Dall’inizio della pandemia da Covid-19, migliaia di persone anziane hanno perso la vita all’interno delle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali in tutta Italia, dove il personale sanitario e sociosanitario a loro dedicato ha spesso subito ritorsioni e misure disciplinari per aver denunciato le condizioni lavorative precarie, estenuanti e insicure.
Dall’estate 2020, Amnesty International ha dedicato due ricerche specifiche sui diritti delle persone anziane ospiti e di lavoratori e lavoratrici impiegati nelle strutture sociosanitarie residenziali.
Il primo rapporto, Abbandonati, lanciato a dicembre 2020, ha rilevato che nel rispondere alla pandemia le autorità nazionali e locali non sono riuscite ad adottare misure cruciali e tempestive per proteggere la vita e i diritti degli anziani nelle cosiddette “case di risposo”, già caratterizzate da criticità strutturali profonde nella fase pre-pandemica. I risultati della ricerca, focalizzata su Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, evidenzia inoltre che le istituzioni hanno adottato politiche e consentito pratiche che hanno messo a rischio la vita e la sicurezza degli anziani residenti nelle stesse strutture e degli operatori sanitari e sociosanitari, violando o contribuendo a violare cinque diritti umani fondamentali: il diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione, il diritto alla vita privata e familiare e il diritto a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti.
Il secondo rapporto, Messi a tacere e inascoltati, lanciato a ottobre 2021, ha invece analizzato le ritorsioni e provvedimenti disciplinari, incluso il licenziamento, subiti dal personale sanitario e sociosanitario delle “case di riposo” solo per aver denunciato presunte irregolarità sul posto di lavoro o preoccupazioni per la propria sicurezza o per quella degli ospiti anziani. Datori di lavoro sia pubblici che privati hanno impedito al personale di godere del diritto alla libertà di espressione e alla libertà di associazione, che include il diritto a riunirsi in sindacato e a cercare, ricevere e diffondere informazioni. Il briefing fa anche luce sulle preoccupazioni relative alle condizioni lavorative fortemente precarie per lavoratrici e lavoratori del settore sociosanitario, in cui l’arrivo del Covid-19 ha esacerbato criticità strutturali di lunga durata, tra cui quella della carenza di personale sanitario e sociosanitario, sia dipendente, che, in misura ancora maggiore, in outsourcing.
Il rapporto “Abbandonati”, frutto di una ricerca congiunta di Amnesty International Italia e del Crisis Group di Amnesty International, sulle violazioni dei diritti umani nelle strutture di residenza sociosanitarie e sociosanitarie durante la pandemia da Covid-19 in Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto, ha messo in luce le lacune delle istituzioni italiane a livello nazionale, regionale e locale nell’adottare tempestive misure socio-assistenziali per proteggere la vita e la dignità delle persone anziane nelle case di riposo nel corso dell’emergenza sanitaria da Covid-19.
Il ritardo nell’emanazione di provvedimenti adeguati, o la loro totale mancanza, si sono spesso tradotti in violazioni del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione degli ospiti anziani delle strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali italiane e degli operatori che vi lavorano.
In Italia, migliaia di ospiti anziani delle strutture hanno perso la vita dall’inizio della pandemia da Covid-19. La ricerca ha evidenziato le principali criticità legate alla gestione della pandemia nei presidi residenziali per anziani, favorendo la diffusione del virus al loro interno.
L’intempestiva chiusura alle visite esterne delle strutture, il mancato o tardivo sostegno delle istituzioni nella fornitura di dispositivi di protezione individuale (Dpi) alle stesse, il ritardo nell’esecuzione di tamponi sui pazienti e sul personale sanitario, sono alcuni degli elementi che hanno contribuito al tragico esito e che dimostrano la de-prioritizzazione di questa tipologia di presidi rispetto a quelli ospedalieri, nonostante la popolazione anziana fosse stata dichiarata dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) tra le più vulnerabili al virus fin dall’inizio della pandemia.
I trasferimenti di pazienti dimessi dagli ospedali verso le strutture di residenza sociosanitarie e socioassistenziali, sia con Covid-19, sia con possibili sintomi riconducibili alla malattia, in assenza dell’applicazione dei requisiti operativi, fisici e relativi al personale sanitario che potessero garantire una concreta limitazione del contagio al loro interno e di approfondite attività ispettive per verificarne la sussistenza, hanno a loro volta contribuito alla diffusione del Covid-19 in questi ambienti.
Il rapporto di Amnesty International Italia contiene anche numerose testimonianze di operatori sanitari e di familiari dei pazienti anziani delle strutture che hanno riferito dell’impossibilità o dei gravi ostacoli incontrati nel tentativo di far ospedalizzare gli ospiti con Covid-19 o con sintomi simil-influenzali.
In particolare, in Lombardia gli ospiti over 75 in tali condizioni di salute sono stati oggetto di una delibera regionale che stabiliva come opportuno continuare a prestare cure e assistenza presso le strutture sociosanitarie e socioassistenziali dove risiedevano, limitandone di fatto le possibilità di accesso ai presidi ospedalieri. In assenza di valutazioni cliniche individuali volte a individuare la migliore soluzione per ogni paziente, questo ha comportato la mancata tutela del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione.
L’emergenza sanitaria ha, inoltre, acuito problemi sistemici che affliggono le strutture oggetto della ricerca. Tra queste, la carenza di personale – aggravata dall’alto numero di operatori sanitari in malattia e dai reclutamenti straordinari dei presidi ospedalieri – ha comportato un grave abbassamento del livello di qualità dell’assistenza e della cura degli ospiti e ha fatto sì che si realizzassero condizioni di lavoro terribili per gli operatori stessi, sottoposti a un grave stress fisico e psicologico e che fossero sovraesposti al rischio di contagio.
I pochi Dpi a disposizione, le indicazioni scorrette circa il loro uso – o addirittura istruzioni relative al riutilizzo di dispositivi monouso – l’inadeguata formazione, l’esecuzione dei tamponi con frequenza irregolare e solo a partire da una fase avanzata dall’emergenza, quando il picco dei decessi della prima ondata era stato superato, la mancata attuazione di protocolli appropriati a contenere la circolazione del virus nelle strutture, hanno accresciuto le possibilità che gli operatori contraessero il Covid-19.
Il rapporto documenta anche l’impatto devastante dell’isolamento prolungato e il deterioramento fisico e cognitivo di molti ospiti anziani delle strutture direttamente legato alla mancanza di stimoli e contatti sociali.
Sebbene molte criticità affrontate dalle case di riposo italiane durante la prima fase dell’emergenza siano state parzialmente risolte nei mesi successivi, l’isolamento prolungato rimane una delle problematiche cruciali più di un anno e mezzo dopo dall’avvio dell’emergenza, che rischia di divenire sistemica.
Amnesty, insieme a tante associazioni e comitati di famiglie, continua a sollecitare le autorità richiedendo la riapertura alle visite in presenza e la garanzia di contatti significativi frequenti con l’esterno, in quanto diritto umano fondamentale per garantire il necessario supporto psicologico, relazionale e affettivo alle persone ospiti delle case di riposo.
“Tutte le visite sono bloccate e l’unico contatto con mia madre è uno settimanale con Skype, ma a volte temiamo che lei non ci riconosca più! Sicuramente ha molte difficoltà con questo mezzo ed è l’unico collegamento con il mondo esterno. Anche se il personale si sforza di essere gentile e affettuoso, ma non può certamente rimpiazzare la presenza di un parente. È dura, molto molto dura per tutti.”
“Abbiamo riscontrato un decadimento cognitivo dei pazienti pazzesco – mandavamo giù i carrelli del cibo pieni perché la gente non mangiava – molti non se ne accorgevano nemmeno del virus ma quello che pesava molto era l’isolamento prolungato, le distanze e la mascherina”, Operatrice sanitaria della Lombardia riporta
“Mi hanno raccontato di ospiti affetti da demenza pesantemente sedati e addirittura legati ai letti, per impedire loro di girare per la struttura dal momento che non c’erano le condizioni per l’isolamento”, parente di un’ospite di una struttura in Emilia-Romagna.
“Noi nelle Rsa siamo stati abbandonati; siamo stati messi in situazioni ad alto rischio per le quali non avevamo le capacità e non abbiamo ricevuto alcuna guida, nessun supporto”. Direttrice di una Rsa, Milano
Il briefing “Messi a tacere e inascoltati” è frutto di una ricerca di Amnesty International Italia e dell’ufficio regionale europeo di Amnesty International sulle violazioni della libertà d’espressione e d’associazione, ivi compreso il diritto a riunirsi in sindacato, ai danni del personale sanitario e sociosanitario nelle strutture di residenza sociosanitarie e sociosanitarie durante la pandemia da Covid-19 in Italia. La ricerca rivela che operatori/trici sanitari/e e sociosanitari impiegati nelle strutture residenziali per anziani che hanno segnalato le precarie e insicure condizioni di lavoro durante la pandemia da Covid-19 sono stati/e sottoposti/e a procedimenti disciplinari iniqui e sono andati/e incontro a ritorsioni da parte dei datori di lavoro.
Per condurre la ricerca, tra febbraio e agosto del 2021 Amnesty International ha parlato con 34 professionisti/e e operatori/trici presenti nelle strutture residenziali durante la pandemia da Covid-19, così come con avvocati, esperti/e del settore e sindacalisti. Ne è emerso un quadro di un settore altamente femminilizzato (circa l’85% del totale) e sotto alta pressione a causa della mancanza di personale, degli stipendi bassi e delle pericolose condizioni di lavoro: il tutto, nel contesto della peggiore pandemia degli ultimi 100 anni.
Un terzo delle persone intervistate da Amnesty International ha parlato di un clima di paura e di ritorsioni sul posto di lavoro. Gli avvocati hanno riferito di più di dieci di casi di procedimenti disciplinari e di licenziamenti, riguardanti anche rappresentanti sindacali che avevano denunciato la mancanza di adeguate misure sanitarie e di sicurezza in varie strutture residenziali.
Invece di affrontare le preoccupazioni e denunce del personale sui rischi di contagio, sull’uso dei dispositivi di protezione individuale e le misure di sicurezza nelle strutture residenziali, i datori di lavoro hanno messo a tacere operatrici e operatori, emesso licenziamenti ingiusti e assunto misure anti-sindacali.
La legge sui whistleblowers, entrata in vigore in Italia nel 2017, protegge coloro che denunciato comportamenti scorretti sul posto di lavoro. Tuttavia, non garantisce loro adeguata protezione per quanto riguarda la riservatezza e l’indipendenza nel settore privato, che gestisce il 73% delle strutture residenziali in Italia. Le autorità italiane devono proteggere tutti/e gli/le operatori/trici sanitari/e e sociosanitari/e nelle strutture del settore privato.
Il personale in servizio nelle strutture residenziali durante la pandemia e i sindacati hanno sollevato anche serie preoccupazioni riguardo alle cattive e insicure condizioni di lavoro, ai lunghi turni di lavoro senza adeguato riposo e alle inadeguate ispezioni del lavoro. La pandemia ha colpito duro tra il personale delle strutture residenziali. Secondo le statistiche ufficiali, il 65,6% del numero complessivo di lavoratori/trici che hanno contratto il Covid-19 sul posto di lavoro sono operatori/trici sanitari/e e sociosanitari/e; questi includono, in particolare, infermieri e personale tecnico (37,6%), operatori sociosanitari (25,4%) e medici (8,6%). Inoltre, il 24,1% dei/lle lavoratori/trici che sono deceduti dopo aver contratto il Covid-19 sul posto di lavoro sono lavoratori sanitari e assistenziali, tra cui infermieri e personale tecnico (10,3%), operatori sociosanitari (7,7%) e medici (5,7%).
Lavoratrici e lavoratori del sociosanitario hanno anche sollevato preoccupazioni relative a problemi strutturali già vivi prima della pandemia, dalla mancanza di personale, ai bassi salari e alle condizioni di lavoro. Il Covid-19 ha poi esacerbato queste condizioni e sottoposto il personale a turni estenuanti senza riposi adeguati.
Non siamo stati capaci di protestare (..), siamo perennemente sotto ricatto. C’è una bassissima sindacalizzazione da noi, perché se vengono a sapere che sei iscritto al sindacato ti fanno fuori professionalmente. Solo i dipendenti sono in genere iscritti al sindacato. – Fisioterapista, Lombardia
Era come essere in guerra, non combatti perché il tuo responsabile ti ordina di combattere, ma perché il soldato a cui sei vicino ha bisogno che tu ci sia. Ora ho incubi con episodi di guerra. L’ho sentito dire da molti, credo che il disturbo post-traumatico da stress sia quello che stiamo vivendo. All’epoca ho resistito perché avevo paura che se fossi crollato io, sarebbe crollato tutto. Era difficile per me ottenere un sostegno psicologico. Nei prossimi mesi sarà di nuovo guerra. Sono un appassionato di film horror e di quel genere, di cui ho un’ottima conoscenza, ma hanno rovinato la passione per i miei film preferiti, i film si sono avvicinati alla realtà – Operatrice sociosanitaria, Lombardia
Ai membri del Parlamento italiano
Al Ministro della Salute
Al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali
Egregi membri del Parlamento,
Egregi Ministri,
Amnesty International ha documentato in due ricerche l’impatto della risposta delle autorità alla pandemia, evidenziando come queste ultime non siano riuscite a intraprendere misure tempestive per tutelare la vita e i diritti delle persone anziane presenti nelle strutture residenziali sociosanitarie e a proteggere la sicurezza degli ospiti e del personale sanitario e sociosanitario. Molti lavoratori e lavoratrici che hanno sollevato preoccupazioni per la salute e la sicurezza sono stati messi a tacere e le loro preoccupazioni rimangono ancora oggi inascoltate.
Sono qui a scriverVi per esprimere preoccupazione in merito alle violazioni del diritto alla vita, alla salute e alla non discriminazione delle persone anziane e alle violazioni del diritto alla libertà d’espressione, associazione e di riunirsi in sindacato di lavoratrici e lavoratori nelle strutture sociosanitarie residenziali.
Alla luce delle importanti criticità emerse nelle ricerche Abbandonati e Messi a tacere, Vi chiedo dunque di:
Al Parlamento italiano:
– Istituire una commissione parlamentare d’inchiesta per indagare la salute e sicurezza nelle case di cura durante la pandemia, compresa l’efficienza del quadro nazionale di sicurezza e salute sul lavoro; le violazioni e abusi dei diritti alla vita, alla salute e alla non discriminazione subiti dagli anziani; le preoccupazioni sollevate dai lavoratori delle case di cura relative a un ambiente di lavoro sano e sicuro e a condizioni di lavoro favorevoli ed eque; le violazioni e gli abusi dei diritti alla libertà di espressione e di associazione affrontati da lavoratori e lavoratrici durante la pandemia.
Al Ministero della Salute:
- Garantire politiche di visita che mettano al centro l’interesse degli ospiti, tenendo conto delle diverse fonti di esposizione al rischio e delle possibili misure di mitigazione del rischio;
- garantire piena trasparenza nella raccolta e nella pubblicazione di tutti i dati rilevanti in materia di decessi di persone anziane nelle strutture residenziali sociosanitarie durante la pandemia da COVID-19.
Al Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali:
- Rivedere le risorse finanziarie e umane disponibili per l’Ispettorato nazionale del lavoro e garantire risorse adeguate a garantire il rispetto delle leggi sul lavoro.
- Mettere in atto misure per affrontare la segregazione occupazionale e il persistente divario salariale di genere sia nel settore pubblico che in quello privato;
- Garantire che tutti i lavoratori delle case di cura – compresi quelli in forme di lavoro non standard – possano esercitare i loro diritti alla libertà di espressione e di associazione senza timore di rappresaglie.