Il 1° febbraio 2021 l’esercito di Myanmar ha preso il potere con un colpo di stato. A più di un mese dal coup si registra un forte aumento dell’uso della violenza per mettere fine alle proteste pacifiche organizzate in tutto il paese. L’uso di armi normalmente impiegate nei campi di battaglia è espressione di una precisa e premeditata volontà di uccidere. Contro i manifestanti vengono usati in tutto il paese pallottole, proiettili di gomma, idranti, lacrimogeni, granate stordenti e fionde. Il tasso di mortalità è notevolmente aumentato. Più di 18 vittime solo il 28 febbraio. Al 4 marzo i morti erano 61, secondo quanto riferito dal relatore speciale per i diritti umani in Myanmar. Nel suo rapporto al Consiglio per i diritti umani dell’11 marzo, scrive che, da quando i militari hanno preso il potere, la repressione delle proteste pacifiche è già arrivata alla soglia di poter essere considerata “crimine contro l’umanità”.
All’indomani di uno dei giorni con più manifestanti uccisi, il 15 marzo l’esercito ha imposto la legge marziale in molte zone di Yangon e di Mandalay, le due città più importanti del paese e ha esteso la sospensione di internet oltre l’orario in vigore dal 15 febbraio dall’1 di notte alle 9 del mattino.
È ora di dire basta a tanta violenza!
Secondo l’Associazione per l’Assistenza dei prigionieri politici (AAPP), un’organizzazione locale per i diritti umani, al 14 marzo le persone fermate sono state almeno 2.156, di queste 1.837 risultano ancora detenute. Molti sono in attesa di una sentenza, a seguito imputazioni fittizie e esemplari mandati di cattura. Molti attivisti, difensori dei diritti umani, giornalisti e membri della società civile sono latitanti.
Tra gli arrestati arbitrariamente ci sono ASSK, capo dello stato de facto, che rischia anni di prigione con tre diversi capi d’accusa, leader politici, giornalisti, attivisti, dimostranti pacifici e funzionari pubblici impegnati nel movimento di disobbedienza civile. Sono stati emanati numerosi decreti che eliminano i diritti individuali, e a notte fonda, con il coprifuoco e internet oscurata, avvengono la maggior parte degli arresti.
L’esercito birmano rafforza ogni giorno la stretta sulle telecomunicazioni, censurando i siti web e installando strumenti di sorveglianza.
Conflitti armati sono scoppiati in molte parti del paese, in particolare nello stato di Kachin, nello Shan del nord, e nel Karen. C’è molta preoccupazione per l’accesso degli aiuti umanitari alle popolazioni che vivono nei campi profughi interni al paese e per le migliaia di nuovi sfollati in seguito agli scontri tra l’esercito nazionale e quelli delle minoranze etniche armate oppure tra eserciti rivali delle stesse minoranze. Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari (OCHA) la situazione è spaventosa anche per l’interruzione di alcune missioni di soccorso a partire dal 1 febbraio.
Al 9 marzo sono più di 350.000 gli sfollati interni che hanno bisogno di assistenza. Di questi fanno parte i rohingya nello stato di Rakhine e altre minoranze etniche in Rakhine, Chin, Kachin, Shan settentrionale, Karen (Kayin) e Bago.
Prima del colpo di stato, Amnesty International aveva ripetutamente denunciato con ampia documentazione il diffondersi e la sistematicità degli attacchi contro la popolazione rohingya da parte delle forze di sicurezza dell’esercito nello stato di Rakhine. I crimini commessi comprendono l’uccisione di migliaia di donne, uomini e bambini, lo stupro di donne anche molto giovani, l’incendio di centinaia di villaggi e l’espulsione di quasi un milione di rohingya verso il Bangladesh. I rohingya continuano a vivere in una situazione di apartheid, crimine contro l’umanità che a Myanmar è legalmente riconosciuto. Circa 126.000 rohingya rimangono confinati in centri di detenzione etnica per tutto lo stato di Rakhine dove possono solo contare sugli aiuti umanitari per sopravvivere.
Come documentato nel nostro recente rapporto dell’11 marzo, nelle violazioni commesse contro i manifestanti che si oppongono al colpo di stato, sono coinvolte le unità militari della 33esima e del la 77esima divisione di fanteria (LID light Infantry Division), che Amnesty International aveva già indicato come colpevoli di atrocità contro i rohingya e altre minoranze in Rakhine, Kachin e negli Shan settentrionali.
Amnesty International ha esaminato vari filmanti che confermano che l’utilizzo della forza letale è stato pianificato, premeditato e coordinato.
In un video ripreso nella municipalità di Sanchaung, a Yangon, il 2 marzo, si vede un comandante accanto a un militare che utilizza un fucile di precisione. Il comandante sembra dargli ordini affinché apra il fuoco in direzione di determinati manifestanti.
In un filmato terribile del 3 marzo nella municipalità di Okkalapa settentrionale, a Yangon, si vedono gli agenti condurre un uomo verso un gruppo più nutrito di forze di sicurezza. Sembra che l’uomo sia affidato alle forze e non mostri alcuna resistenza, quando un agente posizionato alle sue spalle gli spara improvvisamente. Cade a terra immediatamente e viene lasciato in strada, chiaramente senza vita, per diversi attimi prima che gli agenti tornino indietro e lo trascinino via.
Due persone sono state uccise e molte altre ferite a Myitkyina, nello stato di Kachin, l’8 marzo. In un filmato verificato, è visibile un gruppo di persone che scappa via correndo da una densa nuvola di fumo mentre si sentono degli spari in lontananza. È anche possibile ascoltare urla e voci impaurite che dicono “Brucia tantissimo” e “Una persona è morta” mentre una persona con una grave ferita alla testa viene portata via. Sono visibili numerose persone apparentemente ferite che vengono trascinate via, lasciando grandi quantità di sangue a terra.
In un altro filmato verificato che risale al 28 febbraio, si vede un membro delle forze militari a Dawei che sembra passare il suo fucile a un poliziotto accanto a lui. L’agente si accovaccia, prende la mira e spara; accanto a loro, un gruppo di militari che festeggiano.
“Un episodio del genere non solo mostra un totale disprezzo per la vita umana, al punto di sparare proiettili veri verso manifestanti come se fosse uno sport, ma rivela anche un deliberato coordinamento tra le forze di sicurezza” ha dichiarato Joanne Mariner.
Foto e video mostrano anche che la polizia ha accesso ad armi tradizionali meno letali, tra cui pistole al peperoncino e fucili caricati con proiettili di gomma prodotti dall’azienda turca Zsr Patlayici Sanayi A.S., che utilizza cartucce dell’azienda italo-francese Cheddite.
Esortiamo le autorità militari del Myanmar a:
- Sospendere immediatamente dai compiti in prima linea chiunque sia sospettato di responsabilità per crimini ai sensi del diritto internazionale e altre gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani;
- Rilasciare immediatamente tutti coloro che sono detenuti o incarcerati semplicemente per l’esercizio pacifico dei loro diritti umani.
- Fornire immediatamente alle famiglie di tutte le persone detenute in relazione alle operazioni delle forze di sicurezza in tutto il Myanmar prima e dopo il 1 ° febbraio 2021 tutte le informazioni sul loro destino e dove si trova.
- Garantire che tutti i detenuti siano immediatamente rilasciati, a meno che non siano accusati a livello internazionale di reati riconoscibili e rinviati in custodia in luoghi ufficiali di detenzione da un tribunale civile indipendente dove avrebbero accesso regolare e frequente a familiari e avvocati di scelta e sarebbero trattati nel pieno rispetto con le regole minime standard per il trattamento dei detenuti (le regole di Nelson Mandela) e altre diritto e norme internazionali;
- Garantire che difensori dei diritti umani, attivisti, giornalisti e altri che esercitano i propri diritti umani siano liberi da maltrattamenti, intimidazioni e discriminazioni; e che sono in grado di svolgere il loro importante lavoro in un ambiente sicuro e senza ritorsioni;
- Cessare immediatamente l’uso di leggi repressive per maltrattare, intimidire, arrestare, perseguire o imprigionare i difensori dei diritti umani, attivisti, giornalisti e altre persone semplicemente per aver esercitato i propri diritti umani;
- Rimuovere immediatamente il blocco di siti web di media indipendenti e piattaforme di social media;
- Rimuovere immediatamente le restrizioni di Internet.