Vergognosa risposta del mondo alla crisi dei rifugiati siriani

5 Dicembre 2014

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In un documento diffuso alla vigilia della conferenza delle Nazioni Unite che si terrà a Ginevra il 9 dicembre, Amnesty International ha denunciato l’assenza di protezione da parte dei leader mondiali verso i più vulnerabili tra i rifugiati siriani e il conseguente rischio di effetti catastrofici.

Il documento, intitolato ‘Lasciati al freddo: i rifugiati siriani abbandonati dalla comunità internazionale’, evidenza il vergognoso numero di posti per il reinsediamento offerti dalla comunità internazionale. Circa 3,8 milioni di rifugiati si trovano nei cinque principali paesi dell’area: Turchia, Libano, Giordania, Iraq ed Egitto. Solo all’1,7 per cento di loro, il resto del mondo ha offerto protezione dall’inizio della crisi, risalente a oltre tre anni fa.

Gli stati del Golfo – tra i quali figurano alcuni dei paesi più ricchi del mondo – non hanno offerto un solo posto ai rifugiati siriani. Lo stesso hanno fatto Russia e Cina. Se si esclude la Germania, il resto dell’Unione europea si è impegnata a reinsediare un risibile 0,17 per cento dei rifugiati.

‘Il numero dei posti per il reinsediamento offerti dalla comunità internazionale ai rifugiati siriani è davvero scioccante. L’agenzia dell’Onu per i rifugiati ha identificato circa 380.000 persone per le quali è necessario il reinsediamento, eppure ad appena una minima frazione di loro è stato offerto un riparo altrove’ – ha dichiarato Sherif Elsayed-Ali, direttore del programma Diritti dei rifugiati e dei migranti di Amnesty International.

‘Il Programma alimentare mondiale ha annunciato negli ultimi giorni che è stato costretto a sospendere la fornitura di aiuti alimentari a 1,7 milioni di rifugiati siriani a causa della crisi finanziaria, segno rivelatore dell’infima risposta della comunità internazionale’ – ha aggiunto Elsayed-Ali.

La completa assenza di posti per il reinsediamento da parte dei paesi del Golfo è particolarmente riprovevole. I legami linguistici e religiosi dovrebbero porre quei paesi in prima linea nell’offerta di un rifugio sicuro a coloro che fuggono dalla persecuzione e dai crimini di guerra in Siria’ – ha sottolineato Elsayed-Ali.

In Libano, un paese dall’economia precaria e un crescente debito, l’afflusso dei rifugiati siriani ha incrementato la popolazione del 26 per cento. Il numero dei rifugiati ospitati è 715 volte superiore a quello dei siriani che hanno ottenuto asilo o reinsediamento nell’Unione europea negli ultimi tre anni.

L’assenza di sostegno internazionale ha avuto effetti disastrosi nei principali cinque paesi ospitanti, in cui si trova attualmente almeno il 95 per cento dei rifugiati siriani. Negli ultimi mesi, Turchia, Libano e Giordania hanno imposto forti limitazioni all’ingresso dei rifugiati, costringendo molti di loro a rimanere intrappolati in Siria, nel costante pericolo di subire violazioni dei diritti umani da parte delle forze governative, dal gruppo Stato islamico e da altri gruppi armati.

Amnesty International chiede che entro il 2015 almeno il cinque per cento dei rifugiati siriani venga reinsediato e che una percentuale analoga sia reinsediata entro il 2016. In questo modo, potrebbero essere ricompresi coloro che attualmente sono considerati bisognosi di reinsediamento dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati. Tra i rifugiati che necessitano il reinsediamento vi sono sopravvissuti alla tortura, minori non accompagnati e persone in gravi condizioni di salute.

‘La conferenza della prossima settimana dev’essere l’occasione per invertire rotta. È giunto il momento che i governi prendano coraggio per condividere le responsabilità della crisi e contribuiscano a evitare ulteriori sofferenze. Se un piccolo paese con un’economia debole e un debito elevato può gestire l’incremento di un quarto della sua popolazione, altri possono fare certamente di più’ – ha detto Elsayed-Ali.

Sebbene alcuni dei paesi più ricchi del mondo, come Usa, Regno Unito e Kuwait, abbiano generosamente contribuito alla risposta umanitaria dell’Onu alla crisi dei rifugiati siriani, ciò da solo non basta.’I paesi non possono lavarsi la coscienza dando un contributo economico e poi disinteressarsi del problema. Senza una fine in vista del conflitto siriano e con scarse probabilità per i rifugiati di tornare a casa nel breve periodo, il reinsediamento è fondamentale per aiutare le persone più vulnerabili e alleviare il peso che attualmente ricade sui paesi ospitanti della regione’ – ha spiegato Elsayed-Ali.

Solo una piccola parte degli impegni per il reinsediamento già presi è stata realmente realizzata. Alla fine di agosto, solo 7000 rifugiati bisognosi di reinsediamento secondo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati erano effettivamente giunti nei paesi di destinazione.

‘L’apatia di alcuni dei paesi più ricchi del mondo è stata esacerbata dalle paure agitate in Europa sull’aumento dei livelli dell’immigrazione. Chi ha i mezzi economici deve giocare un ruolo più grande’ – ha proseguito Elsayed-Ali.

Negli ultimi tre anni, il numero effettivo dei siriani che hanno raggiunto l’Europa per chiedere asilo è stato di circa 150.000 persone, grosso modo il numero dei siriani che in una sola settimana di settembre sono entrati in Turchia per fuggire all’avanzata dello Stato islamico sulla città di Kobane.

Leggi ‘- Fatti e cifre sulla crisi dei rifugiati e reinsediamento internazionale’

Ulteriori informazioni

All’interno dell’Unione europea, Svezia e Germania ospitano il numero maggiore di richiedenti asilo siriani. Negli ultimi tre anni, questi due paesi hanno ricevuto 96.500 nuove richieste di asilo, il 64 per cento di quelle presentate complessivamente nell’Unione europea.

Inoltre, i posti per il reinsediamento che la Germania si è impegnata a mettere a disposizione rappresentano quasi la metà del totale. Se si esclude la Germania, i cinque paesi più grandi dell’Unione europea (Regno Unito, Francia, Italia, Spagna e Polonia) si sono impegnati a offrire appena 2000 posti, ossia lo 0,001 per cento della somma delle loro popolazioni.

FINE DEL COMUNICATO                            Roma, 5 dicembre 2014

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