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Alla vigilia del dibattito parlamentare sull’inserimento delle norme d’emergenza nella Costituzione della Francia, Amnesty International ha denunciato che misure sproporzionate, tra cui irruzioni notturne nelle abitazioni e obblighi di residenza assegnata, hanno calpestato i diritti di centinaia di uomini, donne e bambini, provocando traumi e stigmatizzazione.
Il rapporto, intitolato ‘Vite sconvolte. L’impatto sproporzionato dello stato d’emergenza in Francia’, rivela come, dalla dichiarazione successiva agli attacchi di Parigi del 13 novembre 2015, siano state condotte 3242 perquisizioni di abitazioni e imposti più di 400 ordinanze di obbligo di residenza.
La maggior parte delle 60 persone intervistate da Amnesty International ha dichiarato che questi provvedimenti sono stati eseguiti con poca o nessuna spiegazione e talvolta con l’uso eccessivo della forza. Una donna ha riferito che agenti di polizia armati hanno fatto irruzione nella sua abitazione in piena notte, mentre stava dormendo sola col suo figlioletto di tre anni. Altre persone hanno raccontato di aver perso il lavoro a causa dello stigma derivato dalla perquisizione.
‘I governi possono usare misure eccezionali in circostanze eccezionali, ma devono farlo con cautela. Ciò cui stiamo assistendo in Francia è un aumento dei poteri esecutivi, con scarsi controlli sul loro uso, che ha dato luogo a tutta una serie di violazioni dei diritti umani. È difficile comprendere come le autorità francesi possano sostenere che si tratta di una risposta proporzionata alle minacce che affrontano’ – ha dichiarato John Dalhuisen, direttore del programma Europa e Asia centrale di Amnesty International.
Molte delle persone intervistate da Amnesty International, che hanno iniziato a svolgere ricerche poco dopo l’inizio dei tre mesi di stato d’emergenza, hanno dichiarato che non è stata fornita loro quasi alcuna informazione su come potessero essere coinvolti in una minaccia alla sicurezza. I documenti dell’intelligence nei loro confronti contengono scarse informazioni a sostegno della tesi accusatoria. In tanti stanno cercando di ricorrere contro le restrizioni loro imposte.
Ivan, titolare di un ristorante nella periferia parigina, ha raccontato dell’irruzione fatta a novembre da 40 agenti, pesantemente armati, nel suo locale in cui si trovavano 60 clienti.
‘Hanno intimato a tutti di mettere le mani sul tavolo, poi hanno perquisito ovunque per 35 minuti. Hanno buttato giù tre porte, nonostante gli avessi detto che avevo le chiavi e potevo aprirgliele, ma mi hanno ignorato. Quello che mi sconvolge è che, sulla base dell’ordinanza di perquisizione, ritenevano che nel mio ristorante si fossero trovate persone che costituivano una minaccia alla sicurezza. Tuttavia, non hanno controllato i documenti di nessuno’.
Nei confronti di Ivan non c’è stato alcun provvedimento giudiziario.
Le misure d’emergenza hanno avuto un impatto notevole sui diritti umani delle persone coinvolte. Quasi tutte hanno ancora episodi di stress e di ansia. Alcune hanno perso il lavoro.
Il 4 dicembre 2015 l’abitazione di Issa e di sua moglie, Samira, è stata perquisita sulla base del non meglio precisato sospetto che l’uomo fosse un ‘radicale islamico’. Sebbene nei suoi confronti non sia stata avviata alcuna indagine penale, la polizia ha copiato tutti i dati del suo computer, gli ha ordinato di non uscire di notte, di presentarsi tre volte al giorno in una stazione di polizia e di non lasciare la città in cui vive. Ha dovuto lasciare il lavoro di spedizioniere e ha destinato la maggior parte dei suoi risparmi alle spese legali. Le persone intervistate da Amnesty International hanno raccontato che le perquisizioni delle loro abitazioni hanno causato paura, stress e altri problemi di salute.
‘Non riesco più a dormire bene, se qualcuno parla a voce alta inizio a tremare’ – ha detto Fatima, dopo che la polizia armi in pugno ha fatto irruzione nella sua abitazione in piena notte mentre stava dormendo sola col figlioletto di tre anni.
La maggior parte delle persone intervistate da Amnesty International ha dichiarato che le attuali misure d’emergenza vengono attuate in modo discriminatorio, prendendo specificamente di mira i musulmani, spesso più sulla base della loro fede o delle loro pratiche religiose che di prove concrete di comportamenti criminali.
Parecchie moschee e sale di preghiera sono state chiuse dopo gli attacchi di Parigi. A Lagny-sur-Marne, nei pressi di Parigi, una moschea è stata chiusa nonostante secondo un rapporto di polizia non vi fosse ‘alcun elemento per giustificare l’apertura di un’inchiesta’.
‘Se hanno delle accuse nei confronti di una o due persone, perché non se la prendono direttamente con loro? Perché prendono di mira un’intera comunità? Ora a Lagny-sur-Marne circa 350 musulmani non hanno più un posto dove pregare’ – ha dichiarato il capo della moschea chiusa e di tre organizzazioni sciolte dalle autorità.
Le misure d’emergenza introdotte in Francia sono state pagate a caro prezzo in termini di diritti umani ma hanno prodotto pochi risultati concreti, mettendo dunque in discussione la proporzionalità di tali misure. Secondo fonti giornalistiche, le 3242 irruzioni in abitazioni private eseguite nell’ultimo mese hanno dato luogo a sole quattro indagini penali per reati di terrorismo e a 21 indagini sulla base delle vaghe disposizioni in materia di ‘apologia del terrorismo’. Altre 488 indagini risultano non collegate a sospetti di terrorismo.
‘È fin troppo facile fare proclami generali su una minaccia riferita al terrorismo che richiede l’adozione di poteri d’emergenza. Il governo francese deve dimostrare la necessità della permanenza in vigore dello stato d’emergenza e il parlamento deve considerare questa tesi con attenzione. Anche se la convalidasse, dovrebbero essere ripristinate garanzie concrete per impedire l’uso incline all’abuso, sproporzionato e discriminatorio delle misure d’emergenza’ – ha concluso Dalhuisen.