sgomberate. Ai residenti era stato dato un preavviso che andava da un giorno fino a sei settimane. L’intero progetto era stato pianificato quasi tre anni prima, ma le autorità avevano agito senza condurre una reale consultazione con i residenti, fornire un adeguato preavviso, annunciare l’ammontare degli indennizzi o risarcire i residenti prima di effettuare le demolizioni8.

 

DIRITTI DEI MIGRANTI

A luglio, nel quadro di una limitata riforma del sistema di lavoro tramite sponsor, conosciuto come kafala, il ministero delle Risorse umane e dello sviluppo sociale ha annunciato due nuove condizioni in base alle quali i lavoratori domestici avrebbero potuto cambiare lavoro senza prima ottenere il permesso del loro attuale datore di lavoro: nel caso in cui il dipendente terminasse il contratto di lavoro durante il periodo di prova; e qualora fosse provato che i servizi forniti dal dipendente erano già stati trasferiti a un altro datore di lavoro all’insaputa di quello precedente o senza il suo consenso. Tuttavia, le nuove condizioni non tutelavano i lavoratori domestici migranti contro altri abusi che continuavano ad affrontare, inclusi abusi verbali e fisici, confisca del passaporto e irregolare o mancato pagamento degli stipendi.

I lavoratori domestici migranti continuavano a essere esclusi dalle tutele previste dallo statuto dei lavoratori del paese.

Le autorità hanno proseguito il loro giro di vite contro persone accusate di avere violato la normativa vigente in materia di permesso di soggiorno, sicurezza delle frontiere e lavoro, attraverso un’ondata di arresti arbitrari e il rimpatrio di decine di migliaia di migranti eritrei, unicamente sulla base del loro status di immigrazione irregolare (v. sotto, Tortura e altro maltrattamento).

Secondo il ministero dell’Interno, tra gennaio e novembre sono stati espulsi nei rispettivi paesi d’origine almeno 479.000 cittadini stranieri su 678.000 arrestati per “avere violato le norme vigenti in materia di lavoro, permesso di soggiorno e sicurezza delle frontiere”. Durante lo stesso periodo, 14.511 cittadini stranieri, in prevalenza etiopi e yemeniti, sono stati arrestati per avere varcato illegalmente il confine saudita dallo Yemen.

Tortura e altro maltrattamento

Le autorità saudite hanno arbitrariamente detenuto uomini, donne e bambini etiopi per periodi anche di 18 mesi in condizioni disumane e li hanno torturati e altrimenti maltrattati prima di rimandarli in Etiopia, la maggior parte tra aprile e maggio, unicamente per il loro status di immigrazione irregolare. Sono stati tenuti in celle sovraffollate senza adeguato accesso a cibo, acqua, servizi igienici e assistenza medica in due centri di detenzione prima della loro espulsione. Almeno 12 uomini sono deceduti9.

 

DIRITTI DI DONNE E RAGAZZE

A marzo, il consiglio dei ministri ha approvato una nuova legge sullo status personale, che è entrata in vigore a giugno. La nuova norma, che non era in precedenza codificata, consente la discriminazione contro le donne, anche attraverso il sistema di tutoraggio maschile. In base a questa legge, solo gli uomini possono essere tutori legali, le donne devono avere il permesso di un tutore maschile per sposarsi e sono quindi obbligate a obbedire al marito. Inoltre, la legge non riconosce alle donne e agli uomini pari diritti sulle questioni relative ai figli in caso di separazione. Mentre alla madre viene automaticamente concessa la custodia, il padre viene designato come tutore legale del bambino senza tenere in debita considerazione l’interesse del minore10.

 

FALLIMENTO NELL’AFFRONTARE LA CRISI CLIMATICA

Il governo non aveva ancora annunciato un nuovo Ndc.

 


Note:
1 Saudi Arabia: Quash 34-year prison sentence for student Salma al-Shehab, 18 agosto.
2 Saudi Arabia: Quash sentences for Egyptian Nubians who organized peaceful remembrance event, 11 ottobre.
3 Saudi Arabia: New campaign highlights use of punitive travel bans targeting activists and their families, 9 maggio.
4 Saudi Arabia: Young men face imminent execution despite assurances on re-sentencing juveniles to prison terms, 10 ottobre.
5 Saudi Arabia: Mass execution of 81 men shows urgent need to abolish the death penalty, 15 marzo.
6 Saudi Arabia: Halt imminent execution of Bahraini men sentenced after flawed trial, 24 maggio.
7 Saudi Arabia: Arrested at 14, tortured, now faces execution: Abdullah al-Huwaiti, 20 giugno.
8 Saudi Arabia: Mass demolitions and forced evictions marred by violations and discrimination, 22 giugno.
9 Saudi Arabia: “It’s like we are not human”: Forced returns, abhorrent detention conditions of Ethiopian migrants in Saudi Arabia, 16 dicembre.
10 Saudi Arabia codifies male guardianship and gender discrimination, 9 dicembre.

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