Alla gran camera della Corte europea dei diritti umani il ricorso contro la sorveglianza di massa del governo britannico

6 Febbraio 2019

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Il 5 febbraio la Gran camera della Corte europea dei diritti umani ha annunciato che esaminerà il ricorso di Amnesty International, Liberty, Privacy International e altre 11 organizzazioni internazionali per i diritti umani contro i poteri di sorveglianza di massa del governo del Regno Unito.

Dopo quella favorevole conseguita il 13 settembre 2018 presso una Camera di grado inferiore, le 14 organizzazioni e due singole persone ricorrenti intendono ottenere una sentenza definitiva che possa porre fine alle massicce intercettazioni delle comunicazioni rivelate oltre cinque anni prima da Edward Snowden.

La precedente sentenza aveva stabilito che il sistema di intercettazioni britannico violava il diritto alla privacy e quello alla libertà d’espressione, protetti rispettivamente dall’articolo 8 e dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti umani.

La sentenza non aveva però giudicato complessivamente illegali i poteri di intercettazione e la condivisione, tra servizi d’intelligence, delle comunicazioni intercettate. Per questo motivo, i ricorrenti avevano chiesto alla Corte europea di sottoporre il caso alla sua Camera più alta.

Megan Goulding, avvocata di Liberty, ha dichiarato:

“Il regime di sorveglianza del governo britannico ha gravemente compromesso la nostra libertà. Spiare un enorme numero di persone non sospettate di alcunché viola il diritto alla privacy e alla libertà d’espressione e non può mai essere legale”.

“Siamo soddisfatti di avere l’opportunità di dimostrare che la sorveglianza indiscriminata di stato è incompatibile con i nostri diritti. C’è bisogno di un sistema di sorveglianza mirato e basato sul rispetto dei diritti, non di uno che tratta chiunque come un sospetto mentre porta avanti la sua vita quotidiana”.

Lucy Claridge, direttrice del programma Ricorsi strategici di Amnesty International, ha commentato:

“Il sistema di sorveglianza di massa del governo di Londra va oltre ogni limite. Va riconosciuto che i diritti delle persone alla privacy e alla libertà d’espressione non sono beni di lusso. La prassi di sorvegliare indiscriminatamente e senza autorizzazione giudiziaria deve finire e questo caso presenta alla Corte europea dei diritti umani la possibilità di cambiare le cose”.

“La sorveglianza di massa su scala industriale rende incredibilmente difficile per organizzazioni come Amnesty International portare avanti il loro lavoro fondamentale sui diritti umani: esse devono cercare e ricevere informazioni di pubblico interesse dalle loro fonti confidenziali senza subire intrusioni da parte del governo”.

Caroline Wilson Palow, consulente generale di Privacy International, ha aggiunto:

“Il governo britannico continua a intercettare quantità enormi di traffico in rete al di qua e al di là dei confini e ad avere accesso ad analoghi volumi di informazioni intercettate da quello statunitense. Chiediamo alla Corte di respingere queste pratiche e di dichiararle incompatibili coi diritti alla privacy e alla libertà d’espressione che sono al cuore della Convenzione europea dei diritti umani”.

Ulteriori informazioni

Il caso è iniziato nel 2013, dopo che Edward Snowden aveva rivelato che, attraverso il programma Tempora, il Quartier generale delle comunicazioni (Gchq) stava segretamente intercettando, elaborando e archiviando dati riguardanti le comunicazioni private di milioni di persone, anche se queste evidentemente non erano di alcun interesse dal punto di vista dell’intelligence.

Snowden aveva anche denunciato che il governo di Londra aveva accesso a comunicazioni e dati raccolti dall’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Usa e dalle agenzie d’intelligence di altri paesi.

Il tutto avveniva senza consenso né conoscenza dell’opinione pubblica e senza alcuna adeguata salvaguardia.

Le informazioni raccolte e archiviate in questo modo possono rivelare gli aspetti più intimi della vita privata di una persona: chi è, dove va, con chi è in contatto, come la pensa, quali siti Internet visita.

Nel 2014 il Tribunale sui poteri d’indagine – la corte britannica che esamina in segreto le denunce contro il Gchq e i servizi MI5 e MI6 – aveva stabilito che queste prassi in linea di principio potevano essere compatibili con gli obblighi del Regno Unito in materia di diritti umani. Da qui, la decisione di ricorrere alla Corte europea dei diritti umani.

All’inizio del procedimento, il Tribunale sui poteri d’indagine aveva anche scoperto che le agenzie d’intelligence britanniche avevano spiato illegalmente le comunicazioni di Amnesty International e del Centro di risorse legali del Sudafrica e che fino ad allora le agenzie britanniche avevano condiviso in segreto tali informazioni con gli Usa.

Roma, 6 febbraio 2019

A questo link la sentenza del 13 settembre 2018 che ha stabilito che le leggi del Regno Unito che consentono la sorveglianza di massa violano i diritti alla privacy e alla libertà di espressione.

Per interviste:

Amnesty International Italia – Ufficio Stampa

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