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Le forze di sicurezza egiziane hanno represso le manifestazioni delle ultime settimane utilizzando gas lacrimogeni, manganelli, pallini da caccia e in un caso proiettili veri e arrestando centinaia di persone, molte delle quali sottoposte a sparizione forzata. Vi sono stati due morti.
Secondo una coalizione di avvocati per i diritti umani, le persone attualmente in stato di detenzione per vaghe accuse di terrorismo e di partecipazione a proteste sono almeno 496.
In questi giorni abbiamo intervistato testimoni oculari e avvocati ed esaminato immagini filmate delle piccole e sparute manifestazioni, iniziate a metà settembre in diverse zone povere contadine e urbane dell’Egitto soprattutto per protestare contro le demolizioni degli alloggi non registrati al catasto e una legge sulla sanatoria delle abitazioni abusive.
“Il fatto che le persone siano scese in strada pur sapendo a quali rischi sarebbero andate incontro mostra quanto siano disperate le loro richieste di diritti economici e sociali. Le immagini di agenti di polizia che sparano pallini da caccia contro i manifestanti sono il segno del totale disprezzo per gli standard internazionale in ordine pubblico. Abbiamo visto forze di sicurezza armate di fucili, mezzi pericolosi e non indicati per fronteggiare le proteste. Le autorità egiziane devono indagare urgentemente sulla morte di due uomini“, ha dichiarato in una nota ufficiale Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.
“Centinaia di persone, compreso chi non stava neanche prendendo parte alle manifestazioni, si trovano ora in carcere. Le autorità hanno ancora una volta fatto ricorso alle consuete tattiche di violenza e arresti di massa per mandare il chiaro messaggio che non sarà tollerata alcuna forma di protesta. Chiediamo il rilascio immediato e incondizionato di tutti coloro che sono stati arrestati solo per aver esercitato i diritti alla libertà di espressione e di manifestazione pacifica“, ha aggiunto Luther.
In base alle testimonianze che abbiamo raccolto e verificato, le forze di sicurezza hanno usato pallini da caccia (chiamati localmente “khartoush“), gas lacrimogeni e almeno in un caso proiettili veri.
Un uomo, Samy Beshir, è stato ucciso il 25 settembre ad al-Ayat, a sud del Cairo, colpito dalle forze di sicurezza. Queste hanno negato di aver usato pallini da caccia ma la conferma è arrivata da fonti mediche. Un altro uomo, Owais al-Rawi, è stato ucciso il 30 settembre a Luxor durante l’irruzione delle forze di sicurezza nella sua abitazione.
Le immagini riprese a Giza, Dumiyat, Minya, Qena e Luxor mostrano manifestazioni in gran parte pacifiche, anche se in alcuni casi sono state danneggiate e incendiate auto della polizia e sono stati lanciati sassi contro le forze di sicurezza. La stampa egiziana ha riferito di due agenti di polizia feriti ad al-Basaten, nel governatorato del Cairo.
In un video girato il 23 settembre nel villaggio di Kafr Qandil, a sud del Cairo, si odono colpi d’arma da fuoco e di vedono due agenti di polizia armati rispettivamente di un kalashnikov e di un fucile da caccia. La prima arma utilizza solo proiettili veri e data anche la rapida successione degli spari è del tutto inappropriata per gestire l’ordine pubblico. In un altro video datato 25 settembre e girato a Dumiyat, a nord del Cairo, gli agenti di polizia caricano manifestanti disarmati e in fuga con manganelli e fucili da caccia. In altri quattro video girati a Luxor, tutti validati come i precedenti da Amnesty International, gli agenti di polizia sparano pallini da caccia dall’alto dei loro veicoli blindati durante i funerali di Owais al-Rawi.
Molte delle persone arrestate durante e dopo le manifestazioni avevano ferite da pallini da caccia, anche sulla schiena.
Dal 10 al 29 settembre, secondo varie organizzazioni non governative per i diritti umani, la polizia egiziana ha arrestato tra le 571 e le 735 persone (tra cui tre donne) di età compresa tra 11 e 65 anni.
Nei giorni che hanno preceduto il primo anniversario delle manifestazioni contro il governo del 20 settembre 2019, gli agenti di polizia hanno fermato a caso persone che camminavano in strada, soprattutto nella zona centrale del Cairo, ordinando loro di consegnare i telefoni cellulari. Alcune di loro, dopo essere state brevemente trattenute e interrogate sul contenuto della memoria dei loro cellulari o sulla loro vita privata, sono state rilasciate.
Un uomo ha riferito ad Amnesty International che, dopo essere stato fermato al centro del Cairo e aver rifiutato di sbloccare il suo telefono, è stato fatto salire a bordo di un veicolo della polizia e minacciato di arresto e processo per poi essere lasciato andare. Altre persone, compresi dei semplici passanti, sono state arrestate nelle zone dove erano in corso le proteste, altre sono state prelevate dalle loro abitazioni a causa dei loro post sui social che invitavano a protestare contro il governo o criticavano la demolizione degli alloggi.
Gli arrestati sono stati portati in varie stazioni di polizia, nelle basi delle forze di sicurezza e in altri centri gestiti dall’Agenzia per la sicurezza nazionale, i servizi civili di polizia. Per periodi di tempo da uno a 10 giorni, le forze di sicurezza hanno impedito agli arrestati di comunicare con l’esterno e hanno negato di averli in loro custodia.
Secondo quanto riferito dai loro avvocati, alcuni arrestati sono stati sottoposti a scariche elettriche, picchiati, insultati e minacciati di trascorrere lunghi periodi di tempo in carcere. In seguito sono stati portati nel quartier generale della Procura suprema per la sicurezza dello stato, che si occupa dei casi riguardanti terrorismo e sicurezza nazionale.
Gli arrestati sono stati interrogati sulla loro partecipazione alle proteste, sui post pubblicati sui social media, sulle loro idee politiche e sull’opinione che avevano circa le demolizioni e la sanatoria degli abusi edilizi. Né loro né gli avvocati hanno avuto accesso ai fascicoli dell’Agenzia per la sicurezza nazionale.
Le accuse riguarderebbero, secondo quanto detto a voce dai procuratori, “militanza in un gruppo terrorista“, “uso improprio dei social media“, “diffusione di notizie false“, “finanziamento di un gruppo terrorista“, “partecipazione a raduni illegali” e “incitamento a prendere parte a raduni illegali“. Per tutti sono scattati i primi 15 giorni di detenzione preventiva.
Il 27 settembre la procura ha ordinato il rilascio di 68 minorenni arrestati nel corso di quelle che sono state definite “rivolte”. In base alle informazioni raccolte, si tratterebbe di persone di meno di 15 anni. Altri minorenni restano in carcere.
Secondo la Commissione egiziana per i diritti e le libertà, almeno 115 arrestati restano trattenuti in località ignote.