Dalle piazze al carcere: una generazione di giovani attivisti schiacciata dalla repressione in Egitto

29 Giugno 2015

Tempo di lettura stimato: 10'

In un rapporto pubblicato oggi, Amnesty International ha dichiarato che la continua repressione delle autorità egiziane contro i giovani attivisti rappresenta il chiaro tentativo di schiacciare le menti più coraggiose e brillanti del paese ed eliminare qualunque minaccia embrionale al potere. Generazione carcere: la gioventù egiziana dalle proteste alla prigione si concentra sui casi di 14 delle migliaia di giovani arrestati in modo arbitrario, detenuti e incarcerati in Egitto negli ultimi due anni in relazione alle proteste.

Nel suo rapporto, Amnesty International denuncia come il paese sia tornato completamente a essere uno stato di polizia. ‘Due anni dopo l’estromissione del presidente Mohamed Morsi, alle proteste di massa sono subentrati arresti di massa. Attaccando senza sosta i giovani attivisti egiziani, le autorità stanno spezzando le speranze in un futuro migliore di un’intera generazione‘ – ha affermato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. ‘Dopo la rivolta del 2011, i giovani egiziani erano stati acclamati come simbolo di speranza dai leader militari del paese e dai partner internazionali. Il loro idealismo e l’impegno a favore di ‘pane, libertà e giustizia sociale’ si erano rivelati forze trainanti per il cambiamento. Ma oggi molti di questi giovani attivisti stanno languendo dietro le sbarre, a conferma del fatto che l’Egitto sia regredito a uno stato che ricorre appieno alla repressione‘ – ha proseguito Sahraoui.

Amnesty International ha fortemente condannato l’uccisione del procuratore generale Hisham Barakat in un attentato eseguito al Cairo il 29 giugno, definendola ‘un omicidio a sangue freddo, un atto codardo e che suscita disprezzo’. In uno stato di diritto, giudici e procuratori devono essere liberi di svolgere il loro lavoro senza minacce di violenza. L’organizzazione per i diritti umani ha sollecitato le autorità egiziane a non rispondere all’omicidio del procuratore Barakat prendendo ulteriormente di mira manifestanti e attivisti pacifici e ha espresso preoccupazione per il numero delle persone attualmente in carcere a seguito della repressione del dissenso. Il governo di Abdel Fattah al-Sisi non sembra infatti allentare la sua politica oppressiva.

Secondo gli ultimi dati diffusi dagli attivisti egiziani per i diritti umani, il giro di vite ha visto più di 41.000 persone arrestate, accusate di reati penali e processate in modo irregolare.’Il livello della repressione è agghiacciante. Le autorità egiziane hanno dimostrato che non si fermeranno di fronte a nulla nel tentativo di soffocare ogni sfida al loro potere‘ – ha sottolineato Sahraoui. ‘Tra le persone in carcere vi sono leader di movimenti giovanili apprezzati a livello internazionale, difensori dei diritti umani e perfino bambini che indossavano magliette con slogan anti-tortura‘ – ha precisato Sahraoui.

La Legge sulle proteste, entrata in vigore nel novembre 2013, autorizza le autorità a arrestare e processare dimostranti pacifici a loro piacimento e criminalizza la mera azione di scendere in strada senza previa autorizzazione. Inoltre, dà alle forze di sicurezza mano libera per ricorrere alla forza eccessiva e letale nei confronti di manifestanti pacifici. ‘La Legge sulle proteste è diventata la corsia preferenziale per imprigionare manifestanti pacifici, trattati alla stregua di criminali.
Dev’essere abolita immediatamente‘ – ha chiarito Hassiba Hadj Sahraoui. Il giro di vite iniziato nel luglio 2013 con l’arresto di Morsi e dei suoi sostenitori, tra cui i leader più in vista della Fratellanza musulmana, si è allargato fino a colpire l’intero panorama politico egiziano.

Tra i giovani imprigionati in modo arbitrario vi sono gli attivisti Ahmed Maher e Mohamed Adel del ‘Movimento giovanile 6 aprile’, il noto blogger Ahmed Douma, Alaa Abd El Fattah, un blogger e autorevole voce critica che è stato in prigione sotto Hosni Mubarak e il Consiglio supremo delle Forze armate, e i difensori dei diritti umani Yara Sallam e Mahienour El-Massry.
Insieme a loro, si trovano in carcere persone che hanno protestato contro la deposizione di Morsi, come il cittadino irlandese Ibrahim Halawa, le studentesse universitarie Abrar Al-Anany e Menatalla Moustafa e la insegnante Yousra Elkhateeb.
Sono stati tutti condannati per aver sfidato la durissima Legge sulle proteste o ulteriori norme che limitano in modo arbitrario il diritto alla libertà di manifestazione pacifica. Il gruppo di attivisti ‘Libertà per i valorosi‘ ha denunciato una nuova ondata di arresti, scattata a metà del 2015, che ha visto almeno 160 persone finire in carcere in condizioni equivalenti a sparizioni forzate.

A sua volta, la Fratellanza musulmana ha denunciato nuovi arresti tra i suoi seguaci. Le autorità egiziane cercano sovente di giustificare le politiche restrittive ricorrendo al tema del mantenimento della stabilità e della sicurezza. Ma sebbene in alcuni casi i manifestanti abbiano usato violenza, la risposta delle forze di sicurezza è stata sistematicamente sproporzionata. Molti arrestati sono stati portati di fronte ai giudici a seguito di accuse false o motivate politicamente e sono stati condannati, al termine di processi di massa con centinaia di imputati, sulla base di prove insufficienti o inesistenti o solo grazie a testimonianze da parte delle forze di sicurezza o a indagini della Sicurezza nazionale. Altri sono in carcere da lungo tempo senza accusa né processo. 

Tra questi, c’è lo studente Mahmoud Mohamed Ahmed Hussein, arrestato mentre tornava a casa dopo aver preso parte a una protesta, solo a causa dello slogan scritto sulla sua maglietta. Secondo i suoi familiari e avvocati, ha ‘confessato’ sotto tortura attività collegate al terrorismo. Ha trascorso il suo 19esimo compleanno in prigione, dove è rinchiuso da più di 500 giorni. Il dato di migliaia di persone condannate per false accuse o a causa di leggi che limitano la libertà di espressione e di manifestazione pacifica, è in profondo contrasto coi pochi casi di agenti di polizia processati per violazioni dei diritti umani a partire dal gennaio 2011.

Nessun membro delle forze di sicurezza è stato chiamato a rispondere sul piano penale per il massacro di centinaia di sostenitori di Morsi, avvenuto nelle piazze Rabaa Adawiya e al-Nahda del Cairo il 14 agosto 2013. Amnesty International ha sollecitato i partner internazionali dell’Egitto a non sacrificare i diritti umani nel dialogo con le autorità. I leader dei paesi influenti dell’Unione europea, tra cui Francia, Italia e Germania, hanno avuto colloqui con il presidente Abdel Fattah al-Sisi mentre la sua amministrazione metteva migliaia di oppositori politici dietro le sbarre. Non risulta in alcun modo che durante questi incontri sia stata chiesta la fine di queste gravi violazioni dei diritti umani.

La Gran Bretagna ha invitato a colloqui il presidente al-Sisi un giorno dopo che Morsi era stato condannato a morte al termine di un processo irregolare. A marzo, il governo degli Stati Uniti d’America ha annunciato la fine del blocco sui trasferimenti di armi all’Egitto e l’offerta di assistenza militare continuativa alle forze armate e di sicurezza del paese. ‘La grande ipocrisia dei partner egiziani è stata messa a nudo dalla corsa a concludere lucrosi accordi commerciali, ad acquisire influenza politica, a collaborare in materia d’intelligence e a concludere nuove vendite e trasferimenti di equipaggiamento per le forze di polizia che potrebbero facilitare le violazioni dei diritti umani‘ – ha dichiarato Sahraoui. ‘I leader globali si stanno rimangiando le promesse fatte ai giovani egiziani dopo la caduta di Mubarak, nel febbraio 2011. L’Egitto mette in galera attivisti pacifici mentre il mondo guarda altrove. Gli stati restano in silenzio, così come la comunità internazionale e il Consiglio Onu dei diritti umani‘ – ha concluso Sahraoui. Le autorità hanno giustificato il giro di vite citando anche l’aumento della violenza politica. L’Egitto subisce attacchi da gruppi armati, che secondo le autorità hanno causato la morte di centinaia di soldati, in particolare nel Sinai settentrionale, e di molti civili. Amnesty International condanna senza riserve gli attacchi ai civili ma sollecita le autorità a non usare queste minacce come pretesto per violare i diritti umani.

Leggi il rapporto in inglese