Tempo di lettura stimato: 2'
Amnesty International ha sollecitato le autorità colombiane a porre fine alla repressione delle proteste e alla militarizzazione delle città e ad assicurare che i diritti umani siano al centro di ogni proposta politica, compresa la riforma del fisco.
Le proteste sono iniziate il 28 aprile dopo che il presidente Iván Dunque aveva presentato una proposta di riforma del sistema di tassazione. Lo stesso presidente, il 1° maggio, aveva annunciato il dispiegamento dell’esercito e ammonito “coloro che, mediante violenza e atti di vandalismo e terrorismo, cercano di mettere paura alla società”.
Gli esperti in verifiche digitali di Amnesty International hanno convalidato e diffuso immagini sull’uso non necessario ed eccessivo della forza da parte delle forze di sicurezza incaricate di controllare lo svolgimento delle proteste: un modus operandi che, secondo l’organizzazione per i diritti umani, non è sporadico ma costante e che è causa di crimini di diritto internazionale.
Secondo le organizzazioni della società civile colombiana, alla data del 3 maggio la Polizia nazionale aveva ucciso 26 persone e aveva eseguito 761 arresti arbitrari. Si registravano anche 142 casi di maltrattamento, nove di violenza sessuale e 65 di sparizioni di manifestanti.
Amnesty International è in grado di confermare che in diversi casi le forze di sicurezza hanno usato armi letali e hanno fatto ricorso indiscriminato ad armi non letali come gas lacrimogeni e cannoni ad acqua.
Le forze di sicurezza hanno usato fucili Galil Tavorn il 30 aprile a Cali e armi semi-automatiche il 2 maggio a Popayán. Il 1° maggio a Bogotá sono stati sparati proiettili veri da un blindato.