Aggiornato il 15 luglio 2021 – Da tempo la Libia non è un luogo sicuro per rifugiati e migranti.
Attori statali e non statali li sottopongono a una serie di violazioni dei diritti umani e abusi, tra cui uccisioni illegali, torture e altri maltrattamenti, stupro e altre violenze sessuali, detenzione arbitraria a tempo indefinito in condizioni crudeli e inumane e lavoro forzato.
Nonostante i continui e ben documentati raccapriccianti abusi perpetrati nell’impunità per oltre un decennio, stati e istituzioni europee continuano a fornire supporto materiale e perseguire politiche migratorie che permettono ai guardacoste libici di intercettare uomini, donne e bambini che cercano di scappare alla ricerca di salvezza attraversando il mar Mediterraneo, e ne consentono il ritorno forzato in Libia, dove vengono trasferiti per essere sottoposti a detenzione illegittima e affrontano ulteriori cicli di violazioni dei diritti umani.
Nei primi mesi del 2021 i guardacoste libici hanno intercettato in mare e rimpatriato in Libia circa 15.000 persone, un numero maggiore rispetto all’intero 2020. Alle persone sbarcate nei porti libici è stato consentito solo un accesso sommario alle organizzazioni umanitarie in circostanze tese e caotiche che non consentono un’adeguata valutazione dei loro bisogni e delle loro difficoltà, per non parlare dell’individuazione di persone che richiedono protezione internazionale. Migliaia di persone sbarcate sono finite in centri di detenzione, un numero calcolato in 6.100 persone alla fine di giugno 2021.
Cambiare questo sistema non è impossibile.
L’Unione europea e i suoi stati membri devono sospendere la cooperazione con la Libia in tema di controllo delle frontiere e delle migrazioni, fino alla creazione di meccanismi di due diligence, monitoraggio e accertamento delle responsabilità e fino a quando le autorità libiche non adotteranno misure concrete e comprovabili per proteggere i diritti di rifugiati e migranti, anche chiudendo i centri di detenzione e rilasciando tutte le persone detenute sulla base del proprio status di migranti.
Oltre 10.000 migranti, rifugiati e richiedenti asilo, tra cui 2.000 bambini, sono imprigionati nei centri di detenzione, senza sapere quando e se mai verranno rilasciati.
Le condizioni sono inumane: hanno scarso accesso al cibo, all’acqua, alle cure mediche e sono sottoposti a trattamenti brutali, tortura, violenze sessuali, e perfino venduti.
Immagini filmate, fotografie e documenti esaminati da Amnesty International mostrano una nave donata dall’Italia nell’aprile 2017, la Ras Jadir, protagonista di un’operazione sconsiderata che nel novembre 2017 ha causato l’annegamento di un numero imprecisato di persone.
Ignorando i più elementari protocolli, la Ras Jadir ha avvicinato un gommone in avaria a circa 30 miglia nautiche dalle coste libiche. Non ha lanciato in acqua gli scafi semi-rigidi di salvataggio per facilitare i soccorsi, costringendo i naufraghi ad arrampicarsi sugli alti bordi della nave, col risultato che molti sono finiti in acqua.
La Sea-Watch 3, una nave di una Ong che era nelle vicinanze, si è diretta verso la zona mettendo in azione gli scafi di salvataggio. Come mostrano le immagini, a quel punto il personale a bordo della Ras Jadir ha iniziato a lanciare oggetti costringendo gli scafi ad allontanarsi. Altre immagini mostrano persone già a bordo della Ras Jadir venir colpite con una corda ed altre gettarsi in mare per cercare di raggiungere gli scafi della Sea-Watch 3.
Anche se azioni sconsiderate e pericolose della Guardia costiera libica erano state documentate già in precedenza, questa pare essere stata la prima volta in cui in un’operazione del genere è stata utilizzata una nave fornita da un governo europeo.
Nella prima indagine approfondita – condotta dai nostri ricercatori – lungo la linea del fronte dal 4 aprile 2019, giorno in cui è iniziato il conflitto per Tripoli, abbiamo visitato i luoghi della capitale e della sua periferia colpiti da 33 attacchi aerei e terrestri scoprendo prove di possibili crimini di guerra commessi tanto dal Governo di accordo nazionale, riconosciuto dalle Nazioni Unite, quanto dall’autoproclamato Esercito nazionale libico.
Grazie alla nostra missione abbiamo documentato attacchi indiscriminati o sproporzionati che violano i principi fondamentali del diritto internazionale umanitario e potrebbero costituire crimini di guerra.
In ulteriori casi, la presenza di uomini armati all’interno o nei pressi di abitazioni civili e strutture mediche ha messo in pericolo la vita dei civili.
Anche i centri di detenzione sono stati colpiti: l’attacco della notte del 2 luglio 2019 contro il centro di detenzione di Tajoura, situato all’interno di un complesso militare a sudest di Tripoli, ha causato 53 morti e almeno 130 feriti, due dei quali erano rimasti già feriti il 7 maggio, quando alcuni missili caddero a soli 100 metri dal centro.
Ad aggravare la situazione già disperata in cui versano donne, uomini e bambini detenuti nei centri in libici, la dichiarazione dello scorso 30 gennaio di Unhcr di sospensione, per motivi di sicurezza, delle operazioni del Gathering and Departure Facility di Tripoli, centro di transito per rifugiati in condizioni di particolare vulnerabilità in attesa di evacuazione.
Chiediamo ai leader libici ed europei a collaborare urgentemente per:
rilasciare tempestivamente tutti i migranti e i rifugiati dai centri di detenzione e porre fine alla detenzione arbitraria di rifugiati e migranti in Libia
indagare su tutte le accuse di tortura e altri maltrattamenti nei confronti di rifugiati e migranti in Libia, e assicurare che i sospetti responsabili siano perseguiti in un processo trasparente ed equo per porre fine al circolo vizioso degli abusi.
reimpostare la cooperazione con la Libia in materia di migrazione, dando priorità alla protezione dei diritti umani dei rifugiati e dei migranti, invece di intrappolare le persone in Libia
riconoscere formalmente l’Unhcr in Libia e consentire all’organizzazione di svolgere appieno il suo mandato, compresa la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
Egregio Primo Ministro Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, Egregio Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen,
Scrivo per esprimere la mia profonda preoccupazione per le notizie scioccanti di abusi perpetrati su migranti e rifugiati in Libia.
Ci sono più di 7.000 migranti e rifugiati attualmente imprigionati in Libia in centri di detenzione ufficiali gestiti da milizie e gruppi armati affiliati al governo. Le milizie trattengono migranti e rifugiati in condizioni terrificanti, senza accesso a cibo, acqua o cure mediche; e commettono costantemente gli abusi più terribili, come torture, estorsioni, lavoro forzato, violenze sessuali.
Sono profondamente preoccupato che addestrando, equipaggiando e sostenendo la Guardia costiera libica, l’Europa stia intrappolando migranti e rifugiati in Libia e alimentando questi abusi.
La soluzione non può essere intrappolare queste persone in condizioni disumane, e vi esorto con urgenza a:
Rilasciare tempestivamente tutti i migranti e i rifugiati dai centri di detenzione e porre fine alla detenzione arbitraria di rifugiati e migranti in Libia
Indagare su tutte le accuse di tortura e altri maltrattamenti nei confronti di rifugiati e migranti in Libia, e assicurare che i sospetti responsabili siano perseguiti in un processo trasparente ed equo per porre fine al circolo vizioso degli abusi.
Reimpostare la cooperazione con la Libia in materia di migrazione, dando priorità alla protezione dei diritti umani dei rifugiati e dei migranti, invece di intrappolare le persone in Libia
Riconoscere formalmente l’Unhcr in Libia e consentire all’organizzazione di svolgere appieno il suo mandato, compresa la protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati.
In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha rivelato nuove prove di orribili violazioni dei diritti umani, compresa la violenza sessuale, nei confronti di uomini, donne e bambini intercettati nel mar Mediterraneo e riportati nei centri di detenzione libici.
Per i giudici amministrativi “il decreto n. 4110/47, attraverso il quale viene finanziata una delle agenzie libiche responsabili del pattugliamento del Mediterraneo centrale è pienamente legittimo.
Il dilagare delle torture ad opera di milizie e gruppi armati affiliati al Governo di accordo nazionale libico e di rivali che hanno il controllo de facto del territorio è stato alimentato dal diffuso senso di impunità.
In un rapporto diffuso oggi, Amnesty International ha rivelato nuove prove di orribili violazioni dei diritti umani, compresa la violenza sessuale, nei confronti di uomini, donne e bambini intercettati nel mar Mediterraneo e riportati nei centri di detenzione libici.
Per i giudici amministrativi “il decreto n. 4110/47, attraverso il quale viene finanziata una delle agenzie libiche responsabili del pattugliamento del Mediterraneo centrale è pienamente legittimo.
Il dilagare delle torture ad opera di milizie e gruppi armati affiliati al Governo di accordo nazionale libico e di rivali che hanno il controllo de facto del territorio è stato alimentato dal diffuso senso di impunità.