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Alla vigilia del primo anniversario delle frustate al blogger Raif Badawi, Amnesty International ha denunciato che negli ultimi 12 mesi la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita è profondamente peggiorata.
Nel 2015 la situazione dei diritti umani in Arabia Saudita da cattiva è andata di male in peggio. E, la settimana scorsa, l’esecuzione di massa di 47 persone in un solo giorno, tra cui il leader sciita Nimr al-Nimr, ha provocato tensione in tutta la regione.
Nonostante la tanto pubblicizzata partecipazione delle donne alle elezioni locali, l’Arabia Saudita ha portato avanti una costante repressione contro gli attivisti per i diritti umani e ha diretto una devastante campagna di bombardamenti aerei in Yemen, nel corso della quale sono state commesse gravi violazioni del diritto internazionale umanitario, compresi crimini di guerra.
‘Un anno dopo lo scandalo sollevato dalla pubblica fustigazione di Raif Badawi, lo stesso blogger e decine di prigionieri di coscienza rimangono in carcere e rischiano di subire pene crudeli a causa del loro pacifico attivismo’ – ha dichiarato James Lynch, vicedirettore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.
‘Sulla base della legge antiterrorismo del 2014, sempre più difensori dei diritti umani vengono condannati ad anni di carcere. Nel frattempo, gli alleati dell’Arabia Saudita sostengono vergognosamente questa repressione, in nome della cosiddetta ‘guerra al terrore” – ha aggiunto Lynch.
Tra le molte persone in carcere c’è l’avvocato di Raif Badawi, Waleed Abu al-Khair, il primo difensore dei diritti umani condannato ai sensi della legge antiterrorismo del febbraio 2014, al termine di un processo iniquo. Decine di altre persone sono state condannate nel 2015 sulla base della stessa legge e a seguito di processi iniqui: tra queste, i difensori dei diritti umani Abdulkareem al-Khoder e Abdulrahman al-Hamid, fondatori dell’Associazione saudita per i diritti civili e politici, movimento indipendente per i diritti umani sciolto dalle autorità.
Le autorità saudite continuano a vietare le associazioni indipendenti per i diritti umani e a condannare i loro fondatori a lunghe pene detentive per aver costituito ‘organizzazioni prive di autorizzazioni’. Ogni raduno pubblico, comprese le manifestazioni pacifiche, è considerato illegale sulla base di un decreto emesso nel 2011 dal ministero dell’Interno.
La legge antiterrorismo del 2014, applicata attraverso la Corte penale speciale – il famigerato tribunale antiterrorismo – viene usata per sopprimere sistematicamente ogni forma di attivismo, anche attraverso le condanne a morte e le esecuzioni di attivisti sciiti al termine di processi gravemente irregolari, come quello nei confronti del leader sciita Nimr al-Nimr, messo a morte insieme a tre attivisti sciiti il 2 gennaio 2016.
Ali al-Nimr, nipote di Nimr al-Nimr, e gli altri due attivisti sciiti Dawood al-Marhoon e Andullah al-Zaher, arrestati quando avevano meno di 18 anni, restano in attesa dell’esecuzione dopo essere stati condannati al termine di processi gravemente irregolari basatisi, secondo quanto hanno denunciato, unicamente su ‘confessioni’ estorte con la tortura. I giudici hanno rifiutato d’indagare sulle loro denunce.
‘La sanguinosa repressione contro ogni forma di dissenso ha visto le autorità saudite confermare le condanne a morte contro questi tre rei minorenni, in flagrante violazione del diritto internazionale e in assenza di altre prove della loro colpevolezza che non fossero le ‘confessioni’ che gli imputati hanno denunciato essere state estorte con la tortura’ – ha sottolineato Lynch.
‘Il tutto, nell’anno in cui l’Arabia Saudita ha aumentato l’orribile ritmo delle esecuzioni, con almeno 151 persone messe a morte tra gennaio e novembre del 2015, il più alto numero dal 1995. Quasi la metà delle esecuzioni è avvenuta per reati che, secondo il diritto internazionale, non dovrebbero essere puniti con la morte’ – ha aggiunto Lynch.
L’Arabia Saudita ha inoltre preso la guida di una coalizione militare che, dal marzo 2015, ha compiuto migliaia di bombardamenti aerei contro le zone dello Yemen controllate dal gruppo armato houti. Gli attacchi hanno ucciso centinaia di civili e colpito obiettivi civili quali strutture mediche, scuole, industrie, centrali elettriche, ponti e strade.
Le ricerche di Amnesty International hanno dimostrato che spesso questi attacchi sono stati sproporzionati o indiscriminati e, in alcuni casi, direttamente mirati contro civili od obiettivi civili. Alcune delle armi usate dalla coalizione a guida saudita contro obiettivi civili sono state prodotte o progettate negli Usa e nel Regno Unito. I governi di Washington e Londra hanno anche fornito assistenza logistica e d’intelligence alla coalizione.
Anche dall’Italia, dopo l’avvio dei bombardamenti in Yemen, sono partite verso l’Arabia Saudita forniture di bombe. Amnesty International ha più volte chiesto al governo italiano, senza esito, la sospensione di questi trasferimenti.
‘Gli alleati dell’Arabia Saudita dovrebbero usare le loro solide relazioni per spingere, anche in forma pubblica, il governo di Riad a migliorare la situazione dei diritti umani e a rispettare il diritto internazionale nella campagna militare in Yemen. Il loro silenzio, mentre continuano a fornire all’Arabia Saudita armi mortali, è semplicemente intollerabile’ – ha concluso Lynch.
Il 9 gennaio 2015 un pubblico ufficiale ha inflitto 50 colpi di frusta a Raif Badawi, in una pubblica piazza di Gedda. Le 50 frustate facevano parte della condanna a 10 anni di carcere e a 1000 frustate ricevuta da Badawi nel maggio 2014 per aver pubblicato un forum online destinato al dibattito pubblico e per aver ‘offeso l’Islam’.
Le successive serie di frustate sono state rinviate, inizialmente per ragioni mediche e poi per cause sconosciute.
Da quando Amnesty International si è occupata del suo caso, con la maratona ‘Write for Rights’ del 2014, oltre un milione di persone si è attivata a sostegno di Raif Badawi. In Italia, l’associazione ha svolto una decina di sit-in di fronte all’ambasciata saudita di Roma, riuscendo a febbraio a consegnare oltre 15mila firme per l’annullamento delle condanne e la scarcerazione del blogger.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 8 gennaio 2016
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