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Sanaa Seif, sorella dell’attivista e prigioniero di coscienza egiziano Alaa Abdelfattah, è stata rapita il 23 giugno da persone in borghese scese da un minibus.
Erano le 14 ora locale e il fatto è avvenuto fuori dagli uffici della Procura di El Rehab, nella Nuova Cairo. In quel momento Sanaa Seif si trovava insieme all’altra sorella Mona e alla loro madre, Laila Souef. Col loro avvocato, le tre donne si stavano apprestando a sporgere denuncia contro ignote per l’aggressione e la rapina che avevano subito il giorno prima ai cancelli della prigione di Tora, dove è detenuto Alaa Abdelfattah e c’è anche Patrick Zaky.
Laila Souef e Mona e Sanaa Seif erano ferme di fronte all’ingresso della prigione da due giorni, in attesa che venisse loro consegnata una lettera del congiunto. L’ultima l’avevano ricevuta tre settimane prima, a seguito di un’analoga protesta.
A causa del coronavirus, la visite familiari nelle prigioni sono vietate dall’inizio di marzo.
Nel tardo pomeriggio Sanaa Seif è comparsa negli uffici della Procura suprema per la sicurezza dello stato ed è stata interrogata sulle accuse, mosse nei suoi confronti, di “diffusione di notizie false”, “incitamento a compiere reati di terrorismo” e “uso improprio dei social media”.
Amnesty International ha sollecitato il governo egiziano a garantire il rilascio immediato Sanaa Seif, a indagare sul rapimento odierno e sull’aggressione subita il giorno precedente, ad assicurare il regolare scambio di corrispondenza tra i familiari e Alaa Abdelfattah e a scarcerare quest’ultimo, in detenzione arbitraria dal settembre 2019.