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In un rapporto pubblicato in occasione del secondo anniversario della ‘rivoluzione del 25 gennaio’, Amnesty International ha chiesto alle autorità egiziane, se vorranno affrancarsi dall’era di violazioni dei diritti umani di Hosni Mubarak, di garantire indagini indipendenti ed efficaci sulla morte di centinaia di manifestanti a partire dall’inizio del 2011.
Il rapporto, intitolato ‘Impunità dilagante: ancora nessuna giustizia per i manifestanti uccisi nella ‘rivoluzione del 25 gennaio”, descrive le carenze delle indagini e dei procedimenti a carico dei responsabili della morte di almeno 840 persone, uccise nel corso delle proteste che posero fine a 30 anni di governo repressivo di Mubarak e portarono alla prima elezione di un presidente civile in Egitto. Almeno altre 6600 persone vennero ferite nelle manifestazioni, brutalmente soppresse dalle forze di sicurezza.
Da quando il presidente Mohamed Morsi è salito al potere, almeno 12 persone sono morte durante le proteste. Dieci di loro sono morte nella notte tra il 5 e il 6 dicembre 2012, durante scontri tra sostenitori e oppositori del presidente Morsi, quando le forze di sicurezza non sono intervenute per proteggere i manifestanti dalle violenze e dalle aggressioni.
Secondo le informazioni raccolte da Amnesty International, durante la rivolta del 2011 le forze di sicurezza usarono gas lacrimogeni, cannoni ad acqua, fucili da caccia e proiettili letali per fronteggiare manifestanti che, nella maggior parte dei casi, non costituivano alcuna minaccia.
Nessun alto funzionario o agente delle forze di sicurezza è stato condannato o punito adeguatamente per aver ucciso o ferito i manifestanti.
‘Il presidente Morsi ha ripetutamente onorato la memoria di coloro che persero la vita nella ‘rivoluzione del 25 gennaio’. Eppure, ben poco è stato fatto per assicurare i responsabili alla giustizia. Due anno dopo la rivolta, le forze di sicurezza sembrano farla franca’ – ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vicedirettrice del Programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International. ‘Non garantendo la punizione dei responsabili, il presidente Morsi non si distanzia granché dai precedenti decenni’.
I tribunali egiziani continuano ad assolvere alti funzionari ed altri membri delle forze di sicurezza, in alcuni casi per mancanza di prove oppure perché si giudica che gli imputati abbiano agito per autodifesa, nonostante evidenti prove che la polizia avesse fatto ricorso a una forza eccessiva e letale sebbene non strettamente necessario.
Il verdetto di colpevolezza contro l’ex presidente Hosni Mubarak e l’ex ministro dell’Interno Habib El Adly, per complicità nell’uccisione di manifestanti, è stato annullato il 13 gennaio dalla Corte di cassazione, che ha così aperto la strada a un nuovo processo.
Secondo i familiari delle vittime e gli avvocati sentiti da Amnesty International, molte assoluzioni e molte archiviazioni prima del processo sono dovute a carenze nella fase di acquisizione delle prove, tra cui immagini filmate, autopsie ed altri referti medici; in molti casi, le prove balistiche non sono state esaminate dalle giurie o neanche messe a loro conoscenza.
Altre informazioni fondamentali come le registrazioni delle telefonate tra funzionari della sicurezza, i registri degli agenti impiegati sul campo e delle armi e delle munizioni fornite alle forze di sicurezza, non sono state messe a disposizione dal ministero dell’Interno.
Inoltre, il fatto che agenti di polizia abbiano preso parte alle indagini ha evidenziato il timore che questi abbiano potuto celare prove o nascondere informazioni al fine di evitare l’incriminazione di loro colleghi e delle istituzioni di appartenenza.
Poco dopo aver assunto il potere nel giugno 2012, il presidente Morsi ha istituito una commissione d’inchiesta sulle uccisioni e i ferimenti di manifestanti avvenuti prima del suo insediamento. Egli ha inoltre nominato un nuovo procuratore generale che ha promesso di svolgere nuove indagini e processare da capo gli imputati assolti per le uccisioni di manifestanti se fossero emerse nuove prove a loro carico.
Ai parenti dei manifestanti uccisi sarebbe stato chiesto di presentare nuove prove. Molti testimoni hanno subito intimidazioni.
‘La creazione di una commissione d’inchiesta è stata un primo passo avanti ma, perché sia giudicato veramente un fatto positivo, occorrerà che le sue conclusioni siano rese pubbliche e vengano affrontare le carenze delle indagini. Le vittime, e la società nel suo complesso, hanno il diritto a conoscere la piena verità’ – ha commentato Sahraoui.
‘Il presidente Morsi deve tradurre le sue promesse in fatti e dimostrare la forte volontà politica di arrivare alla giustizia per le violazioni dei diritti umani commesse contro i manifestanti, assicurando che chiunque si trovi lungo la catena di comando, a prescindere dal rango e dall’affiliazione politica, sia chiamato a rispondere. Solo allora, egli potrà rompere col passato ed evitare ulteriori uccisioni di manifestanti’ – ha concluso Sahraoui.
FINE DEL COMUNICATO Roma, 24 gennaio 2013
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