Zeynab Jalalian, 41 anni, è un’attivista curda iraniana che si batte per l’emancipazione delle donne e delle ragazze della sua minoranza oppressa. A causa delle sue attività sociali e politiche è detenuta ingiustamente già da 15 anni. Sta scontando l’ergastolo nella prigione di Yazd, nell’omonima provincia, a 1400 km dalla sua famiglia, residente nella provincia dell’Azerbaigian occidentale, il che rende estremamente difficili le visite dei suoi anziani genitori. È stata ripetutamente sottoposta a torture e maltrattamenti.
È in carcere dal marzo 2008, quando è stata arbitrariamente arrestata da agenti della sicurezza. Giudicata colpevole del reato di “inimicizia contro Dio” (moharebeh) e condannata a morte in relazione alle sue attività nell’ala politica del Partito per la vita libera del Kurdistan (Pjak), un’organizzazione armata. Le sue attività riguardavano l’emancipazione delle donne curde e l’autodeterminazione dei curdi. Nel dicembre 2011, a seguito di un provvedimento di clemenza della Guida suprema, la sua condanna a morte è stata commutata in ergastolo.
Zeynab Jalalian è una delle donne detenute da più tempo per motivi politici e deve essere scarcerata immediatamente.
Zeynab Jalalian, curda iraniana, sta scontando l’ergastolo nella prigione di Yazd, nell’omonima provincia. È stata arrestata nel marzo 2008 per le sue attività a sostegno della lotta curda per l’autodeterminazione e per la sua affiliazione all’ala politica del Partito per la vita libera del Kurdistan (Pjak), un’organizzazione armata. È stata tenuta in isolamento per otto mesi, senza accesso a un avvocato. Durante questo periodo, i funzionari dell’intelligence l’hanno sottoposta a torture e maltrattamenti, tra cui frustate sulle piante dei piedi e colpi allo stomaco; l’hanno colpita alla testa, l’hanno minacciata di stupro e le hanno sbattuto la testa contro un muro, una volta in modo così forte da provocarle una frattura al cranio con conseguente emorragia interna e danni alla vista.
Nel dicembre 2008 è comparsa davanti alla prima sezione del Tribunale rivoluzionario della provincia di Kermanshah, che l’ha condannata a morte con l’accusa di “inimicizia contro Dio” (moharebeh), basata sul suo legame con l’ala politica del Pjak. Il processo è stato gravemente iniquo: non solo è finito in pochi minuti, ma la condanna è arrivata sulla base di “confessioni” estorte dopo mesi di torture e senza uno straccio di prova che collegasse l’imputata ad azioni armate.
La sentenza, lunga meno di due pagine, ha dichiarato Zeynab Jalalian colpevole di “aver preso le armi contro lo Stato” sulla base di quella che sembra essere stata un’argomentazione speculativa secondo cui “forse è stata coinvolta in operazioni terroristiche e si astiene dal dire la verità.”
Il suo avvocato, che le era stato concesso di nominare solo poche settimane prima del processo, non ha potuto difenderla poiché non era stato informato della data dell’udienza. La condanna a morte è stata confermata in appello nel maggio 2009. Tuttavia, nel dicembre 2011, è stata commutata in ergastolo a seguito di un provvedimento di clemenza della Guida suprema.
Per costringerla a fornire una “confessione” videoregistrata e a “pentirsi” per le sue attività passate, i funzionari del ministero dell’Intelligence hanno torturato Zeynab Jalalian e le hanno negato intenzionalmente le cure mediche. Dopo aver contratto almeno due volte il Covid-19, la donna ha sviluppato gravi problemi polmonari e respiratori. Ciò nonostante, le autorità hanno continuato a negarle cure mediche adeguate e le hanno fornito solo un inalatore per l’asma.
Attualmente, Zeynab Jalalian rischia di perdere la vista a causa del fatto che le sono state negate cure mediche specialistiche per un peggioramento delle condizioni degli occhi che la sua famiglia ritiene possa essere stato causato da torture e altri maltrattamenti durante la detenzione. Le autorità si sono ripetutamente rifiutate di darle accesso a un oculista fuori dal carcere e di autorizzare il suo trasferimento in ospedale per un urgente intervento chirurgico agli occhi. In almeno un’occasione, nel febbraio 2016, le autorità hanno detto alla sua famiglia che l’avrebbero trasferita in un centro medico fuori dal carcere se uno dei suoi familiari si fosse presentato alle autorità per essere detenuto al suo posto.
La sorella di Zeynab Jalalian, Deniz, ha dichiarato ad Amnesty International: “Nostro padre ha detto che si sarebbe sottoposto alla detenzione (in modo che) potessero mandare Zeynab da un dottore con una guardia. Ma loro (le autorità) hanno detto che nostro padre era troppo vecchio e che doveva essere offerto (invece) qualcuno più giovane.”
Oltre al problema agli occhi, Zeynab Jalalian soffre anche di mughetto, infezioni intestinali e renali e sanguinamento uterino anomalo. In un’occasione le autorità carcerarie le hanno comunicato che avrebbe dovuto sottoporsi a un test di verginità prima di ricevere le cure mediche. Le autorità giudiziarie hanno anche respinto le ripetute richieste di scarcerazione per motivi di salute. Secondo il suo avvocato, alcune delle sue richieste sono state respinte a titolo definitivo mentre altre sono state accolte a condizione che lei rendesse delle “confessioni” videoregistrate.
La sorella Deniz ha riferito ad Amnesty International che Zeynab Jalalian ha ritrattato le “confessioni” trasmesse in un programma televisivo poiché erano false. Tuttavia, a causa della pesante sorveglianza cui è sottoposta, la detenuta non è ancora riuscita a descrivere alla sua famiglia le condizioni in cui è stata costretta a rilasciare la dichiarazione videoregistrata.
Dopo la trasmissione televisiva, l’avvocato di Zeynab Jalalian ha dichiarato che le condizioni degli occhi e l’infezione alla bocca stavano peggiorando, che le cure di base fornite nella clinica del carcere erano insufficienti e che aveva bisogno di cure specialistiche in un ospedale esterno al carcere. L’avvocato ha aggiunto che le richieste di scarcerazione per motivi di salute continuano a essere respinte senza motivo.
Durante la sua 75a sessione, nell’aprile 2016, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria ha adottato un parere sul caso di Zeynab Jalalian, in cui affermava che la donna era detenuta come conseguenza diretta dell’esercizio dei suoi diritti e libertà ai sensi del Patto internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr), di cui l’Iran è uno stato parte: precisamente, il diritto alla libertà di espressione e di associazione, a seguito delle sue attività in favore dei diritti della minoranza curda e del suo coinvolgimento nell’ala politica del Partito per la vita libera del Kurdistan (Pjak), un’organizzazione armata. La dichiarazione affermava anche che a Zeynab Jalalian era stato negato il diritto a un processo equo, sempre ai sensi dell’Iccpr.
Il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite ha espresso inoltre grave preoccupazione per il benessere fisico e mentale di Zeynab Jalalian e ha affermato che il trattamento cui era sottoposta violava il divieto di tortura o di altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti. Il Gruppo di lavoro ha invitato le autorità iraniane a porre rimedio alla situazione di Zeynab Jalalian. Tenendo conto di tutte le circostanze del caso, in particolare del rischio di danni irreparabili alla sua salute e integrità fisica, ha concluso che il rimedio adeguato sarebbe stato il suo rilascio immediatamente, insieme al versamento di un risarcimento.
Guida suprema Ali Khamenei
Head of judiciary, Gholamhossein Mohseni Ejei
c/o Embassy of Iran to the European Union
Avenue Franklin Roosevelt No. 15, 1050 Bruxelles, Belgio
Egregia Guida suprema Ali Khamenei,
Egregio Gholamhossein Mohseni Ejei,
esprimo profonda preoccupazione per la detenzione e la condanna all’ergastolo di Zeynab Jalalian. Per questo la invito a:
- fornirle immediatamente, fuori dal carcere, le cure mediche specialistiche di cui ha bisogno;
- dare prontamente seguito alla decisione del Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, scarcerandola immediatamente e accordandole un risarcimento;
- ordinare un’indagine tempestiva, indipendente e imparziale sulle torture che ha denunciato di aver subito, assicurando alla giustizia attraverso un processo equo chiunque ne sia ritenuto responsabile.
La ringrazio per l’attenzione.