Italia: equipaggio di una nave di ricerca e soccorso a processo. Osserveremo lo svolgimento

17 Maggio 2022

Foto di Iuventa Crew

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Quattro ex membri dell’equipaggio della nave di ricerca e soccorso “Iuventa”, che salvarono migliaia di vite umane in pericolo nel Mediterraneo, scopriranno questa settimana se dovranno affrontare un processo penale a causa del loro preziosissimo lavoro.

Il 21 maggio inizieranno, presso il tribunale di Trapani, le udienze preliminari per decidere se l’equipaggio della “Iuventa” dovrà andare a processo per “favoreggiamento dell’ingresso illegale” di migranti e rifugiati in Italia. Se giudicati colpevoli, rischieranno fino a 20 anni di carcere.

Kathrin Schmidt, Dariush Beigui, Sascha Girke e Uli Tröder, che erano a bordo della “Iuventa”, sono tra i 21 imputati che rischiano un processo per aver salvato vite umane. Tra gli altri accusati figurano membri degli equipaggi di navi di Medici senza frontiere e Save the Children, le due stesse organizzazioni e una compagnia di navigazione italiana.

“L’equipaggio della ‘Iuventa’ salvò la vita di oltre 14.000 persone che cercavano riparo in Europa proprio mentre l’Europa veniva meno al dovere di soccorrere. Lo fece fino a quando, nell’agosto 2017, la nave venne posta sotto sequestro. Il procedimento giudiziario nei loro confronti dev’essere archiviato e le accuse devono essere ritirate”, ha dichiarato Elisa De Pieri, ricercatrice di Amnesty International.

“La tesi della pubblica accusa, secondo la quale le persone soccorse non erano in effettivo pericolo, è assurda: si trovavano su imbarcazioni sovraffollate e insicure, in una zona di mare dove sono annegati in migliaia”, ha proseguito De Pieri.

Secondo il diritto marittimo internazionale, un natante è obbligato ad aiutare persone che si trovano in pericolo in mare. L’inchiesta contro l’equipaggio della “Iuventa” e contro altre Ong ignora questo principio, così come le norme del diritto internazionale sui diritti dei migranti e dei rifugiati e sulla protezione dei difensori dei diritti umani.

Le persone indagate aiutarono persone che, fuggite dalla violenza e dalle orribili condizioni detentive cui erano sottoposte in Libia, erano a bordo di imbarcazioni sovraffollate e insicure. Ciò nonostante, la pubblica accusa ha messo in dubbio che fossero in effettivo pericolo.

Inoltre, contrariamente a quanto sostiene la pubblica accusa, i soccorsi portati a termine dall’equipaggio non possono costituire traffico di esseri umani poiché questo, secondo la definizione condivisa del Protocollo delle Nazioni Unite sul traffico di esseri umani, deve procurare un vantaggio economico o di altra natura al trafficante.

Né la legge italiana né quella europea sul favoreggiamento dell’ingresso irregolare sono pienamente in linea con quella definizione. Persone che, per ragioni umanitarie, aiutano migranti e rifugiati lungo le frontiere possono andare incontro a procedimenti iniqui. Amnesty International chiede da anni una riforma delle norme europee e dei singoli stati membri, sul favoreggiamento dell’ingresso irregolare.

Per quanto riguarda la “Iuventa”, Amnesty International chiede alla pubblica accusa di porre termine al procedimento nei confronti di tutti i difensori dei diritti umani coinvolti nelle indagini a partire dal 2017. Tale procedimento viola il diritto di difendere i diritti umani, il diritto alla vita, il diritto di chiedere asilo e il diritto alla libertà di associazione.

 

Perché la “Iuventa” era in mare?

A partire dal 2016, gli stati membri e le istituzioni dell’Unione europea hanno iniziato a dare priorità alla riduzione del numero delle persone in arrivo sulle coste europee a scapito del diritto di queste persone alla protezione della loro vita e di altri diritti.

A tale scopo, hanno tolto i loro assetti marittimi dalle zone del Mediterraneo dove la maggior parte delle imbarcazioni con a bordo migranti rifugiati finiva in pericolo, presso le acque territoriali libiche, in modo da evitare di doverle soccorrere. Le navi delle Ong, come la “Iuventa”, decisero di prendere il loro posto e salvare vite umane.

Gli stati membri dell’Unione europea hanno inoltre aumentato la cooperazione con i guardacoste libici consentendo loro di riportare in Libia le persone che cercavano di fuggire. Ma soprattutto, hanno adottato misure ai danni delle Ong e degli attivisti che avevano deciso di assistere le persone lungo le frontiere, arrivando anche a utilizzare in modo sbagliato e improprio i codici penali e le norme amministrative per ostacolare e, alla fine, fermare il vitale lavoro di soccorso delle Ong.

 

Amnesty International presente al processo

Amnesty International sarà a Trapani accanto all’equipaggio della “Iuventa” e per esprimere solidarietà ai difensori dei diritti umani che aiutano le persone che sono in pericolo e hanno bisogno di assistenza lungo le frontiere.

Amnesty International osserverà il procedimento giudiziario per assicurare che il diritto a un processo equo sia rispettato e che sia seguito il principio della trasparenza nell’amministrazione della giustizia.

Da tempo le pubbliche accuse cercano di criminalizzare persone e organizzazioni che salvano vite umane dopo aver riempito il vuoto lasciato dai governi. Finora la maggior parte dei procedimenti europei è terminata con annullamenti o archiviazioni, ma è scandaloso che persone che soccorrono vite umane finiscano sul banco degli imputati in un’aula di tribunale”, ha commentato De Pieri.

“Qui non è in gioco solo la ‘Iuventa’: è il dovere di salvare vite umane a essere processato. La tesi della pubblica accusa che le persone soccorse non fossero in imminente pericolo è allarmante e potrebbe avere conseguenze disastrose per le migliaia di persone che vengono soccorse in mare ogni anno”, ha concluso De Pieri.