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Quindici mesi dopo la dichiarazione dello stato di emergenza in Italia, mentre il resto del paese si avvia alla riapertura, la stragrande maggioranza delle strutture sociosanitarie residenziali per persone anziane continuano a rimanere chiuse e a privare gli ospiti della possibilità di incontrare i propri affetti e di avere contatti con il mondo esterno.
Nel rapporto “Abbandonati”, Amnesty International Italia aveva ampiamente sottolineato l’impatto devastante dell’isolamento prolungato e il deterioramento fisico e cognitivo di molti ospiti delle strutture direttamente legato alla mancanza di stimoli e contatti sociali. Numerosi studi sottolineano il ruolo cruciale delle relazioni sociali nel garantire la qualità della vita delle persone anziane e analizzano l’impatto devastante delle misure estremamente rigide d’isolamento e gli effetti deleteri sulla salute mentale, cognitiva e fisica delle persone anziane, soprattutto nei casi di patologie quali Alzheimer e forme di demenza.
Sebbene molte criticità affrontate dalle case di riposo italiane durante la prima fase dell’emergenza siano state parzialmente risolte nei mesi successivi, l’isolamento prolungato rimane più di un anno dopo l’avvio dell’emergenza una delle problematiche centrali che rischia di divenire sistemica.
Il ministero della Salute, benché molto tardivamente, il 30 novembre, aveva riconosciuto l’importanza di garantire un contatto significativo dei pazienti delle strutture con gli affetti esterni anche per il benessere fisico e psichico, richiedendo alle direzioni sanitarie di “predisporre un piano dettagliato per assicurare la possibilità di visite in presenza e contatti a distanza in favore degli ospiti delle strutture”, promuovendo screening con test antigenici rapidi per familiari e visitatori esterni e spazi specifici dove possa avvenire il contatto fisico in sicurezza, con soluzioni tipo “sale degli abbracci”.
Ad oggi però, in assenza di specifiche disposizioni da parte delle regioni, la quasi totalità delle strutture mantiene le porte chiuse.
Le testimonianze di familiari, operatori sanitari e dirigenti delle strutture ricevute da Amnesty International continuano ad esprimere profonda preoccupazione in merito al protrarsi della frattura relazionale con gli affetti importanti subentrata con la pandemia in moltissime case di riposo e a lamentare la difficoltà di aprire canali di visita in sicurezza, nonostante la possibilità di test antigenici rapidi e una campagna di vaccinazione ormai in fase avanzata per questo tipo di strutture. Molti familiari lamentano anche che la mancanza di comunicazioni regolari con le strutture e l’assenza prolungata delle visite abbia reso impossibile l’attività di monitoraggio esterno.
Un’indagine pubblicata il 28 aprile 2021 dalla Comunità di Sant’Egidio e realizzata su 240 strutture tra RSA e case di riposo, in 11 città e 10 regioni italiane, rivela che ben il 64% delle strutture esaminate non consente alcun tipo di visita ai propri ospiti, addirittura solo il 15% ammette amici e volontari. La cosiddetta “stanza degli abbracci” è oggi presente in meno del 20% delle strutture esaminate e anche il servizio delle video-chiamate è presente in meno della metà delle strutture. Nel 61,18% delle strutture analizzate è proibita ogni tipo di uscita, comprese quelle per effettuare esami medici specialistici.
La figlia di un’ospite di una RSA lombarda, nel marzo 2021, testimonia che: “Tutte le visite sono bloccate e l’unico contatto con mia madre è una chiamata settimanale con Skype, ma a volte temiamo che lei non ci riconosca più! Sicuramente ha molte difficoltà con questo mezzo ed è l’unico collegamento con il mondo esterno. Gli ospiti sono tutti vaccinati, ma nonostante questo non vengono portati in giardino, significa che è quasi un anno che non vedono la luce del sole! Insomma, la situazione è sempre al limite dell’accettabile. Anche se il personale si sforza di essere gentile e affettuoso, non può certamente rimpiazzare la presenza di un parente. È dura, molto molto dura per tutti.”
Molte famiglie, comitati di familiari e organizzazioni che si occupano di diritti umani segnalano da mesi alle autorità la necessità di soluzioni urgenti per garantire politiche di visita in sicurezza omogenee su tutto il territorio nazionale in applicazione della circolare del Ministero della Salute.
Lo stesso Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale ha espresso preoccupazione sull’eventualità che il divieto all’accesso così come quello all’uscita, generalizzati e preordinati, possano avere effetti pregiudizievoli sulla tutela dei diritti delle persone anziane residenti. Nel mese di marzo scorso, il Garante ha inviato una lettera ai Presidenti delle Regioni, per sollecitare un controllo o una revisione sulla corretta applicazione delle nuove regole che definiscono le modalità di contatto tra gli ospiti delle strutture delle residenze per persone anziane o con disabilità e i loro cari, sottolineando che “il protrarsi del confinamento dei residenti nelle case di riposo – pur in presenza di spazi attrezzabili per la prevenzione del contagio, o di una possibile organizzazione dei tempi e delle modalità delle visite, doverosa in tutte le fasi della pandemia – può determinare la configurazione di una situazione di privazione de facto della libertà delle persone stesse.”
Altri paesi europei duramente colpiti dalla pandemia nel 2020, come Belgio, Spagna e Inghilterra, hanno già avviato una ripresa in sicurezza delle visite in presenza per le persone residenti nelle strutture sociosanitarie e in alcuni casi anche autorizzato le uscite degli ospiti anziani. Il Belgio ha avviato un deconfinamento progressivo delle case di riposo della Vallonia già a partire da fine febbraio e successivamente della zona di Bruxelles dalla prima settimana di marzo, consentendo visite flessibili in presenza e uscite dei residenti, in parallelo con l’avanzamento della campagna di vaccinazione. Simili misure sono state adottate in Spagna tra febbraio e marzo. Nella Comunità di Madrid, per esempio, il protocollo in vigore da febbraio già prevedeva uscite “senza limitazioni” per i residenti vaccinati (96% dei residenti era vaccinato nel mese di marzo), incluse le uscite nei fine settimana o nei giorni festivi, mentre dal mese di marzo le visite ai residenti vaccinati che sono immobilizzati possono avvenire all’interno delle proprie stanze, senza necessità di mantenere la distanza di sicurezza. Dal 12 marzo anche in Inghilterra sono entrate in vigore le nuove misure che prevedono l’apertura alle visite regolari per due visitatori fissi prescelti, garantendo ai caregivers la stessa priorità rispetto all’effettuazione dei tamponi e dei vaccini del personale della struttura.
Anche in Italia alcune strutture sul territorio nazionale sono riuscite a organizzarsi per favorire situazioni di contatto e di vicinanza nel rispetto delle norme di distanziamento, facilitando visite attraverso vetrate o plexiglass o strutture appositamente realizzate per consentire il contatto protetto delle mani, ma spesso senza garantirne la frequenza o in condizioni che non soddisfano l’esigenza di riavvicinamento tra affetti.
In Trentino, invece, da lunedì 8 marzo cinque RSA della provincia di Trento (Cavedine, di Povo, Nomi,Avio e Mori) hanno riaperto alle visite in presenza dei familiari per ospiti vaccinati o recentemente guariti dal Covid-19, aderendo ad un protocollo di sicurezza sperimentale approvato dall’Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari (APSS) della Provincia Autonoma di Trento, a seguito della compiuta campagna di vaccinazione e prevedendo misure protettive come mascherine FFP2, guanti monouso e distanziamento sociale. Le cinque strutture hanno mantenuto la possibilità di visita in presenza anche in zona rossa, ritenendo le visite parte integrante del percorso di cura degli ospiti, sempre previa autorizzazione del direttore sanitario dell’ente che effettua una valutazione dei rischi/benefici dell’incontro in relazione alle necessità psico-fisiche delle persone. Dal 1 maggio, infine, ripartiranno le visite con contatto in tutta la provincia di Trento, dopo l’approvazione delle nuove linee guida da parte dell’assessorato provinciale alla salute, che offre misure di sicurezza e procedure operative utili ai gestori delle Rsa per disciplinare al proprio interno le procedure di accesso in struttura e interazione fra residenti vaccinati e familiari con modalità meno restrittive rispetto a quelle attualmente in uso e più vicine all’affettività normale.
Anche la Liguria riapre finalmente alle visite in presenza: l’agenzia regionale per la sanità Alisa ha infatti raccomandato a tutte le strutture residenziali della regione di garantire almeno una visita settimanale per gli anziani ricoverati presso le strutture, nel rispetto di rigide modalità di svolgimento.
L’eterogeneità degli strumenti adottati dalle regioni, aziende sanitarie territoriali e dalle singole strutture, però, rappresenta un’importante criticità. Lo stesso rapporto dell’Istituto Superiore di Sanità n. 6 del 2021, pubblicato il 17 marzo 2021, indicava che:
“In base alla normativa vigente, ogni struttura sanitaria decide autonomamente quale sia il metodo migliore per preservare gli ospiti e gli operatori e prevenire la diffusione del virus, secondo la situazione epidemiologica e secondo i protocolli operativi delle autorità sanitarie. Le misure dovrebbero essere, però, sempre proporzionate alla situazione epidemiologica e modificabili con riferimento al mutare delle condizioni esterne e interne. Ad oggi non sono disponibili studi e dati che possano orientare in maniera chiara tali scelte e la sospensione totale delle visite in via precauzionale, utile a tutelare la salute dei residenti e degli operatori, dovrebbe essere stabilita solo se strettamente necessaria, e anche in questo caso solamente per la durata richiesta dalle circostanze critiche. Come indicato nella citata Circolare del Ministero della Salute del 30 novembre 2020, le visite in sicurezza dovrebbero invece essere sempre organizzate per non generare un prolungato allentamento dei legami affettivi e una sospensione indebita dei contatti tra familiari; al fine di favorire gli accessi dei visitatori in sicurezza, si raccomanda di promuovere strategie di screening tramite esecuzione di test antigenici rapidi.”
Trovare il giusto equilibrio tra consentire agli ospiti delle strutture sociosanitarie assistenziali un miglior contatto con i loro cari e gestire il rischio di infezione è senza dubbio una sfida. Non esiste una soluzione a rischio zero, poiché anche in assenza di visite familiari, i residenti sono in stretto contatto quotidiano con il personale delle strutture che vive nella comunità e attualmente viene testato con cadenze non omogenee a livello nazionale. Le persone anziane che vivono nelle Rsa non dovrebbero essere soggette a restrizioni generali della loro vita privata e familiare, ad eccezione delle restrizioni che sono necessarie per le loro circostanze specifiche sulla base di valutazioni di rischio personalizzate. È necessario esplorare tutte le opzioni che permettano di ridurre le restrizioni dei diritti di base, in un processo di consultazione partecipata con gli ospiti, le famiglie e il personale al fine di garantire che le restrizioni siano proporzionate.
Alcune limitazioni imposte sulle visite alle strutture per anziani, che limitano o impediscono contatti significativi tra i residenti e i loro affetti all’esterno, impediscono ai residenti di uscire dalle strutture (anche solo per uscire a fare una passeggiata al parco, in campagna, o in altri contesti isolati), e che non sono basate sulla valutazione del rischio individuale, sono sproporzionate e possono essere di fatto discriminatorie. Come tali, queste limitazioni violano il diritto dei residenti delle strutture a una vita privata e familiare (art. 8 della Cedu) e alla non discriminazione. Laddove tali limitazioni hanno causato un deterioramento delle capacità cognitive e della salute mentale dei residenti, queste costituiscono anche una violazione del diritto alla salute. L’incapacità del governo di garantire che i residenti delle strutture siano protetti dall’ingerenza arbitraria su questi diritti viola i propri obblighi ai sensi della Cedu e di altri trattati internazionali per i diritti umani ratificati dall’Italia.
È pertanto imperativo e urgente che il Ministero della Salute garantisca che vengano messi tempestivamente in atto i meccanismi che permettano l’effettiva implementazione della circolare del 30 novembre 2020, prevedendo linee guida per le visite nelle strutture che mettano al centro l’interesse degli ospiti anziani, tenendo conto delle diverse fonti di esposizione al rischio e delle possibili misure di mitigazione del rischio – quali ad esempio tamponi più frequenti per gli operatori sanitari, residenti e visitatori, protocolli di accesso a Dpi adeguati a ridurre i rischi di infezione e prioritizzazione delle vaccinazioni per i caregivers degli anziani residenti.
Firma l’appello: https://www.amnesty.it/appelli/firma-diritto-salute-anziani-case-di-riposo/