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“Ero solo una ragazza che dichiarava di essere stata stuprata“.
Denunciare uno stupro e ottenere protezione in Danimarca è estremamente difficile.
Delle donne che, nel 2017, sono state stuprate o soggette a un tentato stupro (da 5.100 per il ministero della Giustizia fino a 24.000 secondo un recente studio), solo 890 si sono presentate alla polizia: 535 denunce hanno dato luogo a indagini e solo 94 a condanne.
Alla base di questo basso livello di condanne vi sono pregiudizi profondamente radicati all’interno del sistema giudiziario, la mancanza di fiducia nel sistema nel suo complesso, il timore di non essere credute e il senso di auto-colpevolizzazione.
La Danimarca ha uno dei più alti tassi di stupro in Europa, leggi inadeguate, miti e stereotipi di genere diffusi e pericolosi. Tutto questo conduce, inevitabilmente, a un’impunità endemica per gli stupratori.
Queste evidenze sono il frutto del rapporto intitolato “Dateci rispetto e giustizia! Come superare gli ostacoli alla giustizia per le sopravvissute allo stupro in Danimarca“, nel quale riveliamo che le donne e le ragazze nel Paese sono tradite da leggi pericolose e antiquate e spesso non denunciano le aggressioni per la paura di non essere credute, a causa dello stigma sociale e per la mancanza di fiducia nel sistema giudiziario.
Il rapporto si basa su 18 interviste a donne e ragazze di età superiore a 15 anni che hanno vissuto l’esperienza dello stupro e su incontri con Ong, esperti e autorità, ha rivelato che per le sopravvissute l’esperienza della denuncia e degli eventi successivi è immensamente traumatizzante.
Molte donne devono affrontare atteggiamenti minimizzanti, pregiudizio e attribuzione della colpa. Hanno paura di non essere credute e addirittura di essere incolpate da parte degli agenti di polizia e dei rappresentanti della giustizia è tra le prime ragioni per cui non viene denunciato lo stupro.
Kirstine, 39 anni, giornalista, ha tentato di presentare denuncia per quattro volte. Alla seconda, è stata messa in una cella di una stazione di polizia e minacciata di finire in carcere se stesse dichiarando il falso.
Ha provato “ulteriore paura, vergogna e umiliazione. Se avessi avuto 20 anni, non sarei andata oltre il primo tentativo”, ci ha raccontato.
Un’altra donna ha descritto il clima d’intimidazione all’interno di una stazione di polizia: “Ero solo una 21enne, di fronte a me c’erano due uomini che mi guardavano e mi chiedevano se fossi davvero sicura di sporgere denuncia. Ero solo una ragazza che ‘dichiarava di essere stata stuprata“.
Il comportamento degli agenti di polizia è spesso al di sotto tanto delle Linee guida nazionali sulla gestione dei casi di stupro, quanto degli standard internazionali.
Le donne e le ragazze che denunciano lo stupro passano molto tempo nelle aule di tribunale e l’esperienza può risultare terrificante e del tutto inaccettabile.
Emilie ci ha detto di essere certa che non si recherebbe alla polizia se fosse stuprata di nuovo: “Quando in tribunale ti fanno pressioni è come riprovare tutto una seconda volta. Alla fine ti senti peggio nei confronti di te stessa, pensi che sia stato un tuo errore, che sia stata tu ad aver fatto qualcosa di male“.
“Nonostante l’immagine della Danimarca come paese dell’uguaglianza di genere, per le donne la realtà è profondamente differente, dati gli scioccanti elevati livelli di violenza sessuale e la vigenza di leggi antiquate sullo stupro che non rispettano gli standard internazionali“, ha dichiarato Kumi Naidoo, segretario generale di Amnesty International.
Ai sensi della Convenzione di Istanbul, ratificata dalla Danimarca nel 2014, lo stupro e altri atti sessuali non consensuali devono essere classificati come reati penali. Tuttavia, la legislazione danese non definisce lo stupro sulla base dell’assenza del consenso ma sulla presenza di violenza fisica, di minacce o coercizione o sull’impossibilità per la vittima di opporre resistenza.
La presunzione, secondo la legge e la prassi, che una vittima abbia dato il consenso perché non aveva fatto resistenza fisica è profondamente problematica dato che “la paralisi involontaria” o il “raggelamento” sono riconosciuti dagli esperti come una risposta fisica e psicologica assai comune di fronte a un’aggressione sessuale.
Porre l’attenzione sulla resistenza e sulla violenza anziché sul consenso ha conseguenze non solo sulla denuncia di uno stupro ma anche sulla più ampia consapevolezza della violenza sessuale: in entrambi i casi si tratta di aspetti-chiave nella prevenzione dello stupro e nel contrasto all’impunità.
Abbiamo analizzato le leggi sullo stupro in vigore in 31 stati europei, verificando che sono basate sul consenso solo in otto di questi: Belgio, Cipro, Germania, Irlanda, Islanda, Lussemburgo, Regno Unito e Svezia.
Il governo danese ha istituito di recente un gruppo di esperti per raccomandare iniziative che aiutino le sopravvissute allo stupro a ricevere sostegno e trattamento professionale adeguati quando affrontano il sistema giudiziario.
Riteniamo che il governo debba assumere iniziative più coraggiose e modificare la legislazione in modo che sia basata sul consenso.
Sebbene emendare l’attuale legge sarebbe un passo avanti fondamentale per cambiare le abitudini e ottenere giustizia, occorre molto altro per cambiare davvero le cose dal punto di vista sociale e istituzionale.
Le autorità devono assumere iniziative di legge per assicurare che i miti e gli stereotipi di genere sullo stupro siano contrastati a ogni livello della società e che gli operatori professionali che lavorano con le sopravvissute allo stupro ricevano formazione adeguata e continua nel tempo. Inoltre, occorrono programmi di educazione sessuale e accrescimento della consapevolezza già nell’età giovanile.
In Danimarca continuiamo a chiedere a gran voce leggi basate sul consenso. La Danimarca potrebbe rispondere presto così come Finlandia, Grecia, Portogallo, Slovenia e Spagna che stanno valutando questa modifica legislativa.