“È stato come un film di Hollywood, tranne che per il fatto che i proiettili erano reali. I gas lacrimogeni era veri. E le 1.000 persone che sono state uccise erano fin troppo reali. Era come essere nel mezzo di una guerra. C’erano proiettili, gas lacrimogeni, fuoco, polizia, soldati e carri armati ovunque”. Shawkan, rischia la pena di morte per aver fatto il suo lavoro.
AGGIORNAMENTO 5/3/2018: Durante l’ultima udienza del processo il tribunale ha ordinato che Shawkan venga sottoposto ad un’altra visita medica in carcere. Da oltre quattro anni le udienze vengono sempre rinviate. La prossima è stata fissata per il 17 marzo. La giustizia rinviata è una giustizia negata!
Mahmoud Abu Zeid,fotogiornalista conosciuto col soprannome Shawkan, è stato arrestato il 14 agosto 2013 mentre stava seguendo per conto dell’agenzia londineseDemotix, il violentosgombero di un sit-in convocato dalla Fratellanza musulmana a Rabaa al-Adawiya, un quartiere del Cairo. Durante il violento sgombero,le forze di sicurezza egiziane uccisero oltre 600 manifestanti.
Shawkan è stato arrestato semplicemente perché stava facendo il suo lavoro e orarischia la pena di morte.
Da quattro anni le sue udienze vengono aggiornatedi mese in mesesenza portare ad un nulla di fatto. Durante l’ultima udienza, Shawkan è apparso davanti ai giudici notevolmente dimagrito e cagionevole, è ora di liberarlo!
Mahmoud Abu Zeid si trova nelcomplesso penitenziario di Tora, a sud del Cairo eda quasi quattro anni è detenuto in attesa di processo.L’articolo 143 del codice di procedura penale fissa a due anni il periodo massimo di detenzionepreventiva per i reati più gravi.
Nella prima udienza del processo a suo carico, svoltasi il 26 marzo 2016 e immediatamente aggiornata al 23 aprile, sono state elencatele imputazionia carico di Mahmoud Abu Zeid,fino ad allora negate all’avvocato difensore,che dunque non ha potuto per oltre due anni e mezzo preparare una linea difensiva.
Leaccuse contro di lui sono pretestuose e prive di fondamento: “adesione a un’organizzazione criminale”,“omicidio”, “partecipazione a un raduno a scopo di intimidazione, per creare terrore e mettere a rischio vite umane”,“resistenza a pubblico ufficiale”.
Mahmoud Abu Zeidha denunciato di essere stato torturato più volteda quando è stato arrestato. Durante il trasferimento alla prigione di Abu Zaabal, è rimasto chiuso in un furgone parcheggiato sotto il sole, con una temperatura esterna di oltre 30°C, senza acqua, cibo e ventilazione.Durante la detenzione gli è stata diagnosticata l’epatite C, ma continuano ad esserglinegate cure mediche. Di conseguenza,la sua salute si è deteriorata. La famiglia ha invano chiesto, più volte, che venisse rilasciato per motivi di salute.
Secondo le testimonianze ottenute da Amnesty International da ex detenuti, dalle famiglie dei detenuti, dagli avvocati, dagli attivisti e dai difensori dei diritti umani, i metodi di tortura più comunemente utilizzati dall’Nsa (Agenzia per la sicurezza nazionale) sono pestaggi, sospensioni per gli arti al soffitto o ad una porta, mentre sono ammanettati e bendati per lunghi periodi, scosse elettriche al viso, al corpo, ai denti, alle labbra, ai genitali e ad altre aree sensibili per lo più con taser e in pochissimi casi con cavi.
Un altro metodo usato in alcuni casi è noto come la “griglia” – in cui le mani e le gambe della vittima sono fissate un’asta di legno in equilibrio tra due sedie e vengono sospesi nel vuoto e fatti ruotare.
I detenuti hanno anche riferito che quando detenuti in locali dell’Nsa sono stati ammanettati da un polso ad un altro detenuto e con un alto muro tra l’uno e l’altro, impedendo ai detenuti sia di dormire sia causando lesioni ai loro polsi, braccia e spalle.
Ex detenuti, famiglie e avvocati hanno detto ad Amnesty International che di solito sono stati torturati durante gli interrogatori, in genere durante le prime due settimane della loro detenzione in isolamento. Gli interrogatori duravano tra un’ora e fino a sette o sei ore.
Amnesty International ha anche riscontrato che i detenuti vengono sempre ammanettati e bendati per tutto il periodo della loro detenzione in incommunicado e se erano sorpresi nel tentativo di rimuovere le loro manette, bende o parlare con altri detenuti, sono stati picchiati e torturati con la sospensione dagli arti per lunghi periodi di tempo.
A seguito di interrogatori e torture, i detenuti sostengono di essere rimasti in isolamento per settimane o addirittura mesi fino a quando tutti i segni visibili delle torture fossero sbiaditi, ma che gli agenti dell’Nsa li hanno minacciati di ulteriori torture o dell’arresto di appartenenti alla famiglia se avessero ritrattato le loro “confessioni” durante gli interrogatori del pubblico ministero; di conseguenza, ex detenuti, avvocati e famiglie sostengono che molti detenuti ripetono le loro “confessioni” , quando interrogati dai magistrati, per paura delle conseguenze in caso contrario.
Dal carcere, Shawkan ha scritto una lettera ad Amnesty International quando erano passati 1000 giorni dal suo arresto.
“Alle 7.45 si palesa un informatore di bassa statura, decisamente insensibile e ottuso, dal volto privo di espressione e dall’accento che tradisce il suo paese di origine. Il compito che è stato assegnato a lui e agli detenuti della squadra di informatori, è di mettersi accanto a te e urlare: ‘In piedi, bello! Arriva l’ispezione!’ Vorrei che chiunque sano di mente rispondesse a questa domanda: che sta accadendo? Perché sono ingiustamente tenuto in questa prigione?
Questi informatori si assomigliano per l’aspetto, le caratteristiche e l’espressione, forse li differenzia solo l’altezza. Hanno facce piccole, baffi trascurati, fronte ampia, occhiaie profonde, mani grasse, braccia tozze. Questo mese è la terza volta che vengono per l’ispezione, in totale la 26esima da parte della direzione del carcere e la 95esima da parte dei servizi di sicurezza.
Il protagonista di queste situazioni è il signor Selim, capo dell’intelligence, che conduce personalmente questa ispezione. Apro pigramente e lentamente gli occhi, ancora pieni di sonno. Lascio le mie cose dentro la cella, esco insieme agli altri e mi metto in fila davanti al supervisione del capo degli informatori. Passa un’ora di sguardi denigratori e insulti che non è possibile immaginare.
Quando rientro in cella, è tutto sottosopra. I nostri oggetti personali buttati a terra alla rinfusa, i nostri vestiti umiliati come i loro proprietari. Stavolta hanno fatto sul serio, 10 persone a ispezionare una cella di due metri per un metro e ottanta! Continuo a chiedermi: perché? Per caso sono la Guida suprema della Fratellanza musulmana? Per caso sono Ayman al-Zawahiri, il capo di al-Qaeda? No, Zawahiri l’hanno scarcerato anni fa. E allora perché? Perché? Per caso sono Abu Bakr al-Baghdadi, il califfo dello Stato islamico?
Ogni volta che c’è un’ispezione, gli informatori rubano le nostre cose. O le danneggiano. A Iskander, il mio compagno di cella che ha quasi perso la vista, hanno frantumato gli occhiali. Quello che ne è rimasto, sotto i piedi dell’informatore, è simile al grano quando finisce nella macina. Possono dire quello che gli pare, ma niente giustifica che un essere umano sia trattato con questa crudeltà, sia insultato in questo modo. Le mie domande restano senza risposta. Quello che è evidente è il desiderio di persecuzione da parte del capo degli informatori. Lui e io non abbiamo mai avuto niente a che fare sul piano personale, dentro e fuori il carcere, per giustificare gli insulti e la terza ispezione consecutiva questo mese.
Ha risparmiato tutti i criminali che si trovano in questa prigione, quelli della Fratellanza musulmana, quelli dell’Isis, per opprimere un giornalista che è stato tradito mentre svolgeva il suo dovere e lasciato a marcire in una prigione per 1000 giorni senza poter vedere un giudice.
Ma il suo modo di fare appartiene a lui o sta seguendo le istruzioni dei suoi superiori? Se è così lo stato egiziano, rappresentato dal governo, ha deciso di lasciare in pace i nemici della Fratellanza e dell’Isis per impartire una dura lezione a un giornalista che non ha affiliazione politica se non quella alla sua professione, un giornalista che ha risposto alle richieste del governo di seguire lo sgombero del sit-in di Rabaa al-Adaweya.
Mi chiedo: non è abbastanza aver trascorso 1000 giorni in una detenzione ingiusta sulla base di false accuse? Mille e una notte? Perché impediscono ai miei anziani genitori di vedermi dopo aver fatto un viaggio di quasi un giorno e mezzo per portarmi cose di cui avevo bisogno? Perché 10 persone devono ispezionare per due ore una cella grande come una scatola di cerini? Sebbene dall’ispezione non sia emersa alcuna infrazione al regolamento, il gruppo degli informatori mi minaccia avvertendo che torneranno ancora. Ma che vogliono da me il capo degli informatori e i suoi uomini? Perché tutta questa oppressione e persecuzione? Non è ancora abbastanza?”.
Procuratore generale Nabil Sadek Office of the Public Prosecutor Madinat Al-Rihab New Cairo Egypt
Egregio Procuratore,
Sono un sostenitore di Amnesty International, l’organizzazione non governativa che dal 1961 lavora indifesa dei diritti umani, ovunque siano violati.
Mahmoud Abu Zeid è un prigioniero di coscienza, in carcere solo per aver esercitato il modo pacifico il diritto alla libertà d’espressione e aver svolto la sua attività professionale.
Le chiedo che Mahmoud Abu Zeid sia rilasciato, che le accuse nei suoi confronti vengano annullate e che, in attesa del rilascio, riceva tutte le cure mediche di cui possa aver bisogno.