Le autorità iraniane stanno compiendo una strage di stato sotto la veste di esecuzioni giudiziarie. Sono state messe a morte persone condannate per reati di droga, manifestanti, dissidenti politici e membri di minoranze etniche oppresse. Nel 2023 Amnesty International ha registrato almeno 853 esecuzioni. Nei primi sette mesi del 2024, secondo le organizzazioni locali per i diritti umani, sarebbero state già oltre 300.
Circa il 20% delle esecuzioni riguardano i membri della minoranza etnica beluci, sebbene costituiscano solo il 5% della popolazione iraniana. Nel 2023, le esecuzioni di persone condannate per reati legati alla droga sono triplicate rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Queste esecuzioni colpiscono maggiormente le comunità più impoverite.
Le autorità mettono a morte persone anche solo per i loro messaggi sui social media e per rapporti sessuali tra adulti consenzienti. Le autorità iraniane stanno intensificando il ricorso alla pena di morte come strumento politico di repressione. Stanno usando questa punizione estrema, crudele e disumana per tormentare e terrorizzare le persone in Iran e imporre il silenzio e la sottomissione.
La comunità internazionale deve a chiedere immediatamente all’Iran di imporre una moratoria ufficiale su tutte le esecuzioni, inviare rappresentanti a visitare i bracci della morte e chiedere di poter assistere ai processi degli imputati che rischiano la pena capitale.
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Decine di persone, minorenni compresi, rischiano l’esecuzione in relazione alle proteste del settembre-dicembre 2022. Le autorità iraniane usano la pena di morte come mezzo di repressione politica per instillare la paura tra i manifestanti e mettere fine alle proteste del movimento Donna Vita Libertà.
Dalla fine del 2022 sono state messe a morte dieci persone legate alle proteste.
Mohsen Shekari, 23 anni, arrestato il 25 settembre 2022 e accusato di aver bloccato il traffico e aver ferito a colpi di coltello un agente di polizia, messo a morte nella prigione di Rajai Shahr appena 75 giorni dopo, l’8 dicembre 2022.
Majidreza Rahnavand, 34 anni, arrestato il 19 novembre 2022, costretto a “confessare” in tv l’omicidio di due agenti di polizia, messo a morte in pubblica piazza a Mashhad 23 giorni dopo, il 12 dicembre 2022.
Mohammad Mehdi Karami, 22 anni, arrestato il 3 novembre 2022 per aver ucciso un altro manifestante e una guardia rivoluzionaria, messo a morte nel carcere di Karaj il 7 gennaio 2023.
Seyed Mohammad Hosseini, 39 anni, arrestato e messo a morte insieme a Mohamed Mehdi Karami per la medesima accusa il 7 gennaio 2023.
Majid Karemi, 30 anni, arrestato il 16 novembre 2022 e accusato della morte di tre agenti di polizia. Per costringerlo a “confessare” le autorità hanno arrestato anche il fratello. Messo a morte nella prigione di Isfahan il 19 maggio 2023.
Saleh Mirhashemi, 36 anni, arrestato e messo a morte insieme a Majid Karemi per la medesima accusa il 19 maggio 2023.
Saeed Yaghoubi, 30 anni, arrestato e mezzo a morte insieme a Majid Karemi e Saleh Mirhashemi il 19 maggio 2023.
Milad Zohrevand, età incerta, arrestato in data incerta e messo a morte il 23 novembre 2023.
Mohamed Ghobadlou, 23 anni, con disabilità mentale. Nel luglio 2023 la Corte suprema aveva annullato la sua condanna alla pena capitale e ordinato un nuovo processo. È stato messo a morte il 23 gennaio di quest’anno.
Infine, all’alba del 6 agosto, Gholamreza Rasaei, 34 anni, appartenente alla minoranza etnica curda e a quella religiosa yaresan, è stato impiccato in segreto nella provincia di Kermanshah.
Le autorità non hanno dato alcun preavviso né a lui, né alla sua famiglia, né al suo avvocato. Poche ore dopo averli informati a esecuzione avvenuta, i familiari sono stati crudelmente costretti a seppellire il corpo di Rasaei in una zona remota, lontano dalla loro casa e sotto la sorveglianza delle forze di polizia.
Rasaei era stato condannato a morte il 7 ottobre 2023 dopo un processo gravemente iniquo basato sulla “confessione” di aver ucciso una guardia rivoluzionaria, resa sotto coercizione e mediante maltrattamenti e torture, tra cui percosse, scosse elettriche, soffocamento e violenza sessuale.
Tutte queste persone sono state sottoposte a processi iniqui: sono stati negati i loro diritti a essere difesi da un avvocato di propria scelta, alla presunzione di innocenza, a rimanere in silenzio non rispondendo alle domande e ad avere un processo giusto e pubblico.
Il 13 settembre 2022 Mahsa (Zhina) Amini, una ragazza di 22 anni di origini curde, è stata arrestata a Teheran dalla cosiddetta polizia “morale” iraniana, che regolarmente sottopone donne e ragazze ad arresti e detenzioni arbitrarie, torture e altri maltrattamenti per non aver rispettato l’obbligo discriminatorio di indossare il velo.
Secondo testimoni oculari, Mahsa Amini è stata picchiata violentemente mentre veniva trasferita con la forza nel centro di detenzione di Vozara a Teheran. In poche ore, è stata trasferita all’ospedale di Kasra dopo essere entrata in coma. È morta tre giorni dopo.
La micidiale repressione da parte delle autorità iraniane della rivolta popolare in corso in Iran, scoppiata immediatamente dopo la morte di Mahsa Amini, è l’ultima di un ciclo di violenti attacchi contro persone che, già negli anni precedenti, avevano espresso il loro legittimo dissenso. Ad oggi si parla di più di 500 persone uccise e di decine di migliaia di arresti durante le proteste.
Amnesty International documenta costantemente i crimini di diritto internazionale e le altre gravi violazioni dei diritti umani commesse dalle autorità iraniane nel contesto delle proteste, tra cui uccisioni illegali a seguito dell’uso ingiustificato della forza letale, arresti arbitrari di massa, sparizioni forzate, torture e altri maltrattamenti e condanne a lunghe pene detentive o alla pena di morte a seguito di processi gravemente iniqui. Le autorità iraniane hanno ignorato i ripetuti appelli della comunità internazionale ad aprire indagini su tali crimini. Invece, hanno cercato di distruggerne le prove mentre perseguitavano i sopravvissuti e i parenti delle vittime impegnati nella richiesta di verità, giustizia e riparazione.