Ibrahim Metwaly, 52 anni, avvocato per i diritti umani e co-fondatore del gruppo delle “Famiglie degli scomparsi in Egitto”, è stato fermato il 10 settembre 2023 mentre stava per imbarcarsi su un volo diretto a Ginevra, invitato dal Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sulle sparizioni forzate e involontarie a parlare delle sparizioni in Egitto.
Il 10 settembre, Metwaly avrebbe dovuto prendere il volo per Ginevra delle 9.45. Arrivato in aeroporto alle 9.05, è stato avvicinato da un uomo che si è qualificato come funzionario della compagnia aerea EgyptAir. Questi ha portato Metwaly in una zona dell’aeroporto dove si trovavano le forze di sicurezza pronte ad arrestarlo.
Dopo che le forze di sicurezza lo hanno trattenuto per due giorni in incommunicado, la Procura per la sicurezza dello stato ha imposto 15 giorni di detenzione, per lo svolgimento delle indagini relative alle accuse di fondazione e direzione di un gruppo illegale (ossia le “Famiglie degli scomparsi in Egitto”), cospirazione con soggetti stranieri per danneggiare la sicurezza nazionale e pubblicazione di notizie false.
Dopo due giorni di detenzione in un luogo non noto, Metwaly è riapparso il 12 settembre di fronte al procuratore generale per la sicurezza dello stato. In seguito, la polizia ha fatto irruzione nel suo appartamento di Kafr el-Sheikh mettendolo a soqquadro.
Il 20 settembre ha raccontato ai suoi avvocati che, dopo il suo arresto, gli ufficiali delle forze di sicurezza nazionali lo hanno spogliato, sono ricorsi all’uso di scariche elettriche lungo tutto il corpo, gettato acqua fredda su di lui e picchiato ripetutamente.
Gli ufficiali lo hanno interrogato, in assenza del suo avvocato, sui dettagli del suo attivismo in relazione alle sparizioni forzate in Egitto. Ad oggi, non risultano indagini avviate sulle accuse di tortura da parte delle forze di sicurezza. Dopo l’interrogatorio da parte della procura, le autorità egiziane hanno spostato Ibrahim Metwaly nel carcere di massima sicurezza di Tora, nella periferia meridionale del Cairo, dove è stato detenuto in isolamento in una cella senza elettricità, senza un letto e dove il pavimento era sommerso d’acqua. Nonostante il suo avvocato abbia riportato queste condizioni, non ci sono state risposte da parte dalle autorità carcerarie.
Tra le prove a carico di Metwaly c’è la lettera d’invito del Gruppo di lavoro sulle sparizioni forzate e involontarie. Amnesty International ritiene che le accuse nei suoi confronti siano del tutto infondate e costituiscano una rappresaglia nei suoi confronti per aver esercitato i suoi diritti alla libertà di espressione e associazione.
Ibrahim Metwaly è attualmente detenuto nel carcere Badr 3, situato a 70 chilometri a nord-est del Cairo, dove, secondo le ricerche di Amnesty, i detenuti lamentano condizioni orribili e punitive. Questa è la seconda volta che le autorità egiziane prendono di mira un esponente delle “Famiglie degli scomparsi in Egitto“: il 20 maggio era stata arrestata l’altra fondatrice del gruppo, Hanan Badr el-Din.
Secondo la Commissione egiziana per i diritti e le libertà, un’associazione locale per i diritti umani, da gennaio ad agosto 2017 almeno 165 persone sono scomparse per mano delle forze di sicurezza.
Minister of Interior
Magdy Abdel Ghaffar
Ministry of Interior
Fifth Settlement, New Cairo, Egypt
Fax: +202 2794 5529 +2027927189
Email: center@iscmi.gov.eg or E.HumanRightsSector@moi.gov.eg
Twitter: @moiegy
Egregio Ministro,
sono un sostenitore di Amnesty International, l’organizzazione non governativa che dal 1961 porta avanti campagne in difesa dei diritti umani.
La sollecito a rilasciare immediatamente e senza condizioni Ibrahim Metwaly, in quanto detenuto solo per aver esercitato in modo pacifico i suoi diritti alla libertà di espressione e di associazione.
Le chiedo di garantire che Ibrahim Metwaly sia al protetto da torture e altri maltrattamenti, che possa avere contatti con la sua famiglia e con un avvocato di sua scelta e ricevere le cure mediche di cui dovesse avere bisogno.
Le chiedo l’apertura di un’inchiesta indipendente e imparziale sulle denunce di sparizione e la firma della Convenzione delle Nazioni Unite per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate.
La ringrazio per l’attenzione.
Il fenomeno delle sparizioni forzate in Egitto ad opera delle forze di sicurezza è ampiamente documentato da Amnesty International. Centinaia di persone – manifestanti, attivisti politici, studenti e anche minorenni – vengono arrestate e fatte sparire da agenti dello stato egiziano, mentre le autorità negano la loro detenzione e rifiutano di fornire ogni informazione sulla loro sorte. Gli scomparsi non possono contattare le famiglie né gli avvocati e sono detenuti in incommunicado senza alcuna supervisione giudiziaria.
Secondo le organizzazioni non governative egiziane, la media delle sparizioni forzate è di tre, anche quattro al giorno. Questa violazione dei diritti umani è diventata particolarmente frequente dal marzo 2015, quando il presidente Abdel Fattah al-Sisi ha nominato ministro dell’Interno il generale Magdy Abd el-Ghaffar.
Si veda il rapporto di Amnesty International “Tu non esisti”, disponibile al link.
La tortura è spesso associata alle sparizioni forzate. I metodi più frequenti comprendono: minacce e percosse; scariche elettriche, anche su zone particolarmente sensibili come i genitali, le labbra e le orecchie; sospensioni per gli arti, nudi e bendati, per lunghi periodi di tempo; stupri e altre forme di violenza sessuale.
Gli agenti dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (il servizio segreto civile) la usano per strappare “confessioni” riguardo alla propria colpevolezza o a quella di altre persone. Queste “confessioni” sono usate come pretesto per prolungare la detenzione preventiva e per ottenere condanne al termine di processi. In alcuni casi, l’Agenzia per la sicurezza nazionale ha effettuato riprese delle “confessioni”, trasmettendole poi ai media locali.
Le autorità egiziane continuano a negare la pratica delle sparizioni forzate. Recentemente, il 4 giugno 2017, il presidente della Commissione diritti umani del parlamento ha dichiarato al quotidiano “Parlmany” che “le sparizioni forzate non esistono, si tratta di un’espressione inventata dalla Fratellanza musulmana e da una quinta colonna”. Nel marzo 2016 il ministro dell’Interno aveva dichiarato: “Non c’è alcuna sparizione forzata in Egitto, le forze di sicurezza agiscono nel quadro della legalità”.
I gruppi egiziani per i diritti umani hanno sfidato i dinieghi del ministro dell’Interno documentando centinaia di casi di sparizioni forzate.
L’Egitto non ha firmato la Convenzione delle Nazioni Unite per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate.
Ibrahim Metwaly è un avvocato. Insieme ad Hanan Badr el-Din ha fondato il gruppo “Famiglie degli scomparsi in Egitto”, dopo che l’8 luglio 2013 suo figlio Amr era stato vittima di sparizione forzata. Da allora, lo ha cercato ovunque – nelle stazioni di polizia, nelle prigioni, negli ospedali, negli obitori – ma invano. Le forze di sicurezza egiziane sostengono di non avere alcuna informazione al riguardo.
Hanan Badr el-Din è stata a sua volta arrestata, il 20 maggio 2017, all’interno della prigione di Qanatar, nella Grande Cairo, dove era andata a visitare un prigioniero ed ex scomparso per chiedergli se avesse notizie di suo marito, a sua volta vittima di sparizione forzata il 27 luglio 2013. Inizialmente accusata di aver introdotto nella prigione beni di contrabbando, ora le indagini riguardano l’accusa di appartenenza a un’organizzazione illegale. Dal giorno del suo arresto, la detenzione è stata rinnovata di 15 giorni in 15 giorni.