Burundi, migliaia di rifugiati sotto pressione per tornare nel paese nonostante il rischio di uccisioni e torture

29 Settembre 2017

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Migliaia di rifugiati del Burundi stanno ricevendo crescenti pressioni per tornare nel loro paese, dove secondo un rapporto diffuso oggi da Amnesty International rischierebbero di essere uccisi o di subire torture.

Quest’anno Tanzania e Uganda, rispettivamente a gennaio e a giugno, hanno posto fine alla prassi di concedere automaticamente asilo politico ai richiedenti asilo del Burundi.

Il governo di Bujumbura è sempre più pressante nel pretendere il ritorno dei rifugiati. Nel corso di una visita in Tanzania – la prima all’estero dal fallito colpo di stato di due anni fa – il presidente Pierre Nkurunziza ha chiesto agli oltre 240.000 rifugiati accolti in quel paese di rientrare in patria, ricevendo l’approvazione del presidente tanzaniano John Magufuli. Analoghi messaggi sono stati portati da funzionari del Burundi nei campi per rifugiati dell’Uganda.

“Mentre il governo del Burundi dice che nel paese va tutto bene e sollecita i rifugiati a rientrare, altri burundesi continuano a fuggire a causa della repressione e dell’insicurezza”, ha dichiarato Rachel Nicholson, ricercatrice di Amnesty International sul Burundi.

“Dev’essere chiaro: il Burundi non è ancora tornato alla normalità e il tentativo del governo di negare le terribili violazioni dei diritti umani ancora in corso nel paese non dev’essere preso sul serio”, ha proseguito Nicholson.

Il rapporto di Amnesty International mette in luce il clima di paura largamente diffuso in Burundi da quando, nell’aprile 2015, il presidente Nkurunziza ha deciso di candidarsi per il terzo mandato.

Le forze di sicurezza e gli Imbonerakure, l’ala giovanile e sempre più militarizzata del Consiglio nazionale per la difesa della democrazia – Forze per la difesa della democrazia (Cndd-Fdd), il partito al potere, continuano a torturare e a uccidere chi è sospettato di parteggiare per l’opposizione.

Nel corso di due visite in Tanzania nel giugno 2016 e in Uganda nel luglio 2017, i ricercatori di Amnesty International hanno intervistato 129 rifugiati del Burundi, alcuni dei quali appena arrivati, sui motivi della loro fuga e del timore di ritornare.

La vasta maggioranza di loro ha parlato dell’insicurezza e della repressione portata avanti da Imbonerakure, forze di polizia, servizi di sicurezza ed esercito, riferendo di uccisioni, pestaggi, minacce di violenza sessuale, torture in carcere ed estorsione di denaro.

“Appartenere a un partito di opposizione o essere associati ai suoi esponenti, rifiutare di aderire al partito al potere o anche solo cercare di lasciare il paese sono motivi sufficienti per essere visti con sospetto e rischiare l’arresto, se non peggio”, ha sottolineato Nicholson.

“In queste circostanze, è fondamentale che Tanzania e Uganda continuino a rappresentare un rifugio sicuro per i rifugiati del Burundi, come previsto dal diritto internazionale”, ha aggiunto Nicholson.

“Se non fai parte del Cndd-Fdd, sei considerato un loro nemico”, ha detto un giovane rifugiato intervistato da Amnesty International.

Sedici rifugiati hanno raccontato di essere stati sottoposti a maltrattamenti e torture in carcere. Uno di loro, un giovane uomo imprigionato a maggio per una settimana nella provincia di Kirundo, ha denunciato di essere stato tenuto in una piccola cella buia insieme ad altri tre detenuti, di essere stato preso a bastonate e di essere stato costretto a mangiare il suo pasto nel gabinetto situato nella stanza accanto.

“Ci torturavano per farci confessare che collaboravamo coi ribelli. Un giorno ci hanno fatto una cosa orribile: hanno riempito bottiglie di sabbia e le hanno appese ai nostri testicoli”, ha raccontato.

Una donna ha testimoniato di essere stata stuprata da due Imbonerakure, nella sua abitazione e davanti ai suoi figli: “Volevo solo lasciare il paese, sapevo che non ero al sicuro”.

“Molti rifugiati sono ancora traumatizzati dalle violazioni dei diritti umani che hanno subito o cui hanno assistito. I paesi vicini devono continuare ad accoglierli e a proteggerli. La comunità internazionale deve finanziare in modo adeguato, cosa che finora ha profondamente mancato di fare, la risposta alla crisi dei rifugiati del Burundi”, ha detto Nicholson.

Amnesty International ha lanciato il suo rapporto nel giorno in cui il Consiglio Onu dei diritti umani era chiamato a rinnovare il mandato della Commissione d’inchiesta sul Burundi, cosa che è avvenuta nel corso della giornata. Un mese fa la Commissione aveva dichiarato di avere ampie prove di crimini contro l’umanità commessi nel paese.

“Le autorità del Burundi vorrebbero che il mondo ignorasse le violazioni dei diritti umani che stanno avvenendo nel paese. La comunità internazionale deve impedire che questo accada”, ha concluso Nicholson.

Ulteriori informazioni

Secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr), oltre 400.000 persone si sono rifugiate all’estero e altre 200.000 hanno dovuto trasferirsi altrove all’interno del paese, la cui popolazione è di poco superiore ai 10 milioni.

I rifugiati sono ospitati principalmente in Tanzania, Uganda, Ruanda e Repubblica Democratica del Congo. Dei fondi richiesti per il programma dell’Unhcr di risposta alla crisi dei rifugiati del Burundi, nel 2017 è arrivato solo il 6 per cento.

FINE DEL COMUNICATO

Roma, 29 settembre 2017

Il rapporto “Conform or flee: repression and insecurity pushing Burundias into exile“.

Per interviste:

Amnesty International Italia – Ufficio Stampa

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