Attacco intenzionale di Israele contro la prigione iraniana di Evin

22 Luglio 2025

Tempo di lettura stimato: 27'

Al termine di un’approfondita indagine, Amnesty International ha dichiarato che l’attacco intenzionale di Israele contro la prigione di Evin, nella capitale iraniana Teheran, costituisce una grave violazione del diritto internazionale umanitario e dev’essere indagato come crimine di guerra.

Video verificati, immagini satellitari, testimonianze oculari e interviste alle famiglie delle persone detenute, nonché a persone che difendono i diritti umani, hanno concordemente contribuito alla conclusione che Israele abbia lanciato più attacchi contro la prigione di Evin, uccidendo e ferendo decine di civili e causando gravi danni e distruzioni in almeno sei zone del complesso penitenziario. Gli attacchi sono avvenuti in un giorno lavorativo e in un orario in cui molte parti del carcere erano piene di civili. Ore dopo, l’esercito israeliano ha confermato gli attacchi e gli alti funzionari israeliani se ne sono compiaciuti sulle piattaforme social. Secondo le autorità iraniane, sono stati uccisi almeno 80 civili: 79 uomini e donne e un bambino di cinque anni.

Ai sensi del diritto internazionale umanitario, una prigione o un luogo di detenzione sono considerati obiettivi civili. Non è emersa alcuna credibile prova, in questo caso, che la prigione di Evin costituisse un legittimo obiettivo militare.

“Dalle prove sono emersi ragionevoli motivi per ritenere che Israele abbia sfacciatamente e intenzionalmente attaccato strutture civili. Attaccare obiettivi civili è rigorosamente vietato dal diritto internazionale umanitario. Compiere consapevolmente e intenzionalmente attacchi del genere è un crimine di guerra”, ha dichiarato Erika Guevara-Rosas, alta direttrice delle campagne e delle ricerche di Amnesty International.

Si ritiene che, al momento degli attacchi, a Evin ci fossero 1500-2000 prigionieri, tra i quali difensori dei diritti umani, manifestanti, dissidenti, fedeli di minoranze religiose perseguitate e cittadini stranieri o con doppio passaporto, questi ultimi spesso imprigionati dalle autorità iraniane per esercitare pressioni diplomatiche. Gli attacchi sono avvenuti durante l’orario delle visite ai prigionieri.

“Le forze israeliane avrebbero dovuto sapere che attaccare la prigione di Evin avrebbe potuto causare danni importanti ai civili. Le autorità giudiziarie di ogni parte del mondo devono assicurare che i responsabili di quegli attacchi mortali siano sottoposti alla giustizia, ricorrendo anche al principio della giurisdizione universale. Le autorità iraniane devono garantire alla Corte penale internazionale giurisdizione su tutti i crimini previsti nello Statuto di Roma commessi sul suo territorio o perpetrati dal suo territorio”, ha aggiunto Guevara Rosas.

Una panoramica della prigione di Evin, le cui mura esterne sono evidenziate in arancione. I sei circoli gialli indicano le aree che hanno riportato le più significative distruzioni, ovvero quelle colpite dalle munizioni. Le esplosioni e i danni che ne sono derivati si estendono su aree più ampie delle sei indicate.

 

Una mappa della prigione di Evin indicante le denominazioni degli edifici o il loro uso, realizzata sulla base di interviste di Amnesty International a ex prigionieri.

Decine di civili uccisi o feriti

Tra le 11 e le 12 del 23 giugno 2025 l’aviazione israeliana ha colpito diversi luoghi nel raggio di 500 metri all’interno della prigione di Evin, distruggendo o danneggiando numerosi edifici o strutture così come abitazioni situate all’esterno.

La prigione di Evin si trova in un’area piena di edifici residenziali vicini ai suoi lati orientale e meridionale. Un abitante del posto ha descritto ad Amnesty International cos’è avvenuto dopo l’attacco:

“Improvvisamente ho sentito un rumore terrificante. Ho guardato dalla finestra e ho visto fumo e polvere salire dalla prigione di Evin. Tanto il rumore quanto il fumo e la polvere che si sollevavano erano terribili. E io che credevo che la nostra abitazione sarebbe stata al sicuro proprio perché era vicina alla prigione… Non ci potevo credere!”

Finora le autorità hanno reso noti i nomi di 57 civili uccisi negli attacchi, tra i quali quelli di cinque operatrici sociali, di 13 ragazzi che stavano svolgendo il servizio militare obbligatorio come guardie penitenziarie o nell’amministrazione, altre 36 persone (30 uomini e sei donne) che lavoravano nella prigione e il figlio di una delle operatrici sociali.

Dopo essere state criticate per non aver fornito dettagli sulle persone detenute, sui loro familiari e sugli abitanti uccisi, il 14 luglio le autorità hanno diffuso un rapporto contenente i nomi di due persone: Mehrangiz Imanpour, un’abitante, e Hasti Mohammadi, una donna che faceva volontariato per raccogliere fondi per saldare i debiti del prigionieri.

Amnesty International aveva già verificato l’uccisione di Mehrangiz Imanpour e aveva ottenuto i nomi di altre tre vittime: Masoud Behbahani (un prigioniero), Leila Jafarzadeh (coniuge di un prigioniero) e Ali Asghar Pazouki (un passante).

Le dichiarazioni auto-incriminanti dei funzionari israeliani

Nel giro di poche ore, sulle piattaforme social, alti funzionari israeliani si sono vantati degli attacchi definendoli “un’azione mirata” contro “un simbolo dell’oppressione per la popolazione iraniana”.

Il ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, ha scritto su X che le forze israeliane avevano attaccato con “una forza senza precedenti obiettivi del regime e organismi governativi della repressione nel cuore di Teheran, compresa la prigione di Evin”.

Qualche minuto dopo, sempre su X il ministro degli Affari esteri Gideoon Sa’ar ha scritto: “Avevamo ammonito l’Iran più volte: non attaccate i civili. Hanno continuato, anche stamattina. La nostra risposta: Donna, Vita Libertà”. Il post era accompagnato da un video, asseritamente proveniente da una telecamera a circuito chiuso della prigione, che ne mostrava l’ingresso saltato in aria.

Analizzando il video, Amnesty International ha verificato che le immagini erano state manipolate digitalmente, probabilmente a partire da una vecchia fotografia dell’ingresso della prigione. Il video è stato inizialmente pubblicato su canali Telegram in lingua persiana, ma l’organizzazione per i diritti umani non ha potuto rintracciare la fonte originale.

Più avanti nel corso della giornata, l’esercito israeliano ha confermato in una dichiarazione di aver compiuto “un attacco mirato” contro “la famigerata prigione di Evin”. La dichiarazione è sembrata giustificare l’azione sottolineando che “nemici del regime” erano detenuti e torturati a Evin e che “operazioni d’intelligence contro lo stato di Israele, comprese quelle di controspionaggio” venivano svolte all’interno della prigione.

Tuttavia, ai sensi del diritto internazionale umanitario, gli interrogatori cui erano sottoposti prigionieri accusati di essere spie di Israele o la presenza di funzionari dell’intelligence iraniana non avrebbero potuto rendere il centro penitenziario un obiettivo militare legittimo.

L’ingresso della prigione e l’ufficio della procura nella zona sud

 

Prima e dopo gli attacchi, in falso colore, immagini satellitari ravvicinate in infrarosso scattate tra il 10 aprile e il 30 giugno mostrano le distruzioni in quattro distinti luoghi interni nella zona centrale e meridionale della prigione di Evin, dove probabilmente sono cadute le munizioni (evidenziati da circoli gialli) e degli incendi (visibili in tonalità di colore nero) in molte zone, probabilmente sviluppatisi a causa di veicoli andati a fuoco e che hanno raggiunto gli edifici situati nella zona.
Si notano le distruzioni dell’ingresso principale nella parte meridionale della prigione e, nella zona orientale, delle mura adiacenti e della sala informazioni per i visitatori. L’edificio a ovest dell’ingresso e il vicino ufficio della procura “Shahid Moghaddas” hanno riportato gravi danni.

Una persona informata dei fatti ha riferito ad Amnesty International che una donna di nome Leila Jafarzadeh, 35 anni, è stata uccisa mentre era all’interno dell’ufficio della procura per pagare la cauzione necessaria per la scarcerazione del marito.

La distruzione dell’ingresso e delle zone circostanti è stata ripresa in un video verificato da Amnesty International, che mostra i soccorritori portare via almeno una persona ferita in barella, scene di distruzione ed estese macerie sul terreno.

Immagini pubblicate dagli organi d’informazione di stato e verificate da Amnesty International mostrano a loro volta danni alle mura dell’ufficio della procura e alla struttura dell’edificio, a riprova che la forza dell’esplosione è stata tale da penetrare all’interno dello stesso.

A sinistra, un’immagine satellitare del 30 giugno mostra uno dei punti (evidenziato da un circolo giallo) dove le munizioni sono probabilmente cadute. Le immagini scattate sul terreno (a destra), geo-localizzate a nord e a sud dell’ingresso della prigione, mostrano vaste distruzioni.

L’ufficio amministrativo e la sezione per i detenuti in quarantena

Più all’interno della zona meridionale della prigione, l’ufficio amministrativo e un edificio più piccolo adibito, secondo un ex prigioniero, a ufficio delle forze di sicurezza della prigione chiamate “Coorte della protezione”, hanno subito danni significativi. Diverse strutture vicine sono state distrutte.

Un’immagine satellitare del 30 giugno mostra danni importanti al tetto della parte occidentale dell’edificio della Coorte della protezione. Si evidenzia anche, a est dell’edificio, la distruzione di un cancello interno, delle mura perimetrali e di due piccole strutture, probabilmente torrette di guardia.

I due luoghi identificati coincidono con le analisi delle immagini video e con le informazioni ricevute dall’ex prigioniera di coscienza Atena Daemi e dall’ex prigioniero di coscienza Hossein Razagh.

Video verificati da Amnesty International mostrano inoltre finestre distrutte, mura collassate e molte macerie nelle parti sinistra e destra dell’ufficio amministrativo. Il primo piano pare pressoché raso al suolo e in più punti si vedono parti mancanti delle mura.

Un’immagine pubblicata dagli organi d’informazione statali e verificata da Amnesty International mostra quello che pare essere un cratere nella parte occidentale dell’ufficio amministrativo e il primo piano crollato dell’edificio.

Secondo quanto reso noto il 6 luglio da un organo d’informazione statale, all’interno dell’ufficio amministrativo sono stati uccisi un uomo e un bambino. Shargh Daily e Hammihan, due noti quotidiani iraniani, hanno fatto i nomi, il 25 giugno e il 1° luglio, di tre vittime: l’operatrice sociale Zahra Ebadi di 52 anni, suo figlio Mehrad Kheiri di cinque anni e l’impiegato Hamid Ranjbari di 40 anni.

A sinistra, un’immagine satellitare del 30 giugno mostra due luoghi (evidenziati da circoli gialli) dove sono probabilmente cadute le munizioni. A destra, immagini riprese sul terreno mostrano ampi danni all’ufficio amministrativo.

Inoltre, un video verificato da Amnesty International mostra i danni riportati dalla sezione per i prigionieri appena entrati in quarantena.

L’ambulatorio medico, la cucina e le sezioni dei prigionieri e delle prigioniere nella parte centrale

Nella parte centrale della prigione di Evin l’ambulatorio medico, la cucina centrale, la sezione 4 degli uomini e la sezione 209 contenente celle d’isolamento per donne e uomini gestite dal ministero dell’Intelligence, nonché la sezione donne, hanno riportato gravi danni.

Le immagini satellitari mostrano danni significativi a strutture adiacenti all’ambulatorio medico così come video verificati rivelano danni allo stesso ambulatorio causati dall’esplosione e dall’incendio di veicoli.

Un video verificato da Amnesty International mostra l’esterno dell’ambulatorio medico ricoperto da fuliggine nera e fumo nero provenienti dalle finestre. Un altro video mostra ampie distruzioni all’interno: finestre in frantumi, letti e attrezzature mediche capovolti e molte macerie.

A sinistra, un’immagine satellitare del 30 giugno mostra due luoghi (evidenziati con circoli gialli) dove sono probabilmente cadute le munizioni. A destra, foto e video geolocalizzati mostrano l’ingresso per i veicoli crollato e l’interno dell’ambulatorio medico fortemente danneggiato, con mura e finestre in frantumi. All’esterno si vedono fumo e gravi danni causati dal fuoco.

Le prove video verificate da Amnesty International confermano le dichiarazioni delle difensore dei diritti umani Narges Mohammadi e Sepideh Gholian, entrambe in Iran, le quali hanno detto ad Amnesty International che più testimoni, dalla prigione di Evin, hanno riferito di estesi danni all’ambulatorio.

Narges Mohammadi ha dichiarato che detenuti della sezione 4, situata di fronte all’ambulatorio, le hanno detto che l’ambulanza della prigione era andata distrutta: ciò è stato anche confermato da video che mostrano veicoli distrutti nei pressi dell’ambulatorio. I prigionieri le hanno anche detto che una persona con gravi ustioni sul corpo è crollata a terra mentre stava fuggendo dall’ambulatorio.

Due prigionieri, Abdolfazi Ghodiani e Mehdi Mahmoudian, sopravvissuti agli attacchi israeliani e poi trasferiti nel Penitenziario maggiore di Teheran, hanno scritto una lettera da questa prigione, diventata pubblica il 1° luglio:

“La prigione di Evin è stata colpita da diverse, consecutive esplosioni, due o tre delle quali nei pressi della sezione 4. Quando i prigionieri sono usciti dalla porta della sezione hanno visto l’ambulatorio medico in fiamme. I prigionieri hanno recuperato dalle macerie 15-20 corpi: personale medico, prigionieri, staff amministrativo, guardie e agenti”.

Saeedeh Makarem, una medica volontaria presso la prigione di Evin, è rimasta ferita riportando anche ustioni. In una serie di post pubblicati su Instagram a luglio ha raccontato come è stata aiutata dai prigionieri:

“Mi hanno trascinato verso l’angolo del muro, ero semi-cosciente. Mi hanno portato acqua e una coperta, steccato una gamba e pulito il volto dal sangue. Avrebbero potuto fuggire, ma non lo hanno fatto. Mi hanno salvata…”

Il dissidente ed ex prigioniero di coscienza Hossein Razagh ha detto ad Amnesty International che i detenuti della sezione 4 gli hanno raccontato che la forza dell’esplosione li ha scagliati contro le mura e che hanno riportato ferite al capo e al volto.

Queste testimonianze sono corroborate da un video verificato da Amnesty International che mostra estesi danni alle parti frontali delle sezioni 4 e 209. Le porte esterne e le finestre delle due sezioni sono a pezzi, parti del tetto sono crollate e si vedono cataste di macerie lungo la strada interna. Molti veicoli sono distrutti e incendiati e le mura di un edificio vicino sono annerite, segno che alcune delle fiamme possono essere partite dai veicoli. Un’immagine satellitare del 30 giugno mostra edifici incendiati e bruciature sui veicoli. Segni neri di bruciature appaiono anche sul tetto della cucina, le cui finestre risultano danneggiate.

Secondo le ricerche di Amnesty International, l’esplosione ha coinvolto anche gli uffici del personale della sezione 209, intrappolando sotto le macerie alcuni agenti e guardie. Le autorità iraniane non hanno fornito alcuna informazione sulla sorte e sulla destinazione delle persone detenute nelle celle d’isolamento della sezione 209, facendo sorgere timori sulla loro possibile morte o sul loro possibile ferimento.

Attraverso una fonte informata dei fatti, Amnesty International ha avuto conferma della morte di un prigioniero della sezione 4, Masoud Behbahani, di 71 anni. Ha avuto un infarto dopo che l’esplosione lo ha scagliato via da una sedia e diversi prigionieri sono caduti sopra di lui. Invece di portarlo in ospedale, le autorità iraniane lo hanno trasferito nel Penitenziario maggiore di Teheran, dove è morto a seguito di un secondo infarto.

Amnesty International ha analizzato anche un’immagine scattata all’interno della sezione femminile in cui si vedono i danni al soffitto e all’impianto elettrico.

Il cancello d’ingresso, il complesso giudiziario, l’edificio per i visitatori e le sezioni nella zona nord

Prima e dopo gli attacchi, in falso colore, le immagini satellitari ravvicinate in infrarosso scattate dal 10 aprile al 27 giugno rivelano la distruzione in due distinti luoghi (evidenziati da circoli gialli) della zona settentrionale della prigione di Evin, dove probabilmente le munizioni sono cadute: le mura di sicurezza interne e la strada di fronte alle sezioni 240 e 241 e l’ingresso settentrionale di fronte all’edificio per le visite e al complesso giudiziario “Shahid Kachouyee”.

Nella zona nord della prigione, come si può vedere nelle immagini satellitari e nei video verificati da Amnesty International, il cancello d’ingresso e le mura adiacenti sono distrutte; la parte frontale dell’edificio che ospita il complesso giudiziario “Shahid Kachouyee” e l’edificio per le visite dei familiari sono ampiamente danneggiati; due mura interne nelle vicinanze delle sezioni 240 e 241 sono distrutte.

Video e fotografie verificati da Amnesty International mostrano inoltre i danni causati dagli incendi a palazzi e veicoli all’esterno della zona nord della prigione. In un video ci sono decine di persone nel panico in via Ahmadpour, almeno una delle quali appare ferita.

Una fonte informata dei fatti ha riferito ad Amnesty International che un’abitante del posto, Mehrangiz Imanpour, una pittrice di 61 anni, è stata uccisa mentre faceva rientro a casa.

Il quotidiano Shargh Daily ha riferito che un altro passante, Ali Asghar Pazouki, 69 anni, è stato ucciso di fronte al complesso giudiziario e all’edificio per le visite. Gli organi d’informazione statali hanno pubblicato fotografie e video dei danni verificatisi nell’area.

A sinistra, un’immagine satellitare del 30 giugno mostra uno dei luoghi (evidenziato da un circolo giallo) dove probabilmente sono cadute le munizioni. A destra, immagini e video geolocalizzati da Amnesty International mostrano estesi danni all’interno e all’esterno dell’edificio per le visite, finestre in frantumi e parti del tetto e della facciata crollate.

Un’immagine satellitare analizzata da Amnesty International mostra la distruzione di una strada e di due mura di sicurezza nella zona nord della prigione, nei pressi di un edificio al cui interno si trovano le sezioni 240 e 241, note per la presenza di centinaia di celle d’isolamento. Tuttavia, non sono reperibili immagini sulle condizioni dell’edificio e le autorità non hanno diffuso alcuna informazione sulla sorte dei prigionieri che si trovavano all’interno.

Amnesty International ha parlato con famiglie di prigionieri che hanno riferito di danni alla sezione 8, vicina alle sezioni 240 e 241. L’avvocata per i diritti umani Nasrin Sotoudeh ha detto ad Amnesty International che il suo coniuge arbitrariamente detenuto, il difensore dei diritti umani Reza Khandan e altri prigionieri sono rimasti feriti a causa delle macerie cadute nel cortile.

Il dissidente politico Mohammad Mourizad, che era nella sezione 8, ha telefonato alla sua famiglia mentre gli attacchi erano ancora in corso. Il contenuto della telefonata è stato diffuso online il 24 giugno:

“Stanno sganciando bombe su di noi. Alcune persone sono ferite, le finestre sono in frantumi, siamo tutti sparpagliati … Adesso hanno colpito ancora. Non so, a me pare una cosa intenzionale. Ma bombardare una prigione è una cosa priva di logica e incompatibile con ogni codice di condotta. Loro [le autorità della prigione] ci hanno chiuso la porta e non abbiamo alcuna notizia”.

Norme e standard del diritto internazionale

Ai sensi del diritto internazionale umanitario, gli attacchi diretti contro civili e obiettivi civili sono vietati. Gli attacchi possono essere diretti solo verso combattenti e obiettivi militari. Questi ultimi sono limitati agli obiettivi che per loro natura, localizzazione, scopo o uso danno un contributo effettivo all’azione militare e la cui distruzione totale o parziale, cattura o neutralizzazione, nelle circostanze vigenti al momento, procurano uno specifico vantaggio militare.

Le forze che attaccano hanno l’obbligo di prendere tutte le misure possibili per proteggere i civili, ad esempio distinguendo tra bersagli militari e obiettivi civili, verificando se l’obiettivo che s’intende colpire sia di natura militare, cancellando un attacco in caso di dubbio, scegliendo mezzi e metodi per attaccare che evitino o almeno minimizzino danni ai civili e fornendo un preavviso effettivo ai civili a meno che le circostanze non lo consentano. Anche quando si prende di mira un legittimo obiettivo militare, un attacco non dev’essere condotto in modo da poter causare danni ai civili che risulterebbero sproporzionati in relazione al vantaggio militare concreto e diretto previsto. Se distinguere tra obiettivi civili e bersagli militari non è possibile, l’attacco non deve avere luogo.

Gli stati responsabili di violazioni del diritto internazionale umanitario hanno l’obbligo di fornire complete riparazioni per le morti o le ferite causate. I “Principi di base e le Linee guida delle Nazioni Unite sul diritto a una riparazione e a un rimedio per le vittime di gravi violazioni del diritto internazionale dei diritti umani e gravi violazioni del diritto internazionale umanitario” prevedono l’obbligo per gli stati di fornire effettivi rimedi e riparazioni alle vittime: ad esempio, risarcimenti, restituzioni, soddisfazione e garanzia di non ripetizione.

Metodologia

L’Evidence Lab di Amnesty International ha analizzato immagini satellitari scattate prima e dopo gli attacchi israeliani e ha verificato 22 video e 59 fotografie, che mostrano vasti danni e distruzioni in sei zone nelle parti settentrionale, centrale e meridionale del complesso penitenziario di Evin.

Inoltre, Amnesty International ha esaminato dichiarazioni delle autorità israeliane e iraniane e ha intervistato 23 persone dentro e fuori l’Iran: sette familiari di prigionieri, un abitante del luogo che ha assistito agli attacchi, due fonti informate sull’uccisione di due persone, due giornalisti e 11 ex prigioniere e prigionieri tra cui dissidenti e persone che difendono i diritti umani e che hanno ricevuto informazioni dai prigionieri all’interno del carcere, da familiari di prigionieri, dallo staff della prigione e da addetti ai soccorsi presenti sul posto. L’organizzazione per i diritti umani ha inoltre ottenuto da un’altra fonte le registrazioni di quattro telefonate intercorse tra altrettanti prigionieri e le loro famiglie nelle ore successive agli attacchi.

Il 3 luglio Amnesty International ha rivolto una serie di domande riguardanti gli attacchi al ministro della Difesa israeliano. Al momento della pubblicazione della sua ricerca, non aveva ricevuto alcuna risposta.

Ulteriori informazioni

Durante l’escalation di ostilità tra Israele e Iran, secondo la Fondazione iraniana per i martiri e i veterani sono state uccise almeno 1100 persone, tra le quali 132 donne e 45 minorenni. Secondo il ministro della Salute israeliano, almeno 29 persone tra cui donne e minorenni sono state uccise in Israele.

Nell’ambito delle sue indagini sulle violazioni del diritto internazionale umanitario e di altre violazioni dei diritti umani durante l’escalation di ostilità tra Israele e Iran, Amnesty International pubblicherà le conclusioni delle sue ricerche sugli attacchi delle forze iraniane contro Israele.

Amnesty International ha lanciato un’azione urgente in favore delle centinaia di persone trasferite dalla prigione di Evin dopo gli attacchi israeliani e attualmente sottoposte a condizioni crudeli e inumane.