Foto di Debora Savian
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Le questioni ambientali sono un tema ricorrente nella vostra musica da “Albero” e “La punta dell’iceberg” sul cambiamento climatico, a “Scivola” sul rischio idrogeologico. Da dove nasce il vostro impegno ambientalista?
Sembrerà strano, ma l’attenzione verso questi temi nasce dal nostro corso di studi in Design e comunicazione visiva. Quando si parla di design si pensa spesso a oggetti costosi, sedie nordiche, lampade strane, invece, a Torino era appena nato un corso improntato sul design sistemico e ci siamo resi conto di quanto il mondo sia un luogo delicato e complesso. Amando raccontare i paradossi della nostra società, ci siamo imbattuti nel più grande di tutti: viviamo in un pianeta finito e consumiamo come se le risorse fossero infinite. Da quel giorno molte delle nostre canzoni hanno raccontato diversi aspetti di questo enorme mondo.
In occasione dell’uscita del singolo “Terra” avete radunato 150 persone, a Torino, per comporre la più grande dichiarazione d’amore mai scritta: “Ti amo ancora”, dedicata al nostro pianeta. Qual è il senso di azioni come queste, così come quelle messe in atto dai Fridays for future?
Il senso è quello di contarci, stare, testimoniare la necessità di cambiamento attraverso un’azione corale. La realizzazione della scritta “Ti amo ancora” è stata per noi un momento di creatività condivisa. L’arte ha la capacità di entrare in relazione con l’altro tramite canali emotivi, stimolare nuovi pensieri e, se fatta insieme, alimenta profondamente il senso di appartenenza e la volontà di prendersi cura gli uni degli altri.
In “Amore e rivoluzione” i vostri messaggi si ampliano: dall’ambiente troviamo riflessioni sulla società, le relazioni, gli scontri generazionali, il capitalismo e le politiche economiche. Sentite la responsabilità di veicolare messaggi positivi?
Sentiamo sempre più forte l’urgenza di affrontare la complessità. Conoscere per capire se stessi e il punto di vista degli altri. Siamo circondati da scontri e violenza di ogni tipo. Dai giornali ai social media, fino ad arrivare ai campi di battaglia veri e propri, il conflitto con l’altro sembra essere il metodo più veloce e diretto per darsi una posizione nel mondo. Come se la guerra fosse il modo più veloce per fare la pace. A volte per affrontare questo paradosso ci sediamo in disparte in uno studio silente e in un approfondimento personale, altre volte alziamo la voce per cantare e manifestare il nostro punto di vista ridendo, piangendo, sognando.
Recentemente avete regalato una canzone, “Portami’” ai ragazzi e alle ragazze che vivono sull’isola di Lampedusa. Dall’incontro con la vostra musica è venuto fuori un video. Come è nata l’idea?
L’idea è quella di riconoscere la bellezza che qualsiasi luogo ha da offrirci. Vogliamo levarci di dosso tutti i pesi che ci affaticano e le proiezioni che ci distraggono dal qui e ora. La canzone è stata ispirata dalla storia della conchiglia. Quando un granello di sabbia le entra per errore dentro, lei cerca di sbarazzarsene. Lo vorrebbe cacciar fuori a tutti i costi, perché è un corpo estraneo e le dà fastidio. Il granello in qualche modo rappresenta le nostre paure, le nostre insicurezze. Solo quando la conchiglia accetta e accoglie i propri guai, quei granelli di sabbia si trasformano in perla. Con la cura e la pacifica convivenza, quei nei che ci infastidiscono, diventano i nostri più autentici tratti distintivi.
Articolo a cura di Francesca Corbo, ufficio del portavoce, per il numero 3 del trimestrale I Amnesty.