“Mi sorprende come la comunità internazionale si aspetti ancora che i talebani rispettino i diritti umani“. – Tarina Wodod, attivista afgana
A tre anni dal ritorno al governo dei talebani, il paese rimane un focolaio di violazioni incontrollate e inarrestabili dei diritti umani. Dall’agosto 2021 le autorità di fatto talebane compiono crimini di diritto internazionale, soprattutto contro le donne e le bambine: persecuzioni di genere, torture, detenzioni arbitrarie e censura, il tutto senza alcuna assunzione di responsabilità.
La risposta del mondo? Tiepida nella migliore delle ipotesi.
Le donne afgane non devono essere lasciate sole.
Firma l’appello al governo italiano, chiedi di intraprendere azioni concrete per porre fine alle persecuzioni di genere.
Da quando i talebani hanno preso il potere nel 2021, l’Afghanistan è entrato in una spirale discendente di violazioni dei diritti umani. Le donne sono bandite da tutte le dimensioni sociali della vita, torture e maltrattamenti, detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, censura, pene corporali come le frustate continuano con assoluta impunità. Sono state applicate gravi restrizioni ai diritti alla libertà di espressione, di riunione pacifica e di partecipazione politica delle donne. L’assenza di una magistratura indipendente aggrava ulteriormente questi problemi, lasciando le vittime senza alcun ricorso alla giustizia.
Oggi in Afghanistan si parla con ancora più forza di apartheid per motivi di genere, un concetto che è stato articolato per la prima volta dalle difensore dei diritti umani dell’Afghanistan e dalle loro alleate femministe quando, negli anni Novanta, i talebani sottomisero le donne e le ragazze e ne attaccarono sistematicamente i diritti. È diventato ancora più utilizzato quando, nel 2021, i talebani hanno ripreso il controllo del paese.
Mentre la popolazione afgana rimane intrappolata in questo incubo senza fine, la comunità internazionale non sta riuscendo a prendere alcuna azione significativa. Le parole forti non fermeranno questa repressione; le azioni forti sì. I governi di tutto il mondo devono farsi avanti per porre fine a questo ciclo di repressione.
Oltre 20 difensore dei diritti umani residenti in 21 province dell’Afghanistan hanno detto ad Amnesty International di aver perso autonomia in ogni aspetto della loro vita. In precedenza, svolgevano attività professionali nel campo legale, politico, giornalistico, educativo e sportivo. Dopo tre anni di dominio dei talebani, la loro sensazione è di essere delle “non persone”, con limitate opportunità di lavorare e di dare il proprio contributo in ambito economico o culturale.
“Alle donne che hanno perso autonomia, lavoro e status economico dicono che è ciò che meritano, che il ritorno dei talebani è una svolta positiva per chiudere la bocca a coloro che predicano l’adulterio in nome dei diritti umani e dei diritti delle donne”, ha raccontato Razia, una difensora dei diritti umani della provincia di Kunduz.
I talebani negano le accuse di persecuzione di genere sostenendo che stanno rispettando la shariah (le leggi islamiche) e “la cultura afgana”. I decreti e le politiche di tipo repressivo e limitativo che erano stati adottati ufficialmente come misure temporanee per assicurare l’incolumità delle persone, soprattutto delle bambine e delle donne, dopo tre anni sono ancora in vigore.
“Ci avevano detto che i talebani erano cambiati, che non dovevamo compromettere gli sforzi di pace, che il mondo sarebbe stato dalla nostra parte. Ma oggi viviamo sole con le nostre miserie”, ha detto Nazifa, un’insegnante della provincia di Mazar-e-sharif.
Le limitazioni contro le donne e le bambine afgane sono chiaramente studiate per prenderle di mira. Violano i loro diritti e le escludono dalla partecipazione alla società. Le rendono cittadine di seconda classe, ridotte al silenzio e rese invisibili. La quantità di prove raccolte lasciano intendere che queste misure rispecchino una politica di persecuzione di genere che ha l’obiettivo di annullare il potenziale delle donne e delle bambine quasi in ogni aspetto della loro vita.
Le gravi limitazioni e l’illegale repressione dei diritti delle donne e delle bambine da parte dei talebani in Afghanistan devono essere indagate come possibili crimini di diritto internazionale, tra i quali il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere.
È quanto richiesto da Amnesty International e dalla Commissione internazionale dei giuristi, in un rapporto intitolato “La guerra dei talebani contro le donne: il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere in Afghanistan”, già nel 2023.
Il rapporto contiene una dettagliata analisi giuridica delle drastiche limitazioni imposte dai talebani nei confronti delle donne e delle ragazze afgane che, insieme all’imprigionamento, alle sparizioni forzate, alle torture e ai maltrattamenti, potrebbero costituire il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere, ai sensi dell’articolo 7.1.h dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale.
Amnesty International e la Commissione internazionale dei giuristi ritengono che la procura della Corte penale internazionale dovrebbe aggiungere il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere nell’indagine in corso sulla situazione in Afghanistan e che gli stati, attraverso la giurisdizione universale o altre vie giudiziarie, dovrebbero processare i talebani sospettati di crimini di diritto internazionale.
“La campagna di persecuzione di genere dei talebani è di una dimensione, di una gravità e di una sistematicità tali che, complessivamente, le loro azioni e le loro politiche vanno a formare un sistema repressivo che vuole soggiogare ed emarginare le donne e le bambine in tutto l’Afghanistan. Tale campagna soddisfa tutti e cinque i criteri necessari perché si parli del crimine contro l’umanità di persecuzione di genere”, ha dichiarato Santiago A. Canton, segretario generale della Commissione internazionale dei giuristi.
Da quando hanno preso il potere, i talebani hanno imposto restrizioni draconiane ai diritti delle donne e delle bambine afgane. Non c’è dubbio, questa è una guerra contro le donne: bandite dagli spazi pubblici, dall’istruzione e dal lavoro, impossibilitate a muoversi liberamente, torturate e fatte sparire per aver denunciato quelle restrizioni e aver opposto resistenza all’oppressione. Si tratta di crimini internazionali: organizzati, massicci e sistematici.
Il rapporto, riferito al periodo agosto 2021 – gennaio 2023, analizza un numero sempre più ampio di prove, giunte da fonti credibili, tra le quali la stessa Amnesty International col suo rapporto del 2022 “Morte al rallentatore”, organizzazioni della società civile afgana e le Nazioni Unite; spiega, inoltre, perché le donne e le bambine afgane che fuggono dalla persecuzione dovrebbero essere automaticamente considerate rifugiate bisognose di protezione internazionale; integra il lavoro degli esperti delle Nazioni Unite e dei gruppi per i diritti delle donne in favore della giustizia, dell’accertamento delle responsabilità e della riparazione per il crimine contro l’umanità di persecuzione di genere.
Firma la petizione e sollecita il governo Meloni affinché la comunità internazionale intraprenda azioni concrete per:
- fare pressione sui talebani affinché rispettino e proteggano i diritti delle donne e delle ragazze, pongano fine alla persecuzione di genere e consentano alle donne di partecipare in modo significativo alla vita sociale, politica e culturale del paese;
- reagire all’applicazione delle pene corporali da parte dei talebani e sostenere l’istituzione di un meccanismo di giustizia formale competente, indipendente e imparziale per consentire l’accesso alla giustizia alla popolazione afgana, comprese le donne;
- creare un solido meccanismo per riconoscere le responsabilità dei talebani per le violazioni dei diritti umani da loro commesse.