Da oltre 60 anni Amnesty International documenta e denuncia le violazioni dei diritti umani commesse in tutto il mondo. Come indaghiamo? Come valutiamo i crimini di guerra o i crimini contro l’umanità? Su quali basi giuridiche si basa il nostro lavoro? Quali metodi vengono utilizzati sul campo, quali da remoto?
Dal taccuino alle immagini satellitari: nel tempo gli strumenti per indagare le violazioni dei diritti umani sono cambiati, ma l’approccio è rimasto lo stesso. Rigore, sensibilità, determinazione, solide conoscenze: questa è la base di partenza che, ricerca dopo ricerca, ci consente di fare piccoli e grandi passi verso la giustizia.
Oggi le tecniche per confrontare i dati e validare i risultati delle indagini convivono e rafforzano le evidenze raccolte in maniera più tradizionale. Così le professioni più diverse, dalla persona esperta di armi al data analyst, collaborano per dare corpo a dei rapporti accurati e approfonditi.
Il mondo può cambiare se chi detiene il potere, politico ed economico, viene chiamato a rispondere delle proprie azioni. Questo si può fare solo sulla base di fatti, di prove, di elementi concreti e verificabili che possono portare a mettere i diritti delle persone al centro delle decisioni. Questo è quello che facciamo, da oltre 60 anni.
Ma come avviene nel concreto l’attività di ricerca? Scopriamolo attraverso le parole di chi opera sul campo e non solo.
Budour Hassan fa ricerca su una delle aree più calde del pianeta: Israele e i Territori palestinesi occupati. Dalle sue parole emerge chiaramente l’intento di Amnesty International di basare ogni azione su fatti documentati e verificati.
“Come ricercatrici, intervistiamo testimoni, sopravvissuti e vittime. Successivamente, confrontiamo queste testimonianze con le prove visive e altri tipi di evidenze in nostro possesso. Analizziamo immagini satellitari degli attacchi, esaminiamo minuziosamente i resoconti e le dichiarazioni ufficiali di tutte le parti coinvolte, nella speranza di riuscire a capire se sia stata commessa una violazione del diritto internazionale.”
Il suo è un lavoro scrupoloso, paziente, ma che richiede anche una grande sensibilità soprattutto quando si raccolgono testimonianze dirette. Un lavoro i cui frutti possono vedersi anche dopo tanto tempo e che pone a dura prova la tenuta emotiva.
“La parte più difficile per me come ricercatrice è stata documentare i crimini di guerra e le atrocità commesse a Gaza. Parlare con le persone sul campo, documentare gli attacchi aerei israeliani e le loro conseguenze, ascoltare le vittime e le persone sopravvissute.”
A volte, spiega Budour, è difficile trovare anche solo un barlume di speranza, ma la consapevolezza che questo lavoro può produrre degli sviluppi positivi nella vita delle persone le consente di superare anche le prove più difficili. Come quella volta che era al telefono con un padre di Gaza che le stava elencando i nomi dei suoi figli uccisi.
“Era così calmo, così composto. È stato impressionante per me sentire l’inflessione e il tono della sua voce. All’improvviso si è sentita una voce che lo chiamava da sotto e si è scusato dicendomi: ‘Mi dispiace, devo andare. Mi hanno appena detto che hanno trovato la stola di mia figlia più piccola’. Si trattava dell’unico frammento di indumento rimasto della bambina dopo che il suo corpo era stato completamente distrutto e dilaniato da una bomba.”
In situazioni così difficili, chi fa ricerca sente ancora di più la grande responsabilità del compito che porta avanti:
“Essere fedeli a queste storie e combattere con tutte le nostre forze per portare loro giustizia e responsabilità”.
Il nostro lavoro di ricerca è un passo in più verso la giustizia.
“Il motivo per cui documentiamo le violazioni dei diritti umani è utilizzare tale documentazione come prova per ottenere giustizia: per mettere pressione alle autorità affinché cambino il loro comportamento, per mobilitare la società civile e il nostro movimento.”
Quando i tribunali citano le ricerche di Amnesty International nelle loro decisioni, dimostrano concretamente l’importanza di questo lavoro.
ci aiuti a inviare i nostri ricercatori sul campo per documentare le violazioni dei diritti.
fornisci alle vittime un supporto internazionale per contrastare processi iniqui e sentenze di morte.
ci aiuti a indagare, svelare e documentare violazioni monitorando zone ad alto rischio.
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In un’epoca in cui la disinformazione si diffonde rapidamente, la ricerca tempestiva è cruciale. Per questo nel 2013 è nato il Crisis Evidence Lab, un team multidisciplinare che utilizza strumenti di indagine digitale all’avanguardia per documentare le violazioni dei diritti umani anche a distanza e verificare l’autenticità di foto e video che inondano il web e i social media. Il team garantisce che le informazioni provenienti dalle zone di conflitto siano accurate e utili per il lavoro sui diritti umani in situazioni di crisi. Questo servizio è essenziale per condurre verifiche in contesti che potrebbero mettere a rischio la salute e la vita dei ricercatori.
Una volta che le informazioni sono state raccolte e analizzate dai nostri team di ricerca, è necessario determinare il tipo di violazione in questione attraverso la lente del diritto internazionale. La nostra organizzazione mira a far rispettare il diritto internazionale, basato sulla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, nonché sui trattati e convenzioni internazionali come le Convenzioni di Ginevra relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra.
Oltre a denunciare, i nostri rapporti di ricerca possono contribuire a portare i responsabili di crimini internazionali di fronte alla giustizia. La documentazione che abbiamo prodotto è stata utilizzata dalla Corte penale internazionale e da altri tribunali internazionali.
Abdullahi Hassan è un avvocato keniota e difensore dei diritti umani. Lavora con Amnesty International dal 2018 e ha svolto ricerche complesse su vari temi relativi ai diritti umani, tra cui crimini di guerra in Sudan e Somalia, violazioni della libertà di espressione e l’impatto del Covid-19 sul sistema sanitario somalo.
Dallo scoppio del conflitto su larga scala in Sudan Hassan ha lavorato molto sulla questione.
Il conflitto ha avuto un impatto devastante sui civili: 12.000 persone sono state uccise nel 2023 e più di 8 milioni sono state sfollate, rendendo quella in Sudan la più grande crisi di sfollamento interno al mondo. A marzo 2024, più di 2,9 milioni di bambini e bambine in Sudan risultavano gravemente malnutriti e 729.000 minori sotto i cinque anni soffrivano di una grave forma di malnutrizione acuta.
“Gli orribili fatti che avvengono in Sudan mi spezzano il cuore. Le centinaia di sudanesi che ho intervistato mi hanno raccontato storie devastanti su come i loro sogni siano stati infranti. È stato onestamente estenuante tracciare tutte le violazioni dei diritti umani che si sono verificate in Sudan nel 2023. Il popolo sudanese merita di meglio.”
Come tutti i ricercatori sul campo, Hassan monitora, documenta e riporta le violazioni per Amnesty International. Fanno parte integrante del suo lavoro anche il dialogo con vari attori, tra cui governi, organismi regionali e internazionali come l’Onu e l’Unione africana.
“Un momento che mi ha colpito è stato intervistare una donna del Darfur occidentale in uno dei campi profughi nel Ciad orientale. Mi ha detto che suo marito e i suoi quattro cognati erano stati tutti uccisi davanti a lei. Aveva un bambino in grembo. Era visibilmente debole e traumatizzata e ha singhiozzato per tutto il tempo. Ha detto che la sua vita era stata distrutta.”
Di fronte alle tante sfide da affrontare, per Abdullahi Hassan è fondamentale sostenere il lavoro di Amnesty International per aiutare le vittime di violazioni, influenzare i responsabili politici e incoraggiare un cambiamento nella società.