L’11 novembre 2017, 14 donne sono state aggredite a Varsavia durante la Marcia per il Giorno dell’indipendenza solo per aver espresso la loro opinione.
Le 14 donne volevano dimostrare la loro contrarietà ai messaggi d’odio dei manifestanti di estrema destra che si erano radunati per inneggiare ad una “Polonia bianca” e ad un’Europa che, come dicevano gli slogan, “sarà bianca o verrà abbandonata“.
Per questo, durante la manifestazione, hanno srotolato uno striscione su cui era scritto “fermiamo il fascismo” provocando la rappresaglia di alcuni manifestanti. Gli aggressori le hanno prese a calci, le hanno insultate apostrofandole come “sgualdrine”, “feccia sinistroide”, “puttane”, le hanno spintonate, le hanno prese a gomitate, le hanno afferrate per il collo e trascinate sul marciapiede.
Alcune guardie del corteo (volontari per l’organizzazione, la logistica e la sicurezza della marcia, non appartenenti alle forze di polizia) hanno cercato di proteggerle, mentre la polizia è giunta sul posto solo 30 minuti dopo. All’arrivo delle forze dell’ordine la manifestazione era già passata e gli aggressori non erano più identificabili. Al contrario, gli agenti hanno controllato i documenti di identità delle donne e contestato la loro presenza alla marcia sostenendo che avevano agito da provocatrici.
Invece di fermare e condannare gli esecutori dell’aggressione, le donne sono state accusate, giudicate colpevoli e multate per aver intralciato un raduno legittimo.
Solo in appello i giudici hanno deciso di riaprire le indagini e perseguire gli aggressori.
Schierati al fianco di queste donne coraggiose e chiedi giustizia per loro.
Il 21 novembre 2017, le donne hanno sporto denuncia al Pubblico ministero regionale di Varsavia dichiarando di aver subito gravi danni fisici (Art. 157 del Codice di Procedura Penale). Tra le prove presentate, sono state incluse foto e video della marcia e i referti medici delle lesioni riportate.
Nel febbraio 2018 le donne hanno scoperto che la polizia aveva aperto un’indagine a carico di 13 di loro per “intralcio a legittimo raduno“.
Il 27 settembre 2018, la Corte distrettuale di Śródmieście a Varsavia ha riconosciuto le donne colpevoli e ha ordinato loro di pagare una multa di 200 zloty (circa 50 euro) ciascuna e il costo delle spese legali.
La sentenza datata 31 settembre afferma che “I partecipanti si avvicinarono alle vittime, cercarono di afferrare il loro striscione, le presero a calci e le spintonarono per poi continuare per la loro strada. Queste azioni possono essere state percepite dalle vittime come un’aggressione ai loro danni; ciononostante, se considerate oggettivamente, esse non implicano un atto deliberato, intenzionale. Ciò perché gli aggressori non intendevano eseguire un pestaggio di gruppo quanto piuttosto esternare insofferenza per il fatto che le donne si erano piazzate sul loro percorso di marcia. L’ubicazione delle ferite riportate dalle vittime (prevalentemente l’area delle gambe, dei glutei e dei polsi) la loro tipologia (contusioni, abrasioni, escoriazioni) indicano che la violenza degli aggressori era stata diretta contro parti non vitali del corpo e per questa ragione non è possibile sostenere che gli aggressori intendessero agire allo scopo di esporre le vittime al rischio di perdita della vita o di seri danni alla salute o di compromissione delle funzioni di parti del corpo con prognosi superiore a 7 giorni” (art. 157, comma 1).
Il Pubblico Ministero afferma inoltre che “le ferite subite dalle donne come abrasioni, ematomi, lividi, slogature e contusioni avevano causato un’alterazione delle funzioni corporee o della salute con prognosi inferiore a 7 giorni (Art. 157, comma 2). Indubbiamente le ferite sono una violazione dell’integrità fisica delle vittime (Art. 217, comma 1) e costituiscono reato (Art. 216, comma 1)“.
La motivazione principale fornita dal PM per aver respinto la denuncia include il fatto che “le deposizioni delle vittime mostrano che esse sono individui adulti e istruiti, la maggior parte di loro persegue obiettivi sia professionalmente sia al di fuori dell’ambito lavorativo tanto che non è possibile attribuire loro alcuna incapacità o fragilità nell’esercizio dei propri diritti né la mancanza di conoscenza del comportamento umano in contesti sociali e le vittime sono coinvolte in iniziative sociali che indicano che esse sono in grado di far valere i propri diritti efficacemente”.
Questo ragionamento omette completamente le motivazioni per non perseguire chi ha commesso l’aggressione.
Le donne hanno presentato un appello contro la decisione del pubblico ministero di interrompere il procedimento e la causa è pendente. Il 13 febbraio 2019 il giudice ha ordinato la riapertura delle indagini.
Negli ultimi due anni, successivamente alle elezioni vinte dal partito Diritto e Giustizia, il governo polacco ha intrapreso significative modifiche legislative e politiche che hanno compromesso i diritti umani nel paese.
Tra le modifiche legislative, l’adozione di norme che minacciano l’indipendenza del Tribunale costituzionale, consolidano il potere nelle mani dell’esecutivo a spese di una magistratura indipendente e libera da interferenze politiche, stabiliscono restrizioni al diritto di libertà di riunione e di espressione e tentano di limitare i diritti delle donne.
In diverse città si sono registrate proteste contro l’adozione di questa legge. Ciononostante, prendere parte ad una protesta in Polonia richiede impegno, tempo, il contatto di un legale e la determinazione ad affrontare le conseguenze (che possono variare dalle molestie alle aggressioni fisiche e verbali, dalle sanzioni pecuniarie alla detenzione fino ai procedimenti penali).
Amnesty International ha ripetutamente espresso la propria preoccupazione riguardo alla criminalizzazione e alla severa repressione del diritto di protesta.
Le limitazioni alla libertà di riunione e di espressione delineano in Polonia un ambiente in cui non c’è spazio per esprimere opposizione alla politica e all’azione del governo.
Amnesty International ha criticato l’applicazione di provvedimenti del Codice dei reati minori e del Codice di procedura penale contro persone che stavano esercitando il proprio diritto alla libertà di pacifica riunione e di espressione definendole azioni sproporzionate e inutili ai sensi della legge internazionale sui diritti umani.
Il semplice atto di protesta pacifica per esprimere un dissenso collettivo ha consegnato centinaia di manifestanti alla custodia della polizia costringendoli a lunghi procedimenti legali per potersi difendere dalla persecuzione.
Il numero delle persone coinvolte è eloquente. A partire da marzo 2018, il team di supporto legale di Obywatele RP ha riportato di 549 casi di pacifici protestanti coinvolti nella fase preparatoria del processo ai sensi del Codice dei reati minori e di 62 ordinanze del tribunale. A giugno c’erano almeno 36 casi aperti contro i manifestanti in fase preparatoria del processo e 5 casi contro 9 persone già in fase processuale.
Le contravvenzioni e le azioni penali contro coloro che partecipano a forme di protesta violano il diritto alla libertà di pacifica riunione e rappresentano azioni intimidatorie che spingono le persone a ponderare attentamente prima di esercitare il proprio diritto di protesta. Ciò rappresenta una minaccia diretta a qualunque voce critica, alla libertà di espressione e al diritto di protestare e ha già avuto un effetto raggelante sulla società polacca.
Le azioni delle autorità hanno generato preoccupazioni relativamente al diverso atteggiamento tenuto nei confronti dei differenti tipi di manifestazione.
Ai sensi di legge, in Polonia, “le adunanze cicliche” ovvero organizzate ripetutamente dalla stessa associazione e nello stesso luogo, hanno la priorità rispetto ad altre che risultano, invece, occasionali. La marcia dell’Indipendenza è considerata un raduno ‘ciclico’. Essenzialmente, questa disposizione riconosce la priorità ad una forma di raduno rispetto ad altre il che, nella pratica, ha condotto a proibire numerosi raduni nel 2017 e nel 2018. Dare priorità ad una forma di espressione su un’altra, senza alcun tentativo da parte delle autorità di dar spazio ad entrambe, rappresenta una violazione della normativa internazionale e degli standard sulla libertà di raduno ed espressione.
Un tale duplice criterio si riflette sul modo in cui il corpo di polizia agisce. Amnesty International ha documentato casi in cui la polizia non è riuscita a fermare gli assalti o le violenze da parte di gruppi nazionalistici o di estrema destra quando rivolti ai danni di contro-manifestanti. Questo tipo di sorveglianza appare deliberato e fa nascere la preoccupazione che gli attori delle forze dell’ordine statali favoriscano le dimostrazioni filo-governative e nazionalistiche rispetto ad altri tipi di raduno.
Ad oggi, le corti hanno svolto un ruolo critico nella salvaguardia dei diritti umani, inclusi i diritti di libertà di raduno. Ciononostante, le leggi adottate negli ultimi due anni stanno seriamente minando l’indipendenza della magistratura avendola assoggettata al controllo politico del governo e avendo fornito l’esecutivo di nuovi strumenti di esercizio del potere atti a scavalcarla. Con i magistrati vulnerabili alle pressioni politiche, ci sono crescenti apprensioni che gli attivisti, i difensori dei diritti umani e gli altri perdano uno dei pilastri della garanzia di protezione e rispetto dei diritti umani, cioè la presenza di corti indipendenti.
Amnesty International sta documentando pressioni continue sulla magistratura e ha già verificato i primi casi di molestie e pressione politica subite dai magistrati che hanno respinto le accuse contro protestanti pacifici.
Onorevole Ministro,
Scrivo per chiedere che sia garantita giustizia alle 14 donne polacche che l’11 novembre 2017 furono violentemente aggredite a Varsavia dai partecipanti alla marcia del Giorno dell’Indipendenza.
Le donne hanno protestato contro l’odio e il razzismo fomentati durante la marcia e per questo sono state aggredite da alcuni dei partecipanti che, come risulta dai filmati, le avevano assalite con calci, colpi, sputi ed insulti.
Il Pubblico Ministero inizialmente incaricato del caso, aveva chiuso le indagini sull’aggressione con una giustificazione irragionevole e, aggiungendo la beffa al danno, aveva accusato le donne di intralcio a lecito raduno. Riconosciute colpevoli in prima istanza esse erano state condannate a pagare una multa e le spese legali. Questo soltanto per aver espresso pacificamente le proprie opinioni.
Finalmente, il 13 febbraio ultimo scorso, un giudice ha ordinato la riapertura delle indagini e pertanto, adesso, si dovrà procedere a identificare i colpevoli, rintracciarli e consegnarli alla giustizia.
La protesta pacifica è un diritto umano fondamentale che deve essere garantito per legge e all’atto pratico. Le autorità polacche devono consentire la protesta pacifica ed evitare che coloro che esprimono pacificamente la propria opinione vengano criminalizzati.
Cordiali saluti,