I media indipendenti in Turchia non sono ancora morti, ma sono stati gravemente feriti. La repressione deve finire. I giornalisti e gli altri operatori dei media devono essere liberati da estese e punitive carcerazioni preventive. Devono poter fare il loro lavoro, perché il giornalismo non è un crimine.
Con oltre 120 giornalisti e altri operatori dei media in prigione, varie migliaia di disoccupati per la chiusura di oltre 160 aziende del settore, l’effetto dell’ultima ondata di erosione della libertà di stampa è chiaro: il giornalismo indipendente, in Turchia, è sull’orlo di un precipizio.
Il 16 febbraio 2018 è stato il giorno nero per la libertà di stampa e la giustizia in Turchia. Nello stesso momento in cui si festeggiava il rilascio di Deniz Yűcel, il corrispondente da Istanbul del quotidiano tedesco “Die Welt” che ha trascorso la maggior parte dei 367 giorni di carcere in isolamento, la Corte del 26° Tribunale penale di Istanbul condannava all’ergastolo senza possibilità di rilascio anticipato, sei giornalisti tra i quali Nazlı Ilıcak e i fratelli Ahmet e Mehmet Altan.
Firma ora per chiedere alla Turchia di porre fine a questa repressione.
Le condizioni di detenzione di giornalisti e addetti all’informazione sono restrittive: questi detenuti nel migliore dei casi, possono ottenere incontri monitorati, non possono ricevere lettere o libri, solo i parenti più stretti possono fargli visita una volta a settimana, attraverso un vetro e per mezzo di un telefono; non è consentita alcuna relazione con altri prigionieri se non con i compagni di cella.
I racconti di alcuni di loro, spiegano meglio di ogni altro esempio, le condizioni di isolamento e punitive a cui sono costretti.
La storia di Ahmet Şık (in detenzione dal 29 dicembre 2016)
“L’arresto di Ahmet è un messaggio rivolto agli altri, a quelli che sono all’esterno: chiedete se ne avete il coraggio, parlatene se ne avete il coraggio“. Yonca Verdioğlu, moglie di Ahmet
Ahmet Şık è un giornalista investigativo di lungo corso e non è estraneo a persecuzioni e arresti per motivi politici. È stato tenuto in prigione per più di un anno nel 2011 per aver scritto un libro sulla presunta infiltrazione nelle strutture statali da parte dei seguaci di Fethullah Gülen, all’epoca alleato del governo.
Nel dicembre 2016, Ahmet è stato di nuovo messo in custodia cautelare – ovvero arrestato in attesa del processo – questa volta con l’accusa di aver fatto propaganda per il PKK e per quella che il governo chiama FETÖ (Organizzazione terroristica di Fethullah Gülen). All’inizio, Ahmet è stato tenuto per due giorni in una cella sporca nella prigione di Metris, a Istanbul, senza accesso ad acqua potabile.
La sera del 9 marzo 2017, dopo aver trascorso oltre 500 giorni in detenzione preventiva, Ahmet Şık è stato rilasciato su cauzione. Con lui è stato rilasciato anche il direttore del quotidiano Cumhuriyet Murat Sabuncu.
La storia di Aslı Erdoğan (in detenzione dal 16 agosto al 29 dicembre 2016)
“Alla stazione di polizia mi hanno messo in una cella di 2 metri per 4 con altre tre donne. Non c’erano né finestre né luci… Ci era permesso solo usare il bagno, dietro loro concessione quando ne avevamo bisogno. La prima notte non ho dormito“.
La famosa scrittrice Aslı Erdoğan ha trascorso quasi cinque mesi in prigione per il suo ruolo di consigliera volontaria e redattrice per il giornale curdo Özgür Gündem, ormai chiuso. Ufficiali armati e mascherati hanno fatto irruzione nella sua casa alle 3 del pomeriggio e per otto ore hanno perquisito, sequestrando oltre 3.500 libri e taccuini degli ultimi vent’anni. Pur non avendo trovato alcuna prova, l’hanno arrestata con l’accusa di terrorismo.
Quando Asli si è presentata alla corte, si aspettava di essere rilasciata. Dopotutto, non l’avevano perseguita per nessuno dei suoi scritti, non aveva fatto nulla di sbagliato e, come membro del comitato consultivo, non era penalmente perseguibile per i contenuti del giornale. Ma il giudice l’ha rimandata in prigione in attesa di processo. Asli, inoltre, soffre di malattie croniche che sono peggiorate in detenzione.
“In prigione la più grande tortura era il freddo, da settembre in poi. Una volta sono stata messa in una grande stanza con altre 20 donne. La loro presenza mi ha tenuta in vita.”
Aslı Erdoğan è stata in seguito oggetto di un rilascio condizionato, ma le accuse di terrorismo non sono ancora cadute.
“Dal giorno del mio rilascio, non scrivo e non penso di scrivere un articolo. Cerco solo di stare meglio. In prigione dovevo andare avanti. Ora sento l’impatto fisico che quest’esperienza ha avuto su di me.”
La storia di Kadri Gürsel (in detenzione dal 31 ottobre 2016 al 26 settembre 2017)
“Mio marito sta pagando un caro prezzo per aver espresso le sue opinioni. Nostro figlio di 10 anni ha visto il padre una sola volta da quando è stato arrestato. Non capisce cosa ci stia accadendo” Nazri, moglie di Kadri
Kadri Gürsel, veterano del giornalismo, è uno dei nove dipendenti del quotidiano Cumhuriyet arrestati lo scorso novembre. Ha alle spalle 30 anni di carriera in cui si è occupato soprattutto di relazioni internazionali. Nel 1995 è stato rapito dal PKK e tenuto nascosto per 26 giorni. Più tardi, ha pubblicato un libro su quell’esperienza, intitolato Quelli sui monti.
Ora è accusato di terrorismo a causa di un editoriale pubblicato a luglio, poco prima del tentato golpe, intitolato ‘Erdogan vuole essere nostro padre’. Nell’articolo, Gürsel sostiene che Erdoğan vuole imporsi sulla popolazione con la forza, suggerendo come giusta reazione una ribellione come quella contro Mohamed Bouazizi in Tunisia. Gürsel ha dichiarato alla corte che il suo era “humor nero”.
“Ci fossero state prove, il processo avrebbe già avuto luogo. Ma il tempo passa e il nostro arresto sembra più una punizione”, ha scritto il 25 gennaio all’Associazione dei giornalisti.
Dopo 11 mesi di prigione nel carcere di Silivri, lo scorso 26 settembre il giornalista turco Kadri Gürsel è stato liberato, anche se il suo processo deve ancora concludersi, e rischia di tornare in prigione per diversi anni.
La storia di Ahmet Altan (in carcere preventivo dal 23 settembre)
“Che io sappia, nella legge contano i fatti, e, se un fatto costituisce un crimine, se ne portano le prove. Io sto affrontando un’accusa terribile per la quale non c’è alcuna prova”
Ahmet Altan è uno scrittore ed è l’ex direttore del giornale Taraf, ora chiuso. A settembre, è stato arrestato insieme a suo fratello Mehmet Altan, accademico e commentatore, con l’accusa di “mandare messaggi subliminali” agli organizzatori del golpe durante una trasmissione televisiva che ricostruiva la cronologia del tentato golpe.
Ahmet è stato rilasciato 12 giorni dopo, ma solo per essere riarrestato il giorno dopo come presunto “membro di una organizzazione terroristica” e “per aver attentato alla stabilità del governo”.
In prigione, non gli è in alcun modo consentito di comunicare per iscritto con nessuno e i suoi colloqui con gli avvocati sono rari e monitorati. Il suo legale, Veysel Ok, ha detto ad Amnesty International: “I fratelli Altan sono stati arrestati -presumo deliberatamente – un giorno prima delle feste di Eid. Così, il procuratore è stato in ferie per 12 giorni, il che ha comportato che la sua decisione non potesse essere modificata e che io non abbia potuto vedere il mio cliente per i primi cinque giorni”.
Il 16 febbraio 2018 il tribunale ha condannando all’ergastolo sia Ahmet Altan che l’economista Mehmet Altan, suo fratello. È amaramente ironico essere condannati per aver tentato di rovesciare l’ordine costituzionale quando, nel caso di Mehmet Altan, appena un mese fa la Corte costituzionale aveva stabilito che la sua detenzione violava il diritto alla libertà d’espressione.
Il tribunale che ha emesso gli ergastoli ha respinto la sentenza e aggirato la Costituzione, assecondando le critiche mosse dal governo.
#1: la Turchia arresta più giornalisti di ogni altro paese al mondo (1/3 dei giornalisti arrestati nel mondo si trova in Turchia).
120+ giornalisti restano in prigione a seguito della repressione post-golpe.
160+ aziende del settore sono state chiuse da allora.
La Turchia si è aggiudicata un titolo poco glorioso: secondo la Commissione per la protezione dei giornalisti, è il paese con più arresti di giornalisti al mondo. Lo stato d’emergenza, tuttora operante, è stato dichiarato a luglio a seguito di un violento tentativo di golpe, di cui le autorità accusano i seguaci del religioso Fethullah Gülen.
Un terzo dei giornalisti, operatori dei media e conduttori televisivi imprigionati nel mondo si trova nelle prigioni turche. Alcuni sono rimasti in prigione per mesi e nella maggioranza dei casi senza processo. Giornalisti di ogni ramo sono presi di mira in una repressione senza precedenti, che colpisce tutti i mezzi di comunicazione dell’opposizione.
Tutto ciò, associato alla chiusura di oltre 160 agenzie di informazione, manda un messaggio chiaro e inquietante e che ha effetti concreti sulla libertà di stampa: lo spazio per il dissenso è sempre più piccolo e chi lo valica lo fa a un costo incommensurabile.
L’erosione della libertà di stampa non è una cosa nuova in Turchia. Nel 2013, quando scoppiarono a Istanbul le grandi manifestazioni di Gezi Park, un importante canale trasmise un documentario sui pinguini anziché un servizio giornalistico. Molti giornalisti hanno perso il lavoro per aver deluso le autorità, le testate critiche nei confronti del governo sono state rifondate e la loro linea editoriale modificata e resa più compiacente.
Con oltre 120 giornalisti e altri operatori dei media in prigione, varie migliaia di disoccupati per la chiusura di oltre 160 aziende del settore, l’effetto dell’ultima ondata di erosione della libertà di stampa è chiaro: il giornalismo indipendente, in Turchia, è sull’orlo di un precipizio. Gli editorialisti e i talk show più popolari contengono solo leggere critiche, non punti di vista realmente diversi, per paura di essere arrestati per aver criticato le autorità.
“Adesso so che mi hanno imprigionato per insegnarmi una lezione – e quella lezione l’ho imparata”, ha detto la famosa scrittrice Aslı Erdoğan.
Minister of Justice Bekir Bozdağ
Ministry of Justice
06659 KIZILAY / ANKARA
Turkey
ozelkalem@adalet.gov.tr
Egregio Sig. Ministro,
le scrivo per sollecitarla ad assicurare che tutti i giornalisti e gli operatori dei media che sono in detenzione preventiva a seguito del violento tentativo di colpo di stato del 15 luglio – alcuni da oltre sei mesi – vengano immediatamente liberati.
Sebbene sia diritto e dovere del governo indagare sul tentato golpe dell’estate scorsa e combattere il terrorismo, è responsabilità delle autorità anche assicurare che i diritti umani fondamentali non siano violati e che il diritto alla libertà di espressione sia rispettato.
La lunga carcerazione di oltre 120 giornalisti ed altri operatori dei media, in attesa di processo dal luglio scorso, è arbitraria e punitiva. Questa cifra scioccante fa della Turchia il paese con il più alto numero di giornalisti arrestati al mondo. Sono preoccupato perché costoro stanno affrontando infondate accuse di terrorismo volte a intimidirli e ad ostacolarli nell’esercizio della loro professione e della loro libertà di espressione.
Le chiedo di fare quanto in suo potere per promuovere i principi fondamentali della libertà di espressione e dell’equo processo, e di assicurare che nessun prigioniero sia detenuto in condizioni inumane e degradanti.
La ringrazio per l’attenzione.