Le autorità iraniane stanno compiendo una strage di stato sotto la veste di esecuzioni giudiziarie. In tutto il paese vengono messe a morte persone condannate per reati di droga, manifestazioni, dissenso politico, o con accuse vaghe e formulate in modo generico. Vengono colpite in modo sproporzionato quelle appartenenti a minoranze già oppresse.
Dal 2022, con l’inizio della rivolta Donna Vita Libertà, le autorità iraniane hanno fatto ricorso alla pena di morte come strumento di repressione politica, intensificandone l’uso per soffocare il dissenso e instillare la paura.
Nel 2023 Amnesty International ha registrato almeno 853 esecuzioni, nel 2024 il numero è salito a 972, quasi già eguagliato nei primi otto mesi e mezzo del 2025. Oltre la metà di queste esecuzioni ha riguardato reati di droga, in violazione del diritto internazionale che impedisce l’uso della pena capitale per tali reati.
Le esecuzioni colpiscono in modo sproporzionato le minoranze oppresse. Nel 2024 almeno 80 persone afgane sono state messe a morte (25 nel 2023), circa la metà per reati di droga. Le vittime principali di questo strumento repressivo appartengono alle comunità afgana, baluca e curda spesso colpite anche da una retorica razzista e disumanizzante da parte delle autorità.
Le stesse autorità mettono a morte anche per messaggi sui social media e per rapporti sessuali tra persone adulte consenzienti.
I numeri sono destinati a salire.
Nel giugno 2025, il quartier generale antidroga ha annunciato infatti che 194.700 persone erano state arrestate in un solo anno con l’accusa di traffico o distribuzione di droga. Due mesi dopo le autorità hanno riferito di oltre 20.000 arresti legati alle ostilità tra Iran e Israele, inclusi quelli di centinaia di persone accusate di “spionaggio”, anch’esso punibile con la morte.
La comunità internazionale deve a chiedere immediatamente alle autorità iraniane di imporre una moratoria ufficiale su tutte le esecuzioni, inviare rappresentanti a visitare i luoghi dove si svolgono e chiedere di poter assistere ai processi delle persone che rischiano la pena capitale.
Firma l’appello e chiedi con noi lo stop delle esecuzioni!
Dalla fine del 2022 numerose persone sono state condannate a morte e almeno dieci impiccate in relazione alle proteste per la morte di Mahsa (Zhina) Amini, la giovane curda arrestata e picchiata dalla “polizia morale” per non aver rispettato l’obbligo discriminatorio di indossare il velo. La stessa agenzia sottopone regolarmente donne e ragazze ad arresti e detenzioni arbitrarie, torture e altri maltrattamenti.
La morte di Mahsa (Zhina) Amini, avvenuta il 16 settembre 2022 dopo tre giorni di coma, ha scatenato la rivolta popolare Donna Vita Libertà, repressa con estrema violenza. Da allora le autorità iraniane hanno utilizzato la pena di morte come arma per instillare paura nella popolazione e rafforzare il proprio potere.
Decine di persone vengono condannate e corrono un grave rischio di essere messe a morte a seguito di processi gravemente iniqui per accuse di natura politica, come quelle eccessivamente generiche e vagamente definite di “inimicizia verso Dio” (moharebeh), “corruzione sulla terra” (efsad-e fel-arz) e “ribellione armata contro lo stato” (baghi).
Tra di loro ci sono almeno tre donne (Pakhshan Azizi, Sharifeh Mohammadi e Verisheh Moradi) e almeno 50 uomini: Abbas Deris, Abolhassan Montazer, Abdolghani Shahbakhsh, Abdolrahim Ghanbarzehi, Adnan Ghobeishavi, Afshin Ghorbani Meyshani, Ahmadreza Djalali, Ali (Soran) Ghassemi, Ali Mojadam, Ali Obeidavi, Alireza Bamerzpournak, Alireza Kafaei, Alireza Merdasi, Akbar (Shahrokh) Daneshvarkar, Amir Hossein Maghsoudloo (Amir Tataloo), Amir Mohammad Khosheghbal, Babak Alipour, Babak Shahbazi, Ehsan Faridi, Eidou Shahbakhsh, Farshad Etemadi Far, Fazel Bahramian, Habib Deris, Hatem Özdemir (di nazionalità turca), Hossein Nemati, Issa Eidmohammadi, Kaveh Salehi, Manouchehr Fallah, Masoud Jamei, Mehrab (Mehran) Abdullahzadeh, Milad Armoun, Moein Khanfari, Mohammad Taghavi Sangdehi, Mohammad Javad Vafaei Sani, Mohammadreza Moghaddam, Navid Najaran, Omid Tabari Moghaddam, Peyman (Amin) Farhahvar, Pezhman Soltani, Peyman (Amin) Farhahvar, Pouya Ghobadi, Rezgar Beigzadeh Babamiri, Salem Mousavi, Saman Mohammadi Khiareh, Shahin Basami, Soleiman Shahbakhsh, Tayfour Salimi Babamiri, Vahid Bani Amerian, Yaghoub Derakhshan e Yousef Ahmadi.
L’uso della pena di morte da parte delle autorità iraniane ha inoltre un impatto sproporzionato sulle minoranze oppresse dell’Iran, in particolare quelle appartenenti alle comunità afgana, baluca e curda.
Le autorità hanno mosso accuse infondate contro le persone afgane, accusandole di “spionaggio” a favore di Israele. Almeno cinque persone identificate come afgane sono state arrestate dal 14 giugno 2025 con queste accuse e i media statali hanno trasmesso le “confessioni” forzate di almeno quattro di loro.
Alti funzionari dello stato iraniano tra cui Gholamhossein Mohseni Eje’i, capo della magistratura, hanno chiesto processi accelerati ed esecuzioni per “sostegno” o “collaborazione” con stati ostili, tra cui Israele.
I media statali auspicano la ripetizione dei massacri nelle prigioni del 1988, come ad esempio in un articolo di Fars News, sostenendo che “gli elementi mercenari… meritano esecuzioni come quelle del 1988”. Dal 13 giugno 2025 almeno nove uomini sono stati messi a morte con accuse di natura politica e/o accuse di spionaggio per conto di Israele.
Amnesty International si oppone alla pena di morte in tutti i casi, senza eccezioni.
La pena di morte è una violazione del diritto alla vita sancito dalla Dichiarazione universale dei diritti umani ed è la punizione più crudele, inumana e degradante che esista.
Amnesty International da sempre invita tutti gli stati che mantengono la pena di morte, compreso l’Iran, a stabilire una moratoria ufficiale sulle esecuzioni, con l’obiettivo di abolire completamente la pena di morte.
Capo della magistratura
Gholamhossein Mohseni Ejei
c/o Ambasciata dell’Iran presso l’Unione Europea
Avenue Franklin Roosevelt n. 15
1050 Bruxelles, Belgio
Egregio Signor Gholamhossein Mohseni Ejei,
migliaia di persone in Iran rischiano la pena di morte a seguito di processi gravemente iniqui celebrati dai tribunali rivoluzionari, anche per reati legati alla droga o per accuse eccessivamente generiche e vaghe, che non rispettano il principio di legalità previsto dal diritto internazionale.
Le autorità iraniane si rifiutano di pubblicare statistiche sull’uso della pena di morte e il numero esatto delle persone condannate a morte o sottoposte a procedimenti penali per reati capitali è sconosciuto.
Tuttavia, le dichiarazioni ufficiali indicano che il numero di coloro che potrebbero essere a rischio di esecuzione è molto elevato.
Tra gennaio e metà settembre 2025 le autorità hanno messo a morte oltre 900 persone, in forte aumento rispetto al 2024.
Dal 2022, anno della rivolta Donna Vita Libertà, le autorità hanno intensificato il ricorso alla pena di morte, con il pretesto della sicurezza nazionale. Lo stesso è avvenuto all’indomani del conflitto armato del giugno 2025 tra Israele e Iran.
Da allora, sono stati sollecitati processi accelerati e pene severe, compresa la pena di morte, per le persone accusate di “sostenere” o “collaborare” con Israele, e il Parlamento ha approvato una legge che, se ratificata dal Consiglio dei guardiani, amplierà il ricorso alla pena di morte.
Le ricerche di Amnesty International hanno dimostrato che i tribunali rivoluzionari, che esercitano la giurisdizione sui reati relativi alla sicurezza nazionale e alla droga, mancano di indipendenza e infliggono pene severe a seguito di processi gravemente iniqui.
Alle persone processate davanti a tali tribunali viene sistematicamente negato il diritto a un processo equo.
La esorto a sospendere immediatamente tutte le esecuzioni previste, ad annullare tutte le condanne a morte e a stabilire una moratoria ufficiale su tutte le esecuzioni, in vista della completa abolizione della pena di morte.
In attesa di ciò, La invito a adottare misure per allineare la legislazione nazionale al diritto e agli standard internazionali, abolendo la pena di morte per i reati legati alla droga e per i reati definiti in modo vago, e abrogando l’obbligatorietà della pena di morte.
Cordiali saluti,