Qatar, le storie strazianti di violenza e sfruttamento delle lavoratrici domestiche

26 Ottobre 2020

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Un nuovo rapporto di Amnesty International rivela fino a che punto le lavoratrici domestiche migranti in Qatar debbano subire orari eccessivamente lunghi, mancanza di riposo e trattamenti degradanti e violenti. L’organizzazione ha parlato con 105 lavoratrici domestiche conviventi e ha constatato la violazione dei loro diritti, nonostante le riforme del governo tese a migliorare le condizioni di lavoro. Alcune donne hanno affermato di essere state vittime di gravi reati come la violenza sessuale.

Il Qatar ha introdotto nel 2017 la Legge sul lavoro domestico, che ha stabilito limiti alle ore di lavoro, pause giornaliere obbligatorie, un giorno libero settimanale e ferie retribuite. A tre anni da quella legge, 90 delle 105 donne con cui Amnesty si è messa in contatto hanno riferito di lavorare regolarmente più di 14 ore; 89 lavoravano regolarmente sette giorni alla settimana e a 87 il datore di lavoro aveva confiscato il passaporto. Metà delle donne lavorava più di 18 ore al giorno e la maggioranza non aveva mai avuto un solo giorno libero. Alcune hanno anche riferito di non essere pagate regolarmente, mentre 40 donne hanno detto di essere state insultate, schiaffeggiate o aver ricevuto sputi. Una donna ha detto di essere trattata “come un cane”.

L’introduzione della Legge sul lavoro domestico del 2017 è stato un passo avanti per la protezione dei diritti dei lavoratori in Qatar. Purtroppo, i racconti delle donne con cui abbiamo parlato mettono in luce che queste riforme non vengono attuate o messe in pratica in maniera appropriata“, ha dichiarato Steve Cockburn, direttore del programma giustizia economica e sociale di Amnesty International.

Le lavoratrici domestiche ci hanno detto di lavorare una media di 16 ore al giorno, ogni giorno della settimana, ben oltre l’orario consentito dalla legge. I datori di lavoro hanno confiscato il passaporto quasi a tutte, altre hanno dichiarato di non ricevere gli stipendi e di subire insulti violenti e aggressioni. Il quadro generale che ci si presenta è un sistema in cui si continua a permettere ai datori di lavoro di trattare le lavoratrici domestiche non come esseri umani ma come oggetti di loro proprietà“, ha proseguito Cockburn.

In Qatar i lavoratori domestici migranti sono circa 173.000. Amnesty International ha intervistato alcune donne che avevano ancora il loro lavoro, altre l’avevano lasciato ma erano rimaste in Qatar e altre ancora avevano fatto ritorno nei propri paesi. Così come le lavoratrici, anche i datori di lavoro di cui si parla provenivano da paesi diversi.

Le violenze documentate nel rapporto sono favorite da una combinazione di fattori: la mancanza di meccanismi di ispezione per assicurare il rispetto della legge sul lavoro domestico e il sistema di sponsorizzazioni del Qatar che continua a dare ai datori di lavoro poteri eccessivi sugli impiegati. Molte donne trovano difficoltà nel denunciare violenze e reati alle autorità ed esiste un’impunità diffusa.

Riforme

Negli ultimi anni, il Qatar ha introdotto numerose riforme e iniziative per migliorare le condizioni di impiego dei lavoratori migranti.

Ha presentato campagne di sensibilizzazione per i lavoratori domestici e i loro datori di lavoro e un programma pilota con l’impiego di un piccolo numero di lavoratori domestici non conviventi.

Più di recente,  introdotto il salario minimo e ha abolito l’obbligo per i lavoratori di ottenere il permesso dei propri datori di lavoro per cambiare impiego o lasciare il paese. Sebbene questi cambiamenti legali rendano più semplice per i lavoratori sfuggire a datori di lavoro sfruttatori, probabilmente non ridurranno in maniera significativa la violenza o miglioreranno le condizioni delle lavoratrici domestiche, in assenza di misure che rafforzino gli strumenti di protezione e ne garantiscano l’applicazione.

Orari di lavoro estenuanti

Una delle forme più comuni di abusi subiti dalle lavoratrici domestiche è l’orario di lavoro eccessivamente lungo senza riposo adeguato. Secondo i loro contratti, dalle lavoratrici domestiche non dovrebbero lavorare più di 10 ore al giorno, sei giorni alla settimana. Si tratta già di standard più alti rispetto a quelli stabiliti dall’Organizzazione internazionale del lavoro, ma la maggior parte delle donne con cui Amnesty ha parlato lavoravano comunque molto più di così, in media 16 ore al giorno senza un giorno di riposo, fino a 112 ore a settimana, senza ricevere la retribuzione per lo straordinario. Ciò significa che la maggior parte delle donne lavorava quasi il doppio delle ore previste dal proprio contratto.

Reina (nome di fantasia), una donna filippina di 45 anni, ha parlato dell’incidente automobilistico che ha avuto perché aveva dormito solo due ore:

Sono andata a dormire all’1 di notte e alle 3 la figlia di 17 anni della signora mi ha svegliato per chiedermi di andare a comprarle una Red Bull. Poi, alle 5.30 del mattino ho iniziato a lavorare come sempre, ho lavato l’auto e mi sono preparata per portare i ragazzi a scuola… alle 10 di sera sono andata a sbattere con l’auto contro un muro“.

La legge sul lavoro domestico limita le ore di lavoro a un massimo di 10 al giorno ma permette che siano aumentate se concordate con il lavoratore. Lo squilibrio di potere lascia aperta una via d’accesso alle violazioni. Molte donne hanno detto di avere avuto paura di dire di no alle infinite richieste dei propri datori di lavoro, anche quando avevano bisogno di riposare.

Sono almeno 23 le donne intervistate che hanno riferito di non aver ricevuto abbastanza cibo e aver avuto fame, altre hanno riferito di dormire in camere anguste, in alcuni casi sul pavimento o senza aria condizionata. I racconti di condizioni di vita carenti mettono in evidenza le mancate ispezioni delle autorità qatariote sul posto di lavoro.

Violenza verbale, fisica e sessuale

Amnesty International ha parlato con 40 donne che hanno riferito di aver subito violenze verbali e fisiche. Spesso, si trattava di trattamenti degradanti, urla e insulti.

Emily (nome di fantasia) ha raccontato che “la signora mi dice ‘[sei] un mostro, ti taglierò la lingua, ti uccido’. Ho paura. Sempre parolacce. Sono solo una [domestica] e non posso fare nulla“.

Quindici donne hanno detto di aver subito violenza fisica da parte dei datori di lavoro o dei loro familiari: sputi, percosse, calci, pugni e tirate di capelli.

Joy (nome di fantasia) ha raccontato: “La signora ha iniziato a urlare a tutte [le domestiche] … ha iniziato a sputarci addosso e mi ha di nuovo schiaffeggiato… Prima di allora, mi aveva anche dato un calcio sulla schiena“.

Cinque donne hanno riferito di aver subito violenza sessuale dai propri datori di lavoro o da familiari che erano venuti a trovarli, con violenze anche andavano dalle molestie al palpeggiamento allo stupro. La maggior parte delle donne non hanno sporto denuncia alla polizia per paura di ripercussioni da parte dei propri datori di lavoro.

Una donna, Julia (nome di fantasia), ha denunciato una violenza sessuale alla polizia. Il figlio del datore di lavoro di Julia è andato a casa un giorno e ha cercato di violentare un’altra donna che lavorava nella casa. L’uomo ha offerto del denaro alle donne in cambio del loro silenzio, ma le due hanno deciso di andare alla polizia.

L’ispettore di polizia che si è occupato della denuncia ha accusato Julia e la sua amica di “aver inventato tutto” e ha archiviato il caso. Alla fine, il datore di lavoro ha comprato loro dei biglietti per fare rientro a casa, in cambio della firma delle donne su un documento in arabo che non capivano.

Impunità

Il Qatar ha totalmente fallito nel mettere i datori di lavoro violenti di fronte le proprie responsabilità e una gestione simile della questione difficilmente scoraggerà altre violazioni. In caso di confisca del passaporto o stipendio non pagato, che di fatto implicano lavoro forzato, non vengono svolte indagini come prassi e raramente ci sono delle conseguenze, anche di fronte a un rifiuto di riconsegnare il passaporto o di pagare le somme spettanti.

Nessuna delle donne con cui ha parlato Amnesty ha visto i responsabili rispondere delle proprie azioni, ma se il Qatar vuole proteggere i lavoratori domestici dallo sfruttamento è necessario mandare ai datori di lavoro il messaggio: non sono tollerate violenze sul lavoro“, ha commentato Steve Cockburn.

Dal 2018, quando il Qatar ha creato i Comitati per la risoluzione delle controversie sul lavoro, i lavoratori domestici hanno finalmente avuto accesso a un meccanismo di ricorso, potendo presentare le proprie richieste presso queste istituzioni. Tuttavia, il procedimento resta caratterizzato da ritardi e altri problemi.

Più della metà delle donne con cui ha parlato Amnesty International hanno riferito di stipendi pagati con ritardo o non pagati affatto, ma quelle poche che sono state in grado di presentare una richiesta ai Comitati hanno trovato il procedimento lento e stressante.

Una delle principali falle del sistema è che i lavoratori domestici, mentre vengono esaminate le loro richieste, rischiano di perdere il proprio status giuridico, il reddito e un posto dove stare. Hanno bisogno di un rifugio sicuro e un reddito per sostenersi durante il processo; tuttavia, dal momento che il rifugio gestito dal governo non è del tutto operativo, ricorrere ai Comitati non rappresenta una soluzione fattibile per la maggioranza delle donne.

 Inoltre, le donne che lasciano il lavoro potrebbero andare incontro a ripercussioni da parte dei datori di lavoro ed essere accusate di “fuga” o altri reati, anche penali. Almeno 10 donne con cui ha parlato Amnesty International sono state accusate di furto e altre 13 avevano un processo per “fuga“, intentato dai datori di lavoro. Tutte le donne hanno rigettato le accuse e hanno capito che l’origine di queste azioni legali era stata la loro fuga dagli abusi.

I casi di violenza fisica e sessuale sono gestiti dai tribunali penali, ma il fatto che le lavoratrici domestiche dipendano dal datore di lavoro per l’alloggio e per il proprio status giuridico, insieme alla mancanza di fiducia nel sistema, costituisce un chiaro deterrente per le denunce. Di conseguenza, i reati gravi resteranno impuniti.

Con l’isolamento di molte lavoratrici domestiche e le restrizioni imposte sulla libertà di movimento è difficilissimo per loro sottrarsi agli abusi e accedere al sostegno. Mentre alcune aziende stanno iniziando a creare delle commissioni sul posto di lavoro per altre categorie di lavoratori migranti, non esiste un’iniziativa equivalente per i lavoratori domestici, i quali, insieme ad altri lavoratori migranti in Qatar, non riescono a costituire sindacati e aderirvi.

Le lavoratrici domestiche meritano di avere voce nelle normative e nelle politiche che le vedono coinvolte. Le donne con cui abbiamo parlato erano forti e indipendenti, avevano lasciato le proprie case e viaggiato per mezzo mondo. Invece di essere isolate e messe a tacere, queste donne dovrebbero poter dire la propria per sostenere i propri diritti“, ha detto Steve Cockburn.

Chiediamo alle autorità qatariote di agire concretamente per assicurare la piena applicazione della legge, stabilire dei severi meccanismi di controllo e intraprendere azioni efficaci nei confronti dei datori di lavoro violenti. Nonostante gli sforzi per la riforma delle leggi sul lavoro, il Qatar delude ancora le donne più a rischio del paese“, ha concluso Cockburn.

 Ulteriori informazioni

La risposta del Qatar alle richieste di informazioni da parte di Amnesty International è contenuta nel rapporto.

In quanto stato parte di vari trattati internazionali che proibiscono le violazioni dei diritti umani, tra cui il Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr) e sui diritti economici, sociali e culturali (Cescr), il Qatar deve proteggere tutti i lavoratori, anche i lavoratori domestici e le lavoratrici domestiche che vivono e lavorano nel proprio territorio, e dovrebbe assicurare la giustizia in caso di violazione di tali diritti.