Il 13 settembre 2022, la donna curda iraniana Mahsa Amini è stata arrestata a Teheran dalla cosiddetta polizia “morale” iraniana, che regolarmente sottopone donne e ragazze ad arresti e detenzioni arbitrarie, torture e altri maltrattamenti per non aver rispettato l’obbligo discriminatorio di indossare il velo.
Secondo testimoni oculari, Mahsa Amini è stata picchiata violentemente mentre veniva trasferita con la forza nel centro di detenzione di Vozara a Teheran. In poche ore, è stata trasferita all’ospedale di Kasra dopo essere entrata in coma. È morta tre giorni dopo. Le autorità iraniane hanno annunciato indagini negando contemporaneamente qualsiasi illecito, ma questo non è bastato a fermare le numerose mobilitazioni della società civile dilagate su tutto il territorio nazionale.
Chiediamo l’abolizione della legge che obbliga le donne a indossare il velo, la fine della repressione e dell’impunità. Firma ora il nostro appello!
Stiamo indagando sulla repressione delle proteste in molte zone dell’Iran, tra cui le città di Hamedan, Rasht, Shiraz, Tabriz e Teheran e verificando le notizie allarmanti sull’entità della repressione. Al momento, abbiamo verificato che nel corso delle proteste del 19 e 20 settembre nelle province del Kurdistan, di Kermanshah e dell’Azerbaigian occidentale, Amnesty International ha verificato l’uccisione di sei uomini, di una donna e di un minorenne. Almeno quattro delle vittime sono state uccise da pallini di metallo esplosi da distanza ravvicinata e diretti alla testa o al petto.
Almeno altre due persone hanno perso la vista da uno o da entrambi gli occhi. Centinaia di manifestanti, minorenni compresi, hanno subito dolorose ferite equivalenti a maltrattamenti o tortura a causa dell’uso illegale dei pallini da caccia o di altre munizioni.
Le autorità hanno confermato le morti di tre persone nella provincia del Kurdistan e quelle di altre due persone in quella di Kermanshah ma, coerentemente con la loro politica di negazione e insabbiamento, le hanno attribuite ai “nemici della Repubblica islamica”.
Esaminando i filmati disponibili e ascoltando le testimonianze oculari, Amnesty International è giunta alla conclusione che le proteste nelle tre province sono state prevalentemente pacifiche. Talvolta alcuni manifestanti hanno lanciato pietre contro le forze di sicurezza e danneggiato loro veicoli. Ma questo non giustifica in alcun modo l’uso di pallini di metallo, che sono vietati in ogni circostanza.
Le forze di sicurezza hanno eseguito violenti arresti, anche di minorenni, durante le proteste del 19 settembre e nelle successive irruzioni notturne nelle abitazioni. Un testimone oculare ha riferito di aver visto decine di manifestanti arrestati nella città di Kamiyan, pieni di sangue e con fratture al capo, al naso o alle braccia.
Ai sensi dell’articolo 638 del codice penale islamico iraniano, qualsiasi atto ritenuto “offensivo” per la pubblica decenza è punito con la reclusione da dieci giorni a due mesi, o 74 frustate. Una nota esplicativa all’articolo afferma che le donne che vengono viste in pubblico senza il velo devono essere punite con una reclusione da dieci giorni a due mesi o multa in contanti. La legge si applica alle ragazze di nove anni, che è l’età minima di responsabilità penale per le ragazze in Iran. Di fatto, tuttavia, le autorità impongono il velo obbligatorio alle ragazze dall’età di sette anni, quando iniziano la scuola elementare. Queste disposizioni e prassi, integrate da decine di regolamenti e politiche aggiuntive, autorizzano la polizia e le forze paramilitari ad arrestare e imprigionare arbitrariamente decine di migliaia di donne ogni anno per aver mostrato ciocche di capelli sotto il velo o per aver indossato soprabiti, pantaloni o abiti a maniche corte e colorati. Da decenni le autorità iraniane impongono leggi e regolamenti sul velo obbligatorio che violano i diritti umani delle donne e comportano anche trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti come arresti e detenzioni arbitrarie.
Il principio di non discriminazione, e in particolare di uguaglianza tra uomini e donne, oltre a tutti gli altri generi, è un principio chiave del diritto internazionale dei diritti umani. È sancito nella Dichiarazione universale dei diritti umani, e previsto in diversi trattati che l’Iran ha ratificato, in particolare la Carta delle Nazioni Unite e il Patto internazionale sui diritti civili e politici.
Le donne iraniane sono regolarmente oggetto di molestie verbali e aggressioni fisiche da parte della polizia e delle forze paramilitari. Questo vuol dire essere prese di mira in quanto donne anche solo per brevi soste casuali per strada: ricevono minacce e insulti, viene ordinato loro di tirare in avanti il velo per nascondere i capelli, viene imposto l’uso di fazzolettini per pulirsi il trucco davanti agli agenti della polizia morale. Le donne vengono afferrate per le braccia, schiaffeggiate in faccia, colpite con pugni e manganelli e ammanettate e spinte violentemente contro furgoni della polizia. Questi atti equivalgono a trattamenti o punizioni crudeli, disumani o degradanti, assolutamente vietati dal diritto internazionale, compreso il Patto internazionale sui diritti politici e civili di cui l’Iran è stato parte. In questi anni, sulla base di regolamenti e politiche adottate e applicate da vari organi governativi, a milioni di donne è stato negato l’ingresso in spazi pubblici come aeroporti, campus universitari, centri ricreativi, ospedali e uffici governativi; inoltre, sono state espulse da scuole e università e licenziate per ragioni arbitrarie come i capelli che sporgono dal velo, il trucco che sembra “pesante” o i pantaloni, il velo e i soprabiti corti, attillati o colorati.
Alcuni spazi pubblici e istituzioni governative sono andati oltre e hanno imposto un divieto assoluto all’ ingresso di donne che non indossano lo chador nero, un grosso pezzo di stoffa che si avvolge intorno al capo e che copre la parte superiore del corpo lasciando esposto solo il viso.
In Iran il clima quotidiano di intimidazione nei confronti delle donne si fa sempre più duro.
Lo testimonia la storia di Nasrin Sotoudeh, coraggiosa difensora dei diritti umani, condannata a 38 anni e 148 frustate per aver difeso una donna arrestata per aver manifestato contro l’obbligo per le donne iraniane di indossare il velo.
Così come la storia di Yasaman Aryani che l’8 marzo del 2019, insieme ad altre attiviste ha regalato dei fiori nei vagoni della metropolitana riservati alle donne. Lo hanno fatto a capo scoperto, parlando dei loro diritti negati. Il video di questa azione ha fatto il giro del mondo e la reazione delle autorità non si è fatta attendere. Ad appena 24 anni Yasaman è stata condannata a 16 anni di carcere.
Amnesty International rinnova i suoi appelli alle autorità iraniane a:
- abrogare immediatamente l’articolo 638 del codice penale islamico, oltre ad abolire l’umiliante e discriminatorio divieto di apparire in pubblico delle donne senza velo;
- porre immediatamente fine all’uso della forza letale durante le proteste quando i manifestanti non rappresentano una imminente minaccia di morte o di lesioni gravi alle forze di sicurezza o ad altri;
- cessare immediatamente l’uso illecito di pallini da caccia, che violano l’assoluto divieto di tortura o altri maltrattamenti dato il grave danno all’integrità fisica e il trauma mentale che questa condotta provoca a manifestanti e passanti;
- garantire indagini tempestive, complete, indipendenti e imparziali sull’uso illegale della forza da parte delle forze di sicurezza nelle proteste degli ultimi mesi, tra cui un’indagine sulle cause e le circostanze dei decessi e dei ferimenti, e garantire che i sospettati di responsabilità penale siano perseguiti in procedimenti conformi agli standard internazionali del giusto processo e non implicano la richiesta o l’imposizione della pena di morte;
- abrogare o modificare, al fine di rendere conforme al diritto internazionale, l’attuale legislazione, in particolare il codice penale islamico, che criminalizza l’assemblea pacifica, e la legge sull’uso delle armi da fuoco da parte delle forze di sicurezza che disciplina l’ uso delle armi da fuoco nel contesto di assemblee ritenute “illegali” e consente alle forze di sicurezza di utilizzare armi da fuoco senza tener conto della soglia elevata imposta dal diritto e dagli standard internazionali sul loro uso per proteggersi da una minaccia imminente di morte o di lesioni gravi.