Dieci anni fa il naufragio di Lampedusa

3 Ottobre 2023

Cimitero delle barche a Lampedusa - foto di Giuseppe Chiantera

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* di Matteo de Bellis, ricercatore di Amnesty International su migrazione e asilo

Erano circa 500, uomini, donne e bambini ammassati su un peschereccio in avaria a pochi metri dalla terraferma e dalla salvezza. In maggioranza eritrei, avevano intrapreso una pericolosa traversata del Mediterraneo per fuggire dalla Libia. In una notte senza luna, qualcuno a bordo accese una torcia improvvisata, per richiamare attenzione. Le fiamme si propagarono subito sul ponte, a causa della presenza di benzina. Per evitarle, i passeggeri nel panico si spostarono sull’altro lato dell’imbarcazione, che si capovolse.

Il 3 ottobre 2013, di fronte all’isola di Lampedusa morirono almeno 368 persone.

Quando arrivarono, i soccorritori trovarono davanti a loro un mare di corpi. Le immagini delle bare, molte delle quali di piccole dimensioni e di colore bianco, allineate all’interno dell’aeroporto di Lampedusa, scioccarono il mondo e scossero la coscienza dell’Europa. In una delle bare c’erano una donna e suo figlio, appena nato, ancora uniti dal cordone ombelicale.

Solo otto giorni dopo, tra la Libia e Lampedusa, si rovesciò un’altra imbarcazione. A bordo erano in maggior parte rifugiati siriani, molti dei quali medici in fuga dal conflitto insieme alle loro famiglie. Delle 268 vittime del naufragio, 60 erano bambini. Quella tragedia divenne nota come “il naufragio dei bambini”. Col cuore a pezzi, alcuni dei genitori sopravvissuti hanno continuato a cercare i loro figli per anni.

Oltre al dolore, c’era anche la consapevolezza che quelle morti avrebbero potuto essere evitate. Le autorità italiane avevano impedito a una nave di aiutare le persone in difficoltà per non farle approdare in Italia. I ritardi nei soccorsi contribuirono alla morte di così tante persone.

L’annegamento di oltre 600 persone in pochi giorni nel Mediterraneo centrale avrebbe dovuto far provare vergogna all’Europa e spingere gli stati membri ad agire per impedire ulteriori perdite di vite umane. L’Italia avviò l’operazione “Mare nostrum”, che tuttavia durò solo un anno. Poi, l’Unione europea decise di dedicarsi prevalentemente a fornire assistenza alla cosiddetta Guardia costiera libica nell’intercettamento di migranti e richiedenti partiti dalla Libia per, una volta riportati a terra, sottoporli a detenzioni arbitrarie, torture e stupri.

Dieci anni dopo, la risposta dell’Unione europea a chi prende il mare per cercare salvezza è ancora la stessa: mancanza di azione, apatia, ostilità.

In assenza di una missione navale diretta dagli stati e finalizzata al salvataggio di vite umane nel Mediterraneo, le iniziative volontarie di ricerca e soccorso in mare sono continuamente ostacolate dai governi. Non c’è accordo su dove le persone sopravvissute debbano approdare e su come condividere le responsabilità per la loro assistenza tra gli stati membri dell’Unione europea. Non c’è alcun serio tentativo di creare percorsi legali e sicuri.

Nelle settimane scorse a Lampedusa sono arrivate alcune migliaia di persone, causando il temporaneo sovraffollamento della piccola struttura di assistenza operativa sull’isola. Anche se gli arrivi, nel 2023, sono aumentati, si tratta di numeri gestibili. Sono l’assenza di una missione navale proattiva di ricerca e soccorso – che consentirebbe di distribuire gli approdi in più porti – e la mancanza di investimenti nel sistema d’accoglienza a creare situazioni del genere.

Stando così le cose, il rischio di ulteriori tragedie resta molto alto. Quest’anno nel Mediterraneo centrale hanno perso la vita almeno 2093 persone. Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni, negli ultimi dieci anni lungo la stessa rotta i morti sono stati almeno 22.341.

Nel febbraio 2023 un’imbarcazione si è arenata su una secca e si è capovolta davanti alla spiaggia di Cutro: sono morte almeno 94 persone. Le indagini sulle cause del naufragio sono in corso ma le autorità sapevano che l’imbarcazione era in pericolo col mare mosso e non inviarono guardiacoste per soccorrere le persone a bordo.

A giugno, un peschereccio visibilmente sovraffollato con a bordo circa 750 persone è rimasto privo di soccorsi per 15 ore prima di capovolgersi al largo della costa di Pylos, in Grecia. I morti sono stati oltre 600, tra cui molti bambini. Molti di loro venivano dalla Siria, dal Pakistan e dall’Egitto: fuggivano per salvarsi la vita o raggiungere le loro famiglie in Europa. Nonostante la smentita delle autorità greche, le testimonianze dei sopravvissuti sono state concordi nel denunciare che una barca della Guardia costiera greca aveva legato una corda al peschereccio e aveva iniziato a trainarlo, causandone l’ondeggiamento e poi il capovolgimento.

In queste e altre situazioni le persone avrebbero potuto essere salvate, se solo le autorità avessero agito in linea coi loro obblighi in materia di ricerca e soccorso in mare e col dovere di proteggere la vita e la dignità delle persone e se solo i governi europei avessero messo percorsi legali e sicuri a disposizione di persone in fuga da situazioni disperate, che dunque avrebbero potuto viaggiare in modo sicuro anziché a bordo di imbarcazioni sovraffollate e pericolose.

Nonostante gli impegni a smantellare le operazioni dei trafficanti, i leader e le leader europei non attuano mai l’unico provvedimento che potrebbe mettere fuori gioco le reti criminali: un numero adeguato di visti, compresi i visti umanitari per le persone in fuga da guerre e persecuzioni e dunque bisognose di protezione internazionale.

Vari vertici europei hanno promesso “partenariato” e “sviluppo”, in particolare verso gli stati africani. Ma in realtà gli aiuti finanziari sono destinati sempre di più ai programmi di controllo delle frontiere. Tutto ciò rafforza la dipendenza dell’Europa da regimi autoritari più che risolvere le profonde ineguaglianze che spingono le persone a cercare salvezza e opportunità lontano dai luoghi in cui sono nate.

Sappiamo bene che quando c’è la volontà politica – come nel caso delle persone in fuga dall’Ucraina – l’Europa è in grado di affrontare enormi sfide umanitarie e dare assistenza a milioni di persone in modo umano.

I fantasmi delle tragedie del passato sono ancora lì, a ricordarci le conseguenze delle politiche di esclusione egoiste, inumane e razziste. Ma, se non ci gireremo dall’altra parte, le soluzioni sono alla nostra portata.