L’accademico svedese-iraniano Ahmadreza Djalali, detenuto arbitrariamente in Iran dal 2016, è a grave rischio di esecuzione dopo aver esaurito tutte le vie legali per annullare la sua condanna a morte.
Docente e ricercatore in medicina dei disastri e assistenza umanitaria, ha insegnato nelle università di Belgio, Italia e Svezia. È stato arrestato arbitrariamente il 26 aprile 2016 mentre era in viaggio d’affari in Iran e accusato di spionaggio.
Djalali ha subito diverse violazioni dei suoi diritti fondamentali, come l’isolamento prolungato, la negazione dell’accesso a un avvocato, tortura e altri maltrattamenti, incluse minacce di morte, al fine di estorcergli una “confessione”.
Ahmadreza Djalali ha sempre negato le accuse contro di lui e sostiene che siano state fabbricate dalle autorità.
Dal 26 giugno al 4 luglio 2024, ha iniziato uno sciopero della fame per protestare contro il perdurare della sua detenzione arbitraria dopo lo scambio di prigionieri tra Iran e Svezia del 15 giugno 2024.
Le autorità iraniane devono annullare la condanna e la pena di morte di Ahmadreza Djalali, inflitte in seguito a un processo gravemente iniquo, e scarcerarlo immediatamente.
Head of the Judiciary
Gholam-Hossein Mohseni Ejei
c/o Embassy of Iran to the European Union,
Avenue Franklin Roosevelt No. 15,
1050 Bruxelles, Belgium
Gentile signor Gholamhossein Mohseni Ejei,
L’accademico svedese-iraniano Ahmadreza Djalali, detenuto arbitrariamente nel carcere di Evin a Teheran, è a grave rischio di esecuzione. È affetto da aritmia cardiaca, anemia e ipertensione, per le quali gli è stato negato un accesso tempestivo e adeguato all’assistenza sanitaria. Le sue condizioni di salute si sono ulteriormente deteriorate in seguito allo sciopero della fame dal 26 giugno al 4 luglio 2024 che, secondo la moglie Vida Mehrannia, ha intrapreso per protestare contro la sua detenzione arbitraria e per essere stato “lasciato indietro” in seguito all’accordo di scambio di prigionieri tra Iran e Svezia del 15 giugno. La donna ha espresso il timore per la sua sorte in seguito allo scambio, che ha portato alla scarcerazione dell’ex funzionario iraniano Hamid Nouri, condannato all’ergastolo da un tribunale svedese in relazione al suo ruolo nei massacri carcerari del 1988 in Iran, in cambio di due cittadini svedesi.
Ahmadreza Djalali è stato arrestato a Teheran nell’aprile 2016 e condannato a morte per “corruzione sulla terra” (efsad-e fel-arz) nell’ottobre 2017, dopo un processo gravemente iniquo davanti a un Tribunale rivoluzionario che si è basato principalmente su “confessioni” che Ahmadreza Djalali ha dichiarato essere state ottenute con la tortura e altri maltrattamenti, mentre era tenuto in isolamento prolungato e gli era stato negato l’accesso a un avvocato. Amnesty International ha ripetutamente affermato che il reato di “corruzione sulla terra” non soddisfa i requisiti di chiarezza e precisione necessari nel diritto penale. Il 9 dicembre 2018, i suoi avvocati hanno appreso che la Corte Suprema aveva confermato la sua condanna a morte senza concedere loro la possibilità di presentare memorie difensive. Dalla fine di dicembre 2018, le “confessioni” forzate di Ahmadreza Djalali sono state ripetutamente trasmesse dalla TV di Stato. Nel maggio 2022, gli avvocati di Ahmadreza Djalali hanno presentato una richiesta di revisione giudiziaria alla Corte Suprema e, separatamente, un appello al capo della magistratura ai sensi dell’articolo 477 del codice di procedura penale per ordinare una revisione del caso; a distanza di oltre due anni non è stata ricevuta alcuna risposta. La detenzione di Ahmadreza Djalali è resa arbitraria a causa della gravità delle violazioni dei suoi diritti a un processo equo, tra cui la presunzione di innocenza, il diritto di non autoincriminarsi, il diritto a un processo davanti a un tribunale indipendente, competente e imparziale senza indebiti ritardi, il diritto di avere accesso a un avvocato fin dal momento dell’arresto, il diritto a una difesa adeguata, il diritto di essere protetto dalla tortura e da altri maltrattamenti e il diritto di contestare in modo efficace la legalità della sua detenzione.
Le chiedo di fermare immediatamente qualsiasi programma di esecuzione di Ahmadreza Djalali, di annullare la sua condanna e la sentenza della pena di morte e di scarcerarlo immediatamente, poiché la sua detenzione è resa arbitraria a causa della grave inosservanza dei suoi diritti a un processo equo. In attesa della sua scarcerazione, Ahmadreza Djalali deve ricevere cure mediche adeguate ed essere protetto da ulteriori torture e altri maltrattamenti. Devono essere condotte indagini rapide, indipendenti, efficaci e imparziali su coloro che sono sospettati di aver ordinato, commesso, aiutato o favorito atti illegali contro di lui e coloro che sono sospettati di tali reati devono essere portati davanti alla giustizia in processi equi. La invito inoltre a stabilire una moratoria ufficiale sulle esecuzioni in vista dell’abolizione della pena di morte.
Cordialmente
Le circostanze della grazia concessa ad Hamid Nouri dal governo svedese e del suo ritorno in Iran il 15 giugno 2024 confermano le precedenti preoccupazioni di Amnesty International, secondo cui le autorità iraniane avrebbero tenuto in ostaggio cittadini svedesi per scambiarli. Il cittadini svedese Johan Floderus e Saeed Azizi con doppia cittadinanza sono tornati in patria il 15 giugno 2024 dopo aver subito una litania di violazioni dei diritti umani in Iran. Amnesty International aveva già affermato che la decisione del governo svedese di scarcerare Nouri contribuisce alla crisi di impunità in Iran e incoraggia le autorità iraniane a commettere ulteriori crimini di diritto internazionale, tra cui la presa di ostaggi, senza temere conseguenze. Questa decisione mina il diritto alla giustizia e alla riparazione per i sopravvissuti e le famiglie delle vittime e solleva preoccupazioni circa l’impegno del governo svedese a rispettare i suoi obblighi di diritto internazionale.
Amnesty International aveva da tempo denunciato che le autorità iraniane tenevano Ahmadreza Djalali in ostaggio e minacciavano di metterlo a morte per costringere terzi a scambiarlo con ex funzionari iraniani condannati e/o sotto processo all’estero. Il 19 dicembre 2023, la Corte d’appello di Svea Hovrätt ha confermato la condanna all’ergastolo per Hamid Nouri emessa dal Tribunale distrettuale di Stoccolma l’anno precedente. Il giorno successivo i media di stato iraniani hanno mandato in onda un video di propaganda con le “confessioni” forzate di Ahmadreza Djalali registrato molti anni prima. In una lettera scritta dal carcere nell’agosto 2017, infatti, Ahmadreza Djalali ha affermato che durante quel periodo è stato sottoposto a torture e altri maltrattamenti per costringerlo a “confessare” di essere una spia, comprese le minacce di metterlo a morte, uccidere o fare altrimenti del male ai suoi figli che vivono in Svezia, e a sua madre che viveva in Iran ed è morta nel 2021. Nella stessa lettera, Djalali scriveva di essere detenuto solo per il suo rifiuto di usare i suoi legami accademici in istituzioni europee per fare la spia per le autorità iraniane. Il video di propaganda del 20 dicembre 2023 includeva le “confessioni” forzate di Habib Chaab, un cittadino svedese-iraniano messo a morte in segreto il 6 maggio 2023 dalle autorità.
Ahmadreza Djalali è uno dei più importanti ricercatori iraniani, arrestato e condannato a morte. Ma non è l’unico: le proteste degli ultimi mesi hanno visto un incremento di arresti, torture, condanne. Cosa sta succedendo nel paese? Lo scopriamo nella puntata “La spia” di Ellissi, il podcast con la voce di Gianmarco Saurino, protagonista di un intenso incontro coi famigliari dell’accademico.
Ellissi è un podcast prodotto da Emons Record e Amnesty International Italia
Testi di Giuseppe Paternò Raddusa
L’articolo 14 (3) del Patto internazionale dei diritti civili e politici (ICCPR), di cui l’Iran è Stato parte, garantisce il diritto dei detenuti ad avere tempo e mezzi adeguati per la preparazione della propria difesa e a comunicare con un avvocato di propria scelta. Il Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato: “Il diritto di comunicare con un difensore richiede che all’imputato sia concesso un rapido accesso a un avvocato.” Secondo il diritto internazionale, un ritardato accesso all’assistenza legale può essere autorizzato solo in circostanze eccezionali, deve essere prescritto dalla legge e limitato ad occasioni in cui si ritiene indispensabile per mantenere la sicurezza e l’ordine. Tuttavia, anche in questi casi limitati, l’accesso non dovrebbe essere ritardato di più di 48 ore dal momento dell’arresto o detenzione”.
Il codice di procedura penale 2015 dell’Iran prevede una disposizione che dà diritto agli imputati di chiedere un avvocato al momento dell’arresto e richiede alle autorità di informare l’imputato di questo diritto. Tuttavia, il mancato rispetto di tali diritti non pregiudica la validità delle indagini, consentendo ai tribunali di contare su elementi raccolti durante le indagini condotte senza la presenza di un avvocato. Inoltre, ai sensi dell’articolo 48 del codice, gli individui con accuse legate alla sicurezza nazionale non sono autorizzati ad accedere a un avvocato indipendente di loro scelta per l’intera fase dell’indagine e possono selezionare i loro avvocati solo da un elenco di avvocati approvato dal procuratore. Amnesty International ha documentato numerosi casi in cui l’ufficio del procuratore ha utilizzato l’articolo 48 del codice per evitare che i detenuti potessero accedere ad avvocati di propria scelta, dicendo loro che non erano nella lista degli avvocati approvati dal capo della magistratura, anche se nessuna lista ufficiale è ancora stata emessa.
134 premi Nobel hanno scritto questa lettera aperta per chiedere a la liberazione di Ahmadreza Djalali.
Egregia Guida suprema Ayatollah Ali Khamenei,
a partire dal novembre del 2017 Le ho scritto a nome di un gruppo di premi Nobel in riferimento alla difficile condizione di uno studioso di medicina, il dottor Ahmadreza Djalali, arrestato durante una visita accademica a Teheran nell’aprile 2016.
Le abbiamo scritto di nuovo nel 2018 e le adesioni hanno continuato a crescere.
In allegato troverà un elenco di 134 premi Nobel che ora sostengono questa causa.
Ci permettiamo di sollecitarLa a seguire personalmente questo caso e ad assicurarsi che il dottor Djalali sia trattato con umanità e correttezza e che venga rilasciato prima possibile.
Le chiediamo rispettosamente di dare indicazioni alle autorità iraniane affinché esse permettano che il dottor Djalali torni a casa da sua moglie e dai suoi figli e possa continuare a svolgere il suo lavoro accademico a beneficio dell’umanità.
Il governo si impegna a combattere la sistematica violazione dei diritti umani in Iran contro donne, ragazze, attiviste e attivisti e dissidenti politici.
Il governo si impegna a combattere la sistematica violazione dei diritti umani in Iran contro donne, ragazze, attiviste e attivisti e dissidenti politici.