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Il 4 agosto 2020 una devastante esplosione al porto di Beirut causò la morte di almeno 236 persone, il ferimento di oltre 7000 e la devastazione di ampie zone della capitale libanese.
Si trattò della più grande esplosione non nucleare della storia.
Nonostante ripetute richieste, a livello nazionale e internazionale, di accertarne le responsabilità sul piano giudiziario, non sono state portate a termine indagini efficaci, indipendenti e imparziali.
Nel febbraio di quest’anno, dopo anni di sospensione, le indagini condotte dal giudice Tarek Bitar sono ripartite ma restano le incognite legate a ostacoli e interferenze da parte di leader politici e funzionari statali, che sin qui hanno rifiutato comparire agli interrogatori e hanno denunciato lo stesso giudice. Si segnala in particolare l’accanimento dell’ex procuratore dello stato Ghassan Oueidat, indagato da Bitar. Il suo successore ad interim, Jamal Hajjar, è parso maggiormente collaborativo.
Per la prima volta hanno accettato di rispondere agli interrogatori l’ex primo ministro Hassan Diab e i generali Abbas Ibrahim e Tony Saliba. Al contrario, lo stesso Oueidat e due parlamentari, Ali Hassan Khalil e Ghazi Zaiter, rifiutano tuttora di essere interrogati.
La mancanza di giustizia sta procurando alle famiglie delle vittime un dolore insopportabile.
Amnesty International e Human Rights Watch hanno sollecitato le autorità libanesi a collaborar a tutti i livelli allo sviluppo dell’indagine in modo che essa possa accertare, lungo tutta la catena delle responsabilità, se vi siano state condotte criminali che hanno determinato la mancata protezione delle vite umane nella tragica esplosione di cinque anni fa.