Grecia: sei mesi dopo il naufragio di Pylos, giustizia ancora assente

14 Dicembre 2023

© Greek Coast Guard/Handout/Anadolu Agency via Getty Images

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Secondo Amnesty International e Human Rights Watch, le indagini ufficiali sulle accuse credibili per cui azioni e omissioni della Guardia costiera greca avrebbero contribuito, sei mesi fa, alla catastrofica perdita di vite umane seguita al naufragio di Pylos, hanno fatto ben pochi passi avanti.

Il peschereccio “Adriana”, stipato di uomini, donne e bambini, si capovolse nelle prime ore del 14 giugno, causando la morte di oltre 600 persone. Era partito dalla Libia cinque giorni prima con a bordo circa 750 migranti e richiedenti asilo, bambini compresi, provenienti soprattutto da Siria, Pakistan ed Egitto. Ci furono solo 104 sopravvissuti e appena 82 corpi vennero recuperati.

“Il naufragio di Pylos pare essere stato un altro tragico esempio della rinuncia alla responsabilità, da parte delle autorità greche, di salvare vite in mare. Una piena ricostruzione di quanto accadde è fondamentale per assicurare verità e giustizia ai sopravvissuti e alle famiglie delle vittime ed evitare ulteriori morti in mare”, ha dichiarato Judith Sunderland, direttrice associata di Human Rights Watch per l’Europa e l’Asia.

Amnesty International e Human Rights Watch hanno intervistato 21 sopravvissuti, cinque parenti di altrettante persone ancora scomparse, funzionari della Guardia costiera greca e della Polizia greca, esponenti di organizzazioni non governative e rappresentanti delle Nazioni Unite e di organizzazioni e agenzie internazionali.

Secondo le loro conclusioni, nelle 15 ore trascorse dal primo allarme – quando l’Adriana” era nella loro zona di ricerca e soccorso – al naufragio, le autorità greche non mobilitarono risorse adeguate al soccorso. Esse erano chiaramente a conoscenza del sovraffollamento e della carenza di acqua e cibo a bordo, così come della presenza di persone già morte e delle richieste di soccorso.

Le testimonianze dei sopravvissuti hanno smentito le dichiarazioni delle autorità greche, secondo le quali le persone a bordo dell’”Adriana” non volevano essere soccorse: ciò, in ogni caso, non avrebbe esonerato la Guardia costiera dall’obbligo di prendere tutte le misure necessarie per assicurare sicurezza in mare. I sopravvissuti hanno concordemente detto di aver chiesto più volte di essere soccorsi, anche alla Guardia costiera.

Sempre secondo le loro testimonianze, un’imbarcazione della Guardia costiera agganciò l’”Adriana” con una corda e la trainò, causandone il capovolgimento. Nei momenti successivi, la Guardia costiera attivò i soccorsi con lentezza e soccorse meno persone di quante avrebbe potuto, effettuando manovre pericolose.

Da indagini autonome svolte dal gruppo indipendente Solomon, dalla piattaforma investigativa interdisciplinare Forensis e dal New York Times, Der Spiegel, El País, Lighthouse Reports e Washington Post sono emerse analoghe accuse.

 

La natura delle indagini in corso in Grecia solleva dubbi e preoccupazioni circa le prospettive di accertamento delle responsabilità del naufragio. Nove sopravvissuti, attualmente in stato di arresto, rischiano gravi imputazioni di fronte al tribunale di Kalamata, e sono accusati anche di aver provocato il naufragio. Intanto, lo scorso giugno un tribunale militare con giurisdizione sulla Marina ha aperto un’indagine sulle possibili responsabilità della Guardia costiera. A settembre, 40 sopravvissuti hanno presentato una denuncia allo stesso tribunale, accusando le autorità greche di essere responsabili del naufragio. Non è chiaro come gli sviluppi di ciascuna di queste indagini possano influenzarsi reciprocamente.

Le testimonianze dei sopravvissuti hanno evidenziato gravi lacune procedurali che potrebbero compromettere entrambe le indagini, come ad esempio il sequestro dei loro telefoni cellulari che potrebbero contenere prove-chiave sullo svolgimento dei fatti. Solo alla fine di settembre la procura della Marina ha chiesto di acquisire i telefoni cellulari dei funzionari della Guardia costiera, che a loro volta potrebbero contenere elementi di prova. All’inizio di dicembre, solo 13 sopravvissuti erano stati convocati per fornire dichiarazioni.

A novembre l’ufficio del Difensore civico greco ha aperto a sua volta un’inchiesta sull’operato della Guardia costiera, dal momento che questa aveva rifiutato di svolgere un’indagine disciplinare interna.

Anche l’ufficio del Difensore civico europeo ha aperto un’inchiesta sul ruolo di Frontex, l’agenzia per il controllo delle frontiere dell’Unione europea, i cui aerei inizialmente avevano individuato l’”Adriana”. Pure il Funzionario per i diritti fondamentali di Frontex – che ha il compito di monitorare l’attuazione, da parte dell’agenzia, dei suoi obblighi fondamentali in materia di diritti umani – sta svolgendo una propria indagine.

Contribuendo all’inchiesta dell’ufficio del Difensore civico europeo, Amnesty International e Human Rights Watch hanno sottolineato che Frontex avrebbe dovuto continuare a monitorare l’”Adriana” ed emettere un segnale di richiesta di soccorsi. Frontex ha detto alle due organizzazioni che la responsabilità del coordinamento delle operazioni di ricerca e soccorso compete alle autorità nazionali e che non emise un segnale di allerta non valutando ci fosse “un imminente rischio per le vite umane”.

Il ministro greco degli Affari marittimi e delle Politiche insulari ha replicato alle lettere di Amnesty International e di Human Rights Watch affermando che proteggere vite umane in mare costituisce “il più alto standard professionale e un obbligo morale” e che la Guardia costiera e il Centro di coordinamento congiunto del Pireo per le ricerche rispettano il quadro giuridico e operativo riguardante le operazioni di ricerca e soccorso. Tuttavia, in riferimento alle indagini giudiziarie e non giudiziarie in corso, la Guardia costiera non ha replicato alle domande delle due organizzazioni né ha risposto alle loro conclusioni.

I precedenti negativi delle indagini greche sui naufragi e l’ampia impunità per le sistematiche violazioni dei diritti umani che si verificano ai confini della Grecia fanno sorgere dubbi sull’adeguatezza delle indagini giudiziarie in corso sulla tragedia di Pylos. Nel 2022 la Corte europea dei diritti umani ha condannato la Grecia per l’inadeguatezza dei soccorsi e delle successive indagini circa il naufragio del 2014 a Farmkonisi, in cui persero la vita 11 persone.

“Quasi 10 anni dopo il mortale naufragio di Farmakonisi, la risposta delle autorità greche alla tragedia di Pylos è un test decisivo per determinare la loro volontà di indagare sulle violazioni dei diritti umani ai danni di persone razzializzate ai confini dello stato. La Grecia deve assicurare che i sopravvissuti e le famiglie delle centinaia di vittime possano partecipare al massimo livello possibile, in sicurezza e con efficacia, ai procedimenti in corso e devono altresì garantire che le indagini siano condotte in modo tempestivo, garantendo la completezza e l’integrità delle prove ammesse”, ha dichiarato Adriana Tidona, ricercatrice di Amnesty International sulle migrazioni.