Aggiornato il 13/07/2023 – Secondo l’agenzia di stampa privata iraniana Mehr News Agency, sarebbe nuovamente imminente l’esecuzione di Ahmadreza Djalali.
Aggiornato il 24/05/2022 – Respinto l’ultimo appello degli avvocati di Ahmadreza Djalali. Il ricercatore potrebbe essere messo a morte in qualsiasi momento.
Aggiornato il 14/04/2021 – Dopo 140 giorni di isolamento, Ahmadreza Djalali è stato di nuovo trasferito in cella con altre persone ma non può ancora fare telefonate ai suoi familiari né in Iran né in Svezia.
Ahmadreza Djalali, svedese-iraniano detenuto arbitrariamente, è a grave rischio esecuzione in Iran per “corruzione sulla terra” in un contesto in cui le autorità iraniane stanno intensificando l’uso della pena di morte come strumento di repressione politica.
Le preoccupazioni per la vita di Ahmadreza Djalali sono aumentate dopo che le autorità hanno messo a morte arbitrariamente Habib Chaab (Asyoud), svedese-iraniano, il 6 maggio 2023.
Le condizioni in cui persiste la detenzione di Djalali sono disumane: oltre alla continua paura dell’esecuzione, il ricercatore è sottoposto a continue e immense torture. Più tempo passa, maggiore è il rischio che l’esecuzione abbia luogo.
La storia di Ahmadreza Djalali
Ahmadreza Djalali è stato condannato in via definitiva a morte da un tribunale iraniano con l’accusa di “spionaggio”.
Djalali è stato arrestato dai servizi segreti mentre si trovava in Iran per partecipare a una serie di seminari nelle università di Teheran e Shiraz.
Si è visto ricusare per due volte un avvocato di sua scelta.
Le autorità iraniane hanno fatto forti pressioni su Djalali affinché firmasse una dichiarazione in cui “confessava”di essere una spia per conto di un “governo ostile”. Quando ha rifiutato, è stato minacciato di essere accusato di reati più gravi.
Ahmad avrebbe anche urgente bisogno di cure mediche specialistiche. Un medico che lo ha visitato in carcere all’inizio del 2019 ha detto che deve essere visto da medici specializzati in ematologia e oncologia in un ospedale fuori dal carcere. Dal suo arresto il 26 aprile 2016, ha perso 24 kg e ora pesa 51 kg.
L’Università del Piemonte Orientale è sempre rimasta in contatto con Vida e ha messo in atto ogni possibile intervento, in accordo con le istituzioni nazionali ed europee, per richiedere la liberazione di Ahmadreza Djalali.
Le autorità iraniane di rilasciare immediatamente Ahmadreza Djalali e le autorità svedesi devono agire adesso per riportarlo a casa!
Chiediamo alle autorità iraniane di rilasciare immediatamente Ahmadreza Djalali e alleautorità svedesi di adottare tutte le misure possibili per garantire che i suoi diritti siano rispettati!
Appello alle autorità iraniane
Head of the Judiciary
Ayatollah Gholam-Hossein Mohseni Ejei
c/o Public Relations Office
Number 4, 2 Aziz Street Intersection
Tehran
Iran
Eccellenza,
Le scrivo come sostenitore di Amnesty International, l’organizzazione non governativa che dal 1961 lavora in difesa dei diritti umani, dovunque siano violati.
La invito ad annullare la condanna e la sentenza di Ahmadreza Djalali, a liberarlo immediatamente e incondizionatamente essendo un prigioniero di coscienza. Djalali è detenuto soltanto come rappresaglia per il suo rifiuto di utilizzare i suoi legami scolastici e lavorativi nelle istituzioni accademiche europee e in altre istituzioni per spiare per l’Iran.
La esorto a garantire che abbia regolare accesso all’avvocato di sua scelta e ai familiari, compresi quelli residenti all’estero, nonché al personale del consolato di Svezia in Iran.
Le ricordo che le prove ottenute sotto costrizioni, torture o conseguenze di “confessioni” forzate non possono essere utilizzate come prove in tribunale e devono essere oggetto di una indagine indipendente e efficace.
Grazie per l’attenzione.
Appello alle autorità svedesi
Chiedo alle autorità svedesi di:
agire urgentemente per proteggere i diritti di Ahmadreza Djalali, compreso il suo diritto alla vita, e per garantire il suo rilascio immediato;
rivedere la loro attuale strategia e formulare un nuovo piano per riportare a casa Ahmadreza Djalali;
perseguire tutti i funzionari iraniani sospettati di responsabilità penale per i crimini di diritto internazionale e le violazioni dei diritti umani commessi contro Ahmadreza Djalali, tra cui la tortura e la presa di ostaggi, sulla base dei principi della giurisdizione universale e della giurisdizione della personalità passiva; e per quest’ultima, in conformità con gli obblighi della Svezia ai sensi della Convenzione internazionale contro la presa di ostaggi;
adottare urgentemente politiche per garantire che i casi dei loro cittadini detenuti siano prontamente esaminati in conformità con la Convenzione internazionale contro la presa di ostaggi per determinare se la privazione della libertà costituisca un atto di presa di ostaggi e, in caso affermativo, adottare tutte le misure appropriate per proteggere e garantire il rilascio degli ostaggi in questione e promuovere percorsi di assunzione di responsabilità attraverso dichiarazioni pubbliche e anche attraverso indagini e, se vi sono sufficienti prove ammissibili, il perseguimento di tutti coloro che sono sospettati di responsabilità penale. Dato che la privazione della libertà potrebbe trasformarsi in un atto di presa di ostaggi in qualsiasi fase successiva all’arresto, tutti i casi di questo tipo devono essere sottoposti a regolari revisioni.
Ahmadreza Djalali è stato condannato a morte per “corruzione sulla terra” (efsad-e fel-arz) nell’ottobre 2017 dopo un processo gravemente iniquo davanti alla Sezione 15 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, inquinato da “confessioni” estorte con la tortura.
Il 9 dicembre 2018, i suoi avvocati hanno appreso che la Corte Suprema aveva confermato la sua condanna a morte senza concedere loro l’opportunità di presentare le proprie osservazioni difensive.
Il 24 novembre 2020, Ahmadreza Djalali è stato informato che la sua esecuzione sarebbe avvenuta entro una settimana. Il 2 dicembre 2020, a seguito di una mobilitazione globale, l’esecuzione di Ahmadreza Djalali è stata bloccata. La Corte Suprema ha respinto le sue molteplici richieste di revisione giurisdizionale. La condanna a morte di Ahmadreza Djalali è definitiva e può essere eseguita in qualsiasi momento.
Dalla fine di novembre 2020 all’inizio di aprile 2021, agenti del Ministero dell’intelligence hanno torturato e maltrattato Ahmadreza Djalali mentre era tenuto in isolamento prolungato nella sezione 209 della prigione di Evin a Teheran, sotto il controllo del Ministero dell’intelligence. Nella sua cella tenevano accesa una luce intensa 24 ore su 24, cosa che secondo lui gli ha causato un grande disagio mentale, ed è stato costretto a dormire sul pavimento, su una coperta sottile, per oltre cinque mesi.
Prove sempre più numerose indicano inoltre che le autorità iraniane stanno commettendo anche il reato di presa di ostaggi contro Ahmadreza Djalalie hanno minacciato di metterlo a morte per costringere la Svezia a consegnare un ex funzionario iraniano imprigionato, Hamid Nouri, condannato nel 2022, da un tribunale svedese per i crimini legati ai massacri nelle carceri iraniane del 1988 e per scoraggiare futuri procedimenti giudiziari contro funzionari iraniani.
Ahmadreza Djalali è uno dei più importanti ricercatori iraniani, arrestato e condannato a morte. Ma non è l’unico: le proteste degli ultimi mesi hanno visto un incremento di arresti, torture, condanne. Cosa sta succedendo nel paese? Lo scopriamo nella puntata “La spia” di Ellissi, il podcast con la voce di Gianmarco Saurino, protagonista di un intenso incontro coi famigliari dell’accademico.
Ellissi è un podcast prodotto da Emons Record e Amnesty International Italia
Testi di Giuseppe Paternò Raddusa
Ahmad ha urgente bisogno di cure mediche specialistiche.
Un medico che lo ha visitato in carcere all’inizio del 2019 ha detto che deve essere visto da medici specializzati in ematologia e oncologia in un ospedale fuori dal carcere. Ad oggi, le autorità non lo hanno portato in ospedale per le cure mediche di cui ha bisogno. Dal suo arresto il 26 aprile 2016, ha perso 24 kg e ora pesa 51 kg.
In due occasioni, la più recente nel febbraio 2019, Ahmadreza Djalali doveva essere trasferito in un ospedale fuori dal carcere per vedere uno specialista, ma, il giorno del trasferimento, gli fu detto che per essere trasferito sarebbe dovuto essere ammanettato e avrebbe dovuto indossare un’uniforme da detenuto. Ahmad ha protestato contro questi trattamenti degradanti e, per rappresaglia, le autorità hanno annullato il trasferimento.
Riteniamo che le condizioni imposte per il trasferimento di Ahmad all’ospedale non siano necessarie e pertanto eccessive, deliberatamente progettate per umiliarlo e punirlo. Violano il divieto assoluto di trattamenti crudeli, inumani o degradanti ai sensi del diritto internazionale; le autorità iraniane hanno l’obbligo di trattare i detenuti rispettando la loro intrinseca dignità di esseri umani.
Nel novembre 2018, Ahmadreza Djalali è stato sottoposto a un intervento chirurgico all’ernia in un ospedale fuori dal carcere, dopo mesi di sofferenze. Dopo l’intervento chirurgico, le sue gambe sono state incatenate inutilmente al letto d’ospedale, il che gli ha causato stress emotivo e disagio fisico.
Le autorità lo hanno trasferito in carcere meno di due giorni dopo, nonostante il parere medico suggerisse che sarebbe dovuto restare in ospedale più a lungo.
Nel febbraio 2019, un medico della prigione gli disse che aveva bisogno di una procedura di follow-up per curare la sua ernia, ma questa non è ancora stata fatta.
Esistono serie preoccupazioni per la diffusione del coronavirus nelle carceri iraniane e per il fatto che le autorità iraniane non sono riuscite a proteggere a sufficienza le popolazioni carcerarie.
Molte carceri iraniane hanno condizioni di detenzione che sono al di sotto degli standard internazionali: sovraffollamento, scarsa ventilazione, acqua calda limitata durante la stagione invernale, cibo inadeguato, letti insufficienti e infestazioni di insetti. Queste condizioni carcerarie favoriscono la diffusione di malattie infettive.
Da quando si è diffusa la notizia sullo scoppio della pandemia anche in Iran nel febbraio 2020, i familiari di molti detenuti hanno espresso serie preoccupazioni per il benessere dei propri cari chiedendo a gran voce il rilascio dei prigionieri di coscienza e di coloro che sono detenuti solo per motivi politici.
Sebbene la magistratura iraniana abbia fatto una serie di annunci su come intende prevenire la diffusione del Covid-19 nelle carceri, compresi i piani per il rilascio temporaneo di migliaia di persone, il pagamento della cauzione e concedere la grazia a determinati tipi di detenuti, centinaia di prigionieri di coscienza rimangono incarcerati.
Secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa, le popolazioni carcerarie sono particolarmente esposte a malattie infettive e le condizioni di detenzione possono accelerare il contagio.
In base al diritto internazionale, come indicato negli standard minimi per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite, le autorità penitenziarie devono garantire che tutti i detenuti abbiano rapido accesso alle cure mediche e all’assistenza sanitaria.
La prestazione di assistenza sanitaria per i detenuti è una responsabilità dello stato.
I detenuti dovrebbero godere degli stessi standard di assistenza sanitaria disponibili nella comunità per quanto riguarda test, prevenzione e trattamento del Covid-19.
Dove un servizio carcerario ha le proprie strutture ospedaliere, devono essere dotate di personale e attrezzature adeguati per fornire ai detenuti a loro affidati le cure necessarie. I detenuti che richiedono i trattamenti o gli interventi chirurgici specializzati devono essere trasferiti ad istituti specializzati o ad ospedali civili.
Ahmadreza Djalali è un medico di 45 anni residente e naturalizzato in Svezia.
Docente e ricercatore in medicina dei disastri e assistenza umanitaria, ha insegnato nelle università di Belgio, Italia e Svezia.
Lavora nel campo della Medicina dei disastri dal 1999 e ha scritto decine di articoli accademici.
Ha lasciato l’Iran nel 2009 per un dottorato di ricerca presso il Karolinska Institute in Svezia, poi presso l’Università degli studi del Piemonte Orientale e la Vrije Universiteit di Bruxelles, in Belgio.
Ahmadreza Djalali, che ha insegnato all’università in Belgio, Italia e Svezia, era in viaggio d’affari in Iran quando è stato arrestato dai funzionari del Ministero dell’Intelligence nell’aprile del 2016.
La sua famiglia non ha avuto informazioni sul luogo di detenzione per dieci giorni dopo il suo arresto. È stato tenuto in una località sconosciuta per una settimana prima di essere trasferito alla sezione 209 della prigione Evin di Teheran, dove è stato detenuto per sette mesi, tre in isolamento. Successivamente è stato spostato nella sezione 7 del carcere di Evin.
Ha affermato che, mentre in isolamento, gli è stato negato l’accesso ad un avvocato ed è stato costretto a fare “confessioni” davanti a una videocamera leggendo dichiarazioni pre-scritte dai suoi interrogatori. Ha detto che è stato sottoposto a pressioni intense con tortura e altri maltrattamenti, incluse minacce di morte, anche verso i figli che vivono in Svezia e la sua anziana madre che vive in Iran, al fine di fargli “confessare” di essere una spia.
Ahmadreza Djalali nega le accuse contro di lui e sostiene che siano state fabbricate dalle autorità. In una lettera dell’agosto del 2017 scritta dall’interno della prigione di Evin, afferma che sono state le autorità iraniane nel 2014 a chiedergli di “collaborare con loro per identificare e raccogliere informazioni provenienti dagli Stati dell’Ue. La mia risposta è stata “no” e ho detto loro che sono solo uno scienziato, non una spia”.
Il 24 ottobre 2017, durante la sua conferenza stampa settimanale con i giornalisti, il procuratore generale di Teheran, Abbas Ja’fari Dolat Abadi, ha detto senza specificare il nome di Ahmadreza Djalali, che “l’imputato” aveva tenuto diversi incontri con l’agenzia di intelligence israeliana Mossad e che forniva loro informazioni sensibili su siti militari e nucleari iraniani in cambio di soldi e della residenza in Svezia.
L’articolo 14 (3) del Patto internazionale dei diritti civili e politici (ICCPR), di cui l’Iran è Stato parte, garantisce il diritto dei detenuti ad avere tempo e mezzi adeguati per la preparazione della propria difesa e a comunicare con un avvocato di propria scelta. Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato: “Il diritto di comunicare con un difensore richiede che all’imputato sia concesso un rapido accesso a un avvocato.” Secondo il diritto internazionale, un ritardato accesso all’assistenza legale può essere autorizzato solo in circostanze eccezionali, deve essere prescritto dalla legge e limitato ad occasioni in cui si ritiene indispensabile per mantenere la sicurezza e l’ordine. Tuttavia, anche in questi casi limitati, l’accesso non dovrebbe essere ritardato di più di 48 ore dal momento dell’arresto o detenzione”.
Il codice di procedura penale 2015 dell’Iran prevede una disposizione che dà diritto agli imputati di chiedere un avvocato al momento dell’arresto e richiede alle autorità di informare l’imputato di questo diritto. Tuttavia, il mancato rispetto di tali diritti non pregiudica la validità delle indagini, consentendo ai tribunali di contare su elementi raccolti durante le indagini condotte senza la presenza di un avvocato. Inoltre, ai sensi dell’articolo 48 del codice, gli individui con accuse legate alla sicurezza nazionale non sono autorizzati ad accedere a un avvocato indipendente di loro scelta per l’intera fase dell’indagine e possono selezionare i loro avvocati solo da un elenco di avvocati approvato dal procuratore. Amnesty International ha documentato numerosi casi in cui l’ufficio del procuratore ha utilizzato l’articolo 48 del codice per evitare che i detenuti potessero accedere ad avvocati di propria scelta, dicendo loro che non erano nella lista degli avvocati approvati dal capo della magistratura, anche se nessuna lista ufficiale è ancora stata emessa.
134 premi Nobel hanno scritto questa lettera aperta per chiedere a la liberazione di Ahmadreza Djalali.
Egregia Guida suprema Ayatollah Ali Khamenei,
a partire dal novembre del 2017 Le ho scritto a nome di un gruppo di premi Nobel in riferimento alla difficile condizione di uno studioso di medicina, il dottor Ahmadreza Djalali, arrestato durante una visita accademica a Teheran nell’aprile 2016.
Le abbiamo scritto di nuovo nel 2018 e le adesioni hanno continuato a crescere.
In allegato troverà un elenco di 134 premi Nobel che ora sostengono questa causa.
Ci permettiamo di sollecitarLa a seguire personalmente questo caso e ad assicurarsi che il dottor Djalali sia trattato con umanità e correttezza e che venga rilasciato prima possibile.
Le chiediamo rispettosamente di dare indicazioni alle autorità iraniane affinché esse permettano che il dottor Djalali torni a casa da sua moglie e dai suoi figli e possa continuare a svolgere il suo lavoro accademico a beneficio dell’umanità.
Il Centro Abdorrahman Boroumand per i diritti umani e Amnesty International hanno reso noto che in Iran, nei primi sei mesi del 2022, sono state messe a morte almeno 251 persone. Di questo passo, hanno […]
Nel 2021 c’è stato un preoccupante aumento delle esecuzioni e delle condanne a morte in alcuni degli stati già più prolifici, i cui tribunali hanno ripreso a funzionare a pieno regime con la fine delle restrizioni dovute alla pandemia.
Emergono sempre maggiori prove, secondo Amnesty International, che le autorità iraniane stiano commettendo il crimine di presa di ostaggi nei confronti di Ahmadreza Djalali.
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