Aggiornato il 15 novembre 2023 – Nasrin Sotoudeh è stata picchiata e arrestata il 29 ottobre mentre partecipava ai funerali di Armita Garawand, l’ultima vittima delle leggi sull’obbligo del velo in Iran. Il 15 novembre è stata scarcerata dietro il pagamento di una cauzione.
Nasrin Sotoudeh, la celebre avvocata per i diritti umani che ha poi assunto la difesa di Shaparak Shajarizadeh e di altre donne che avevano protestato contro l’obbligo d’indossare lo hijab, è stata arrestata il 13 giugno 2018.
Per tutto il 2018 le autorità iraniane hanno portato avanti una campagna particolarmente minacciosa contro le difensore dei diritti umani. Invece di punirle spietatamente perché rivendicano i loro diritti, le autorità dovrebbero porre fine alla discriminazione e alle violenze, radicate e dilaganti, nei confronti delle donne.
Nell’ottobre 2019 l’avvocata è stata trasferita alla prigione di Qarchak, più di 30 km a sud della capitale, quando la sua famiglia ha insistito perché fosse ricoverata in ospedale.
Le accuse contro di lei sono la conseguenza del suo pacifico lavoro in favore dei diritti umani, inclusa la sua difesa delle donne che protestano contro l’obbligo di indossare il velo in Iran e la sua pubblica opposizione alla pena di morte.
A seguito della grande mobilitazione online e delle decine di migliaia di firme già raccolte, il marito di Nasrin ci ha mandato questo messaggio:
“Cari amici, attivisti e soci di Amnesty International, tutto ciò che ognuno di voi sta facendo in diversi paesi a sostegno di Nasrin Sotoudeh, dalle campagne alle manifestazioni, e le vostre immediate reazioni contro l’atroce condanna che le è stata inflitta hanno suscitato l’attenzione del mondo intero sul caso, al punto che il giudice è stato costretto a dire assurdità ai giornalisti e a smentire la sentenza. Grazie a voi Nasrin e la sua crudele condanna sono diventati oggetto di preoccupazione internazionale. Vi ringraziamo per tutti gli sforzi e i sacrifici che state facendo e ci congratuliamo con voi e con i difensori dei diritti umani di tutto il mondo per la solidarietà in favore delle vittime di violazioni” Reza Khandanm, marito di Nasrin Sotoudeh.
Sotoudeh è stata in sciopero della fame per sei settimane per protestare contro le condizioni di detenzione dei prigioneri politici in Iran dopo lo scoppio dell’emergenza Covid-19: ricoverata in ospedale, è stata dimessa dopo pochi giorni ma senza le cure adeguate. Rientrata in carcere, ha interrotto lo sciopero perché le sue condizioni di salute si erano troppo deteriorate.
Nel dicembre 2021 Nasrin ha lasciato la prigione per un rilascio temporaneo per motivi medici.
Nasrin è una prigioniera di coscienza e deve essere rilasciata definitivamente!
Le più recenti accuse contro Nasrin Sotoudeh si fondano sul suo pacifico lavoro in favore dei diritti umani, incluso il suo lavoro in difesa delle donne perseguitate nel 2018 per aver protestato pacificamente contro l’obbligo abusivo, degradante e discriminatorio di dover indossare il velo in Iran.
Nella sua incriminazione, le autorità hanno elencato sette capi di accusa contro di lei, quattro dei quali erano basati sulla sua opposizione all’obbligo del velo: “incitamento alla corruzione e alla prostituzione“; “impegnarsi apertamente in atti peccaminosi… apparire in pubblico senza un hijab“; “irrompere l’ordine pubblico“; e “disturbare l’opinione pubblica“.
Le pacifiche attività in favore dei diritti umani di Nasrin Sotoudeh contro l’obbligo di indossare il velo, comprese quelle intraprese nel suo ruolo di avvocato, come l’incontro con i suoi clienti, sono state utilizzate per costruire una causa penale contro di lei.
Le altre tre accuse contro di lei – “la formazione di un gruppo con lo scopo di interrompere la sicurezza nazionale“, “diffusione di propaganda contro il sistema” e “raccolta e collusione per commettere crimini contro la sicurezza nazionale” – si sono basate sulle sue attività pacifiche che le autorità hanno considerato come “criminale”.
Queste attività includono l’appartenenza a gruppi per i diritti umani come il Centro per difensori dei diritti umani e la Campagna Step by Step per l’abolizione della pena di morte, la pubblicazione di notizie su Shaparak Shajarizadeh, che è stata condannata a 20 anni di carcere, 18 dei quali sono stati sospesi, per la sua protesta pacifica contro l’obbligatorietà del velo.
Anche l’insistenza di Nasrin Sotoudeh sulla scelta di un avvocato indipendente invece di uno dall’elenco dei 20 selezionati dal capo del potere giudiziario è stato riconosciuto dalle autorità giudiziarie come un atto criminale.
Il suo processo, che ha avuto luogo il 30 dicembre 2018 davanti alla sezione 28 del Tribunale rivoluzionario di Teheran, è avvenuto in sua assenza. Nasrin si è era rifiutata di partecipare al processo, citando l’ingiusta natura del procedimento.
Nel mese di settembre 2016, nella sezione 28 del Tribunale rivoluzionario di Teheran Nasrin Sotoudeh ha affrontato l’accusa di “propaganda contro il sistema” e “raccolta e collusione per commettere crimini contro la sicurezza nazionale“. Il giorno del suo processo, le fu negato l’accesso al tribunale e l’udienza si svolse in sua assenza.
Non è stata informata di esser stata processata e condannata fino a quando non è stata riarrestata.
Il verdetto del tribunale non ha fatto menzione delle accuse.
Il giudice l’ha condannata con l’accusa più controversa di “aiuto a nascondere le spie con l’intento di danneggiare la sicurezza nazionale” ai sensi dell’articolo 510 del codice penale e l’ha condannata a cinque anni di carcere, due anni in più rispetto al massimo della pena prevista per legge per questo reato.
Nel verdetto le autorità l’hanno accusata di lavorare con i “controrivoluzionari” che vivono dentro e fuori l’Iran al fine di minacciare la sicurezza nazionale” e di “incontri segreti con diplomatici stranieri e persone sospettate di essere agenti dei servizi segreti con sede in ambasciate straniere in Teheran” con il “pretesto” dei diritti umani.
Il giudice ha inoltre affermato che “le sono stati dati 50.000 euro per il Premio Sacharov in modo che potesse sostenere le sue attività contro la sicurezza nazionale e per il rovesciamento dello stato“.
Nel 2012, scontando una precedente pena detentiva nel carcere di Evin, Nasrin Sotoudeh ha ricevuto dal Parlamento europeo il premio Sakharov per la libertà di pensiero, in collaborazione con il regista iraniano Jafar Panahi. Ad Amnesty International risulta che non abbia mai riscosso il premio in denaro.
Esistono serie preoccupazioni per la diffusione del coronavirus nelle carceri iraniane e per il fatto che le autorità iraniane non sono riuscite a proteggere a sufficienza le popolazioni carcerarie.
Molte carceri iraniane hanno condizioni di detenzione che sono al di sotto degli standard internazionali: sovraffollamento, scarsa ventilazione, acqua calda limitata durante la stagione invernale, cibo inadeguato, letti insufficienti e infestazioni di insetti. Queste condizioni carcerarie favoriscono la diffusione di malattie infettive.
Da quando si è diffusa la notizia sullo scoppio della pandemia anche in Iran nel febbraio 2020, i familiari di molti detenuti hanno espresso serie preoccupazioni per il benessere dei propri cari chiedendo a gran voce il rilascio dei prigionieri di coscienza e di coloro che sono detenuti solo per motivi politici.
Sebbene la magistratura iraniana abbia fatto una serie di annunci su come intende prevenire la diffusione del Covid-19 nelle carceri, compresi i piani per il rilascio temporaneo di migliaia di persone, il pagamento della cauzione e concedere la grazia a determinati tipi di detenuti, centinaia di prigionieri di coscienza rimangono incarcerati.
Secondo il Comitato Internazionale della Croce Rossa, le popolazioni carcerarie sono particolarmente esposte a malattie infettive e le condizioni di detenzione possono accelerare il contagio.
In base al diritto internazionale, come indicato negli standard minimi standard per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite, le autorità penitenziarie devono garantire che tutti i detenuti abbiano rapido accesso alle cure mediche e all’assistenza sanitaria.
La prestazione di assistenza sanitaria per i detenuti è una responsabilità dello stato.
I detenuti dovrebbero godere degli stessi standard di assistenza sanitaria disponibili nella comunità per quanto riguarda test, prevenzione e trattamento del Covid-19.
Dove un servizio carcerario ha le proprie strutture ospedaliere, devono essere dotate di personale e attrezzature adeguati per fornire ai detenuti a loro affidati le cure necessarie. I detenuti che richiedono i trattamenti o gli interventi chirurgici specializzati devono essere trasferiti ad istituti specializzati o ad ospedali civili.
Il coraggioso movimento delle difensore dei diritti umani ha aderito alle proteste, convocate per tutto l’anno nel paese per protestare contro le invadenti e obbligatorie norme sull’obbligo d’indossare lo hijab.
Tante donne sono scese in strada e, una volta scelto un luogo pubblico rialzato e in evidenza, si sono tolte il velo, lo hanno fissato a un bastoncino e hanno iniziato a sventolarlo. Le autorità hanno reagito attraverso aggressioni violente, arresti, maltrattamenti e torture. Alcune di loro sono state condannate al termine di processi gravemente iniqui.
Shaparak Shajarizadeh è stata condannata a 20 anni di carcere, 18 dei quali sospesi, per aver protestato pacificamente contro l’obbligo d’indossare lo hijab. Dopo aver pagato la cauzione per il rilascio, ha lasciato l’Iran. Dall’estero, continua a denunciare le torture subite durante la detenzione in isolamento e l’impossibilità di essere difesa da un avvocato nel corso di quel periodo.
Nasrin Sotoudeh, la celebre avvocata per i diritti umani che ha poi assunto la difesa di Shaparak Shajarizadeh e di altre donne che avevano protestato contro l’obbligo d’indossare lo hijab, è stata arrestata il 13 giugno 2018.
Per tutto il 2018 le autorità iraniane hanno portato avanti una campagna particolarmente minacciosa contro le difensore dei diritti umani. Invece di punirle spietatamente perché rivendicano i loro diritti, le autorità dovrebbero porre fine alla discriminazione e alle violenze, radicate e dilaganti, nei confronti delle donne.
La battaglia contro l’obbligo del velo in Iran è stata lanciata nel dicembre 2017.
Tra le protagoniste, Vida Movahedi, difensora dei diritti umani, nota come la prima “ragazza di via della Rivoluzione” per aver, nel dicembre 2017, protestato nella nota strada di Teheran togliendosi il velo, appendendolo a un bastone e sventolandolo.
All’epoca era stata arrestata e poi rilasciata su cauzione. Il 14 aprile l’avvocata di Vida ha annunciato che la sua cliente è stata condannata a un anno di carcere per aver protestato pacificamente contro l’obbligo del velo. Vida era stata arrestata il 29 ottobre 2018 dopo aver protestato da sola togliendosi il velo in uno spazio al centro di piazza della Rivoluzione, un luogo centrale di Teheran, agitando i palloncini che aveva in mano.
Il suo pacifico atto di resistenza ha ispirato molte donne a protestare nello stesso modo in luoghi pubblici di tutto l’Iran.
Tra queste, la difensora dei diritti umani Yasmin Aryani, arrestata il 10 aprile nell’abitazione di famiglia a Teheran e trasferita in una località sconosciuta. Sua madre, Monireh Arabshahi, è stata arrestata il giorno dopo, quando si è recata al centro di detenzione Vozara di Teheran per chiedere notizie della figlia.
Secondo informazioni ricevute da Amnesty International, madre e figlia sono state arrestate in relazione a un video fatto circolare in occasione della Giornata internazionale delle donne in cui Yasmin, Monireh e altre donne apparivano senza velo mentre distribuivano fiori alle passeggere della metropolitana di Teheran discutendo a proposito del futuro delle donne in Iran.
Nel video, Monireh afferma: “Verrà il giorno in cui le donne non saranno costrette a lottare” per i loro diritti; Yasmin porge un fiore a una donna che indossa il velo e dichiara di sperare che un giorno entrambe cammineranno fianco a fianco in strada “io senza il velo e tu col velo”.
A causa di questo video, Yasmin e Monireh rischiano di essere accusate di “propaganda contro il sistema” e “incitamento alla corruzione e alla prostituzione”.
La famiglia di Yasmin ha perso le sue tracce fino al 15 aprile, quando le è stata consentita una conversazione telefonica. Le autorità non hanno ancora reso noto dove si trovi, limitandosi a comunicare che è detenuta in un centro di detenzione “di sicurezza”.
Monireh Arabshahi è invece detenuta nel carcere di Shahr-e Rey (conosciuto anche come Gharchak) insieme a diverse centinaia di altre donne, in condizioni anti-igieniche e di sovraffollamento, senza accesso all’acqua potabile, a forniture adeguare di cibo e medicinali e a fonti d’aria naturale.
La nota giornalista e difensora dei diritti umani Masih Alinejab, residente negli Usa e promotrice di una serie di campagne online contro l’obbligo del velo, ha detto ad Amnesty International che nelle ultime settimane la madre, settantenne, è stata convocata per essere interrogata a proposito dei loro contatti. Sia la madre che l’altrettanto anziano padre sono stati interrogati per oltre un’ora.
I servizi segreti e le forze di sicurezza dell’Iran hanno inoltre rivolto minacce telefoniche ad altre difensore dei diritti umani, ammonendole che saranno arrestate se non desisteranno dal portare avanti la campagna contro l’obbligo del velo. Alcune di loro sono state convocate per interrogatori e temono un imminente arresto.
Capo della magistratura Ebrahim Raisi
C/o Permanent Mission of Iran to the UN
Chemin du Petit-Saconnex 28
1209 Geneva, Switzerland
Email: iranunog@mfa.gov.ir
Egregio Signor Raisi,
mi rivolgo a Lei in quanto sostenitore di Amnesty International, l’organizzazione non governativa che dal 1961 lavora in difesa dei diritti umani, ovunque siano violati.
Nasrin Sotoudeh, importante avvocata per i diritti umani e difensora dei diritti delle donne che è arbitrariamente detenuta nella prigione di Evin a Teheran dal giorno del suo arresto il 13 giugno 2018, è stata condannata a 33 anni di carcere e 148 frustate in relazione a due processi.
La esorto a rilasciare Nasrin Sotoudeh immediatamente e incondizionatamente in quanto prigioniera di coscienza, imprigionata esclusivamente per il suo pacifico lavoro sui diritti umani. In attesa della sua liberazione, le assicuri contatti regolari con la sua famiglia e un avvocato di sua scelta.
La esorto ad interrompere la criminalizzazione del lavoro dei difensori dei diritti delle donne, compresi quelli che protestano pacificamente contro l’obbligo del velo, e di abolire la leggi che impone tale obbligo.
La ringrazio per l’attenzione.