Prigionieri di coscienza: continuano a restare in carcere in condizioni sempre più pericolose

4 Maggio 2020

KHALED DESOUKI/AFP via Getty Images

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In un momento nel quale il Covid-19 si sta diffondendo nel mondo, le prigioni sono luoghi ancora più pericolosi ed è più importante che mai che i governi proteggano i detenuti.

A destare preoccupazione è anche la condizione di numerosi prigionieri di coscienza: persone ingiustamente in carcere solo per aver esercitato in modo pacifico i loro diritti.

I prigionieri di coscienza non hanno commesso alcun reato eppure continuano a restare dietro le sbarre in condizioni sempre più pericolose – ha dichiarato Sauro Scarpelli, vicedirettore delle campagne di Amnesty International. Il sovraffollamento e la mancanza di servizi igienico-sanitari in molti centri di detenzione del mondo rende impossibile l’adozione di misure di protezione dalla pandemia, come la distanza fisica e il lavaggio regolare delle mani. L’ingiustificata detenzione mette queste persone ancora più in pericolo“.

Il nostro impegno in difesa dei prigionieri di coscienza

La nostra storia inizia proprio quando l’avvocato Peter Benenson, nel 1961, sul quotidiano inglese The Observer ricordava la necessità di agire in difesa di quelle persone ingiustamente in carcere per il loro attivismo in difesa dei diritti umani.

Oggi sono circa 150 i casi di prigionieri di coscienza che seguiamo e per i quali ci battiamo.

Tra le storie emblematiche, quella di Rubén González, un sindacalista del Venezuela arrestato il 29 novembre 2018 dopo aver manifestato in modo pacifico per chiedere migliori condizioni di lavoro nell’azienda mineraria di stato in cui era assunto.

González è stato processato da un tribunale militare, in violazione del suo diritto a un processo equo, e condannato a cinque anni e nove mesi di carcere per aggressione a un funzionario militare. Si è trattato di un processo politico in cui non è emersa alcuna credibile prova a suo carico. González soffre di ipertensione e insufficienza renale ed è dunque soggetto a rischio di contagio da Covid-19.

Nasrin Sotoudeh, avvocata dell’Iran arrestata il 13 giugno 2018, è stata condannata a 38 anni e sei mesi di carcere e a 148 frustate al termine di due processi gravemente irregolari. Attraverso il cumulo di condanne, il periodo effettivo di carcere da scontare è di 17 anni.

Per il suo attivismo contro la pena di morte e soprattutto per essersi opposta alle leggi che obbligano a indossare il velo in pubblico, Sotoudeh è stata giudicata colpevole di “incitamento alla corruzione e alla prostituzione” e di “commissione volontaria di un atto peccaminoso” consistente nell’apparire in pubblico senza il velo.

Tra le prove a suo carico, figurano attività del tutto legittime: essersi tolta il velo durante le visite alle sue clienti detenute, aver rilasciato interviste sulle violenze subite dalle donne che protestavano contro l’obbligo del velo, durante gli arresti e nella loro successiva detenzione, e l’appartenenza a gruppi per i diritti umani come la Campagna per la progressiva abolizione della pena di morte.

Emir-Usein Kuku è un tataro della Crimea impegnato nelle indagini e nelle denunce sulle violazioni dei diritti umani, tra cui le sparizioni forzate, verificatesi durante l’occupazione russa della penisola ucraina.

Arrestato nel febbraio 2016, il 12 novembre di quell’anno un tribunale militare russo lo ha giudicato colpevole di reati di terrorismo. Insieme a lui sono stati condannati cinque co-imputati (Muslim Aliev, Vadim Siruk, Enver Bekirov, Arsen Dzhepparov and Refat Alimov), a pene varianti da sette a 19 anni di carcere.

La detenzione ingiustificata di chiunque durante una pandemia globale è un atto crudele e gravemente irresponsabile. I diritti umani per tutti devono essere al centro della risposta al Covid-19 e la bussola dei nostri tentativi di costruire un futuro giusto e di tolleranza nel periodo post-pandemia, in cui ogni persona possa esprimere liberamente e pacificamente le sue opinioni“, ha concluso Scarpelli.