Russia: le autorità riconsegnino la salma di Navalny alla famiglia

23 Febbraio 2024

©Sefa Karacan/Anadolu Agency via Getty Images

Tempo di lettura stimato: 5'

Secondo le ultime notizie, la madre di Aleksei Navalny è stata avvisata che la salma del figlio non sarà riconsegnato alla famiglia se non per una sepoltura segreta.

Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, ha dichiarato:

“Si tratta di un evidente tentativo, da parte delle autorità russe, di infliggere ulteriore sofferenza a una madre già addolorata, negandole l’opportunità di dare una degna sepoltura al figlio e di scegliere che tipo di funerale organizzare, pubblico o privato, secondo i suoi desideri. Sembrano voler nascondere cosa è accaduto a Navalny con la scusa di dover eseguire un esame autoptico sul suo corpo”.

“Non dev’esserci alcun dubbio. La morte di Navalny è avvenuta per mano delle autorità russe. Prima o poi la verità verrà a galla e i responsabili dovranno risponderne davanti alla giustizia. Cercando di nascondere le prove dei loro crimini, le autorità russe stanno infliggendo alla famiglia di Navalny e ai suoi cari ulteriori sofferenze e maltrattamenti”.

“Negando a sua madre il diritto di riavere la salma del figlio e di organizzare un funerale secondo le volontà della famiglia, la codardia del Cremlino è evidente. Questo non è altro che un debole stratagemma per impedire ai sostenitori di Navalny di rendergli omaggio e di esercitare il loro diritto di protesta pacifica contro un regime che si è sempre mostrato spietato nei confronti delle voci critiche”.

“Chiediamo alle autorità russe di consegnare immediatamente la salma di Navalny ai suoi familiari e di consentire un’indagine indipendente sulle cause della sua morte, rendendo partecipe la famiglia. Chiediamo nuovamente che tutte le persone detenute esclusivamente per aver espresso il loro dolore o per aver manifestato pacificamente in suo onore, siano scarcerate immediatamente”.

Ulteriori informazioni

Aleksei Navalny è stato arrestato con false accuse nel gennaio 2021, al suo ritorno dalla Germania, dopo essere sopravvissuto nel 2020 a un avvelenamento in Russia per mano di un’agente chimico di tipo militare.

Una volta in prigione, sono state avanzate contro di lui ulteriori accuse infondate e la sua condanna è arrivata a 19 anni.

È stato trasferito in una delle colonie penali russe più remote, vicino al Circolo polare artico, dove gli sono state costantemente negate cure mediche adeguate ed è stato relegato in cella di punizione 27 volte per periodi prolungati, per un totale di 300 giorni. L’accusa era di presunte violazioni disciplinari, come ad esempio un bottone sbottonato.

Le sue condizioni di prigionia rappresentavano una palese violazione dell’assoluto divieto di tortura o di qualsiasi altra forma di trattamento o pena crudele, inumana o degradante.

Il 16 febbraio il Servizio federale delle prigioni russe (Sfpr) ha annunciato che Navalny si era sentito male mentre camminava nel cortile del carcere e aveva perso conoscenza. Secondo quanto dichiarato dall’Sfpr, nonostante le tempestive cure mediche e l’arrivo di un’ambulanza, tutti i tentativi di rianimarlo erano risultati vani. L’Sfpr ha annunciato che le cause della morte sono in via di accertamento.

Ai sensi del Protocollo del Minnesota delle Nazioni Unite sulle indagini circa possibili morti illegali, gli stati hanno l’obbligo di svolgere indagini rapide, imparziali ed effettive sulle circostanze e le cause di ogni decesso in custodia. Le autorità devono garantire, tra l’altro, un’autopsia indipendente da parte di esperti indipendenti in medicina legale alla presenza di osservatori internazionali e della famiglia Navalny.

Inoltre, secondo gli standard internazionali dei diritti umani riguardanti il diritto alla vita, le morti in custodia presuppongono una responsabilità statale, che può essere smentita solo a seguito di un’indagine adeguata.