Aggiornamento 16/02/2023 – Yasaman Aryani e sua madre Monireh Arabshahi sono state liberate il 15 febbraio. Il carcere non ha fiaccato la loro voglia di lottare per i diritti e, appena sono uscite fuori hanno cantato “Donna, vita, libertà!”.
Fare un gesto gentile, come donare un fiore, in Iran può essere molto pericoloso.
Yasaman lo ha fatto a capo scoperto in occasione della Giornata internazionale della donna del 2019: a bordo di un treno, insieme alla mamma, ha distribuito gioiosamente fiori negli scompartimenti riservati alle sole donne. Alle donne che ha incontrato ha parlato di un futuro nel quale tutte, anche in Iran, potranno scegliere liberamente cosa indossare.
Yasaman con questo suo gesto ha osato sfidare l’assurda legge che obbliga le donne a indossare il velo in Iran.
Un coraggio che sta pagando con il carcere: il 10 aprile del 2019 le autorità iraniane la hanno arrestata e rinchiusa da sola in una cella per giorni, sottoponendola a interrogatori continui.
Le hanno intimato di “confessare” una presunta “ingerenza straniera” nel suo gesto e hanno cercato di farla “pentire” delle sue azioni. In caso contrario, avrebbero arrestato i suoi amici e familiari. Il 31 luglio dello stesso anno è arrivata la sentenza shock: Yasaman è stata condannata a 16 anni di reclusione. Dovrà trascorrere in carcere almeno 10 anni.
In carcere Yasaman rischia la sua vita: l’emergenza Covid-19 ha messo in crisi il già fragile sistema sanitario iraniano e il rischio contagio nelle carceri è altissimo.
Yasaman ha lottato per i diritti di tutti e non dovrebbe passare neanche un minuto di più in quella cella. Yasaman deve essere libera.
Immediatamente dopo la rivoluzione del 1979 e in seguito a una direttiva dell’allora capo supremo Khomeini, le autorità iraniane hanno imposto il velo obbligatorio su donne e ragazze in tutto il paese.
Le leggi e i regolamenti introdotti a partire da allora violano i diritti umani delle donne.
In base alle leggi sul velo obbligatorio dell’Iran, le donne e le ragazze sono costrette a coprirsi i capelli con un velo, a prescindere se lo desiderano o no.
Chi infrange queste norme rischia di essere arrestato, perseguitato e condannato a pena definitiva, alla flagellazione o a pagare ammende.
La polizia “morale” iraniana pone sotto sorveglianza l’intera popolazione femminile – 40 milioni di donne e ragazze. Questi agenti statali hanno il potere di fermare le donne ed esaminare il loro vestito, valutando scrupolosamente quanti capelli stanno mostrando, la lunghezza dei loro pantaloni e soprabiti e la quantità di trucco che indossano.
Anche quando le donne si coprono i capelli con un velo, possono comunque essere considerate inadeguate alle leggi sul velo obbligatorio se, ad esempio, rivelano alcune ciocche di capelli o i loro vestiti sono percepiti come troppo colorati o aderenti.
Ci sono innumerevoli testimonianze di donne schiaffeggiate, picchiate con manganelli e gettate nei furgoni della polizia a causa del modo in cui sono vestite.
Le donne, in Iran, sono anche “sorvegliate” da teppisti e vigilanti, che ritengono di avere il dovere e il diritto di far valere i valori della Repubblica islamica.
Negli ultimi anni, in Iran, è cresciuto un movimento di persone che si oppone alle leggi sul velo obbligatorio. Donne e ragazze come Yasaman sfidano le leggi dello stato pubblicamente, agitando silenziosamente il velo sulle punte di bastoni e condividendo sui social network i video di sé stesse che camminano per la strada con i capelli al vento.
Anche gli uomini hanno aderito a questo movimento. Così come hanno aderito donne che scelgono attivamente di indossare l’hijab.
La forza di queste proteste ha terrorizzato le autorità iraniane, che hanno reagito con una dura repressione. Da gennaio 2018 sono stati arrestati almeno 48 difensori dei diritti delle donne, tra cui quattro uomini.
Alcuni sono stati torturati e condannati a pene detentive o frustate dopo processi gravemente ingiusti.
In una dichiarazione ufficiale del 23 febbraio 2018, la polizia ha avvertito che le donne che protestavano pacificamente contro la pratica discriminatoria e abusiva del velo obbligatorio sarebbero state accusate di “incitamento e facilitazione alla corruzione e alla prostituzione“, che prevede una pena detentiva massima di 10 anni.
Questa è una delle accuse per cui Yasaman Aryani è stata condannata.
Trasformare in criminali donne e ragazze che si rifiutano di indossare l’hijab è una forma estrema di discriminazione.
Le leggi sul velo obbligatorio violano i diritti all’uguaglianza, alla privacy e alla libertà di espressione e di credo. Queste leggi degradano donne e ragazze, privandole della loro dignità e autostima.
Capo della magistratura, Gholamhossein Mohseni Ejei
c/o Ambasciata dell’Iran presso l’Unione Europea
Avenue Franklin Roosevelt n. 15, 1050
Bruxelles, Belgio
Egregio Sig. Gholamhossein Mohseni Ejei,
siamo soci e sostenitori di Amnesty International, l’organizzazione non governativa che dal 1961 lavora in difesa dei diritti umani, ovunque siano violati.
Il 31 luglio 2019 Yasaman Aryani, sua madre Monireh Arabshahi e Moigan Keshavarz – altra attivista che con loro aveva partecipato ad aprile a una protesta pacifica contro il velo obbligatorio nella metro di Teheran nel giorno della festa della donna – erano state inizialmente condannate a un totale di 55 anni di prigione. Yasaman e sua madre Monireh a 16 anni ciascuna e Mojgan a 23 anni e 6 mesi.
Il 5 febbraio 2020 abbiamo appreso che le sentenze di Yasaman e Monireh erano state ridotte a nove anni e sette mesi da una corte d’appello. Nessuna delle donne ha avuto accesso agli avvocati durante il processo e tutte e tre hanno riferito di essere state minacciate verbalmente dal giudice.
La esortiamo a rilasciare immediatamente e incondizionatamente Monireh Arabshahi, Yasaman Aryani e Mojgan Keshavarz poiché prigioniere di coscienza, incarcerate esclusivamente per le loro attività pacifiche in favore dei diritti umani. In attesa della loro liberazione, Le chiediamo di garantire che abbiano contatti regolari con le loro famiglie e con un avvocato di loro scelta.
La esortiamo inoltre a porre fine alla criminalizzazione dei difensori e delle difensore dei diritti delle donne, compresi/e coloro che protestano pacificamente contro il velo forzato, e ad abolire le leggi sul velo forzato.
Almeno 36 detenuti sono stati uccisi dalle forze di sicurezza durante le proteste organizzate in otto carceri del paese per il timore che potessero contrarre il virus Covid-19
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