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Amnesty sollecita gli stati membri delle Nazioni Unite a chiedere il rilascio delle difensore dei diritti umani in Arabia Saudita
Amnesty International ha sollecitato gli stati membri delle Nazioni Unite a prendere posizione nei confronti delle violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita, attraverso l’adesione a una dichiarazione del Consiglio Onu dei diritti umani sulla repressione degli attivisti e delle attiviste, compreso un gruppo di difensore dei diritti umani che sono state torturate e sottoposte a violenza sessuale.
Questa importante dichiarazione, prevista giovedì 7 marzo durante la sessione del Consiglio Onu dei diritti umani, dovrebbe riguardare l’uso delle norme anti-terrorismo per criminalizzare chi esercita pacificamente il diritto alla libertà di espressione e di manifestazione e l’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi.
“L’iniziativa del Consiglio dei diritti umani offre una rara opportunità agli stati per prendere una forte posizione pubblica contro il lungo elenco di violazioni dei diritti umani in Arabia Saudita. Gli stati che resteranno in silenzio rischiano di venir meno alle loro responsabilità in un momento cruciale e di inviare alle autorità saudite il messaggio che potranno continuare a compiere gravi violazioni dei diritti umani senza che nessuno le chiami a risponderne”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord.
“Chiediamo agli stati, soprattutto quelli alleati all’Arabia Saudita, di usare questa dichiarazione per sollecitare il rilascio immediato e incondizionato delle difensore dei diritti umani e di altre persone in carcere solo per aver criticato le autorità”, ha proseguito Morayef.
In quanto stato membro del Consiglio Onu dei diritti umani, all’Arabia Saudita è richiesto di mantenere i più alti standard di promozione e protezione dei diritti umani. Tuttavia, questo governo ha sistematicamente ignorato le raccomandazioni relative all’agghiacciante situazione dei diritti umani nel paese.
La settimana scorsa l’Ufficio della procura ha annunciato la chiusura delle indagini nei confronti di un gruppo di difensore dei diritti umani in carcere senza accusa né processo dal maggio 2018, annunciando il loro prossimo rinvio a giudizio.
Le accuse mosse nei loro confronti sono le stesse che, secondo la procura saudita, le donne avrebbero riconosciuto nelle confessioni lo scorso anno.
Molte delle donne incriminate sono state sottoposte a torture e violenza sessuale nei primi tre mesi dall’arresto, un periodo nel quale non hanno potuto avere contatti con familiari e avvocati. Tra di esse figurano Loujain al-Hathloul, Eman al-Nafjan, Aziza al-Yousef, Samar Badawi, Nassima al-Sada, Shadan al-Anezi e Nouf Abdulaziz.
“Le autorità saudite hanno una tragica reputazione in quanto a equità dei processi. In attesa del rilascio delle donne in carcere, l’Arabia Saudita dovrebbe consentire con la massima urgenza a organismi indipendenti di monitoraggio d’incontrare le detenute per indagare sulle loro scioccanti denunce di tortura”, ha commentato Morayef.
Le autorità saudite hanno ripetutamente respinto queste denunce.
L’uccisione del giornalista Jamal Khashoggi è un altro emblematico esempio di fino a che punto le autorità saudite sono disposte ad arrivare per stroncare il dissenso pacifico.
Il governo saudita ha inoltre introdotto gravi restrizioni alla libertà d’espressione, di associazione e di manifestazione pacifica, ha fatto arrestare difensori dei diritti umani, leader religiosi e dissidenti e chiesto l’esecuzione di attivisti e personalità religiose che stanno affrontando processi irregolari. Nonostante alcune timide riforme le donne continuano a subire una discriminazione di sistema, tanto nella legge quanto nella prassi attraverso il repressivo sistema del tutore maschile.
“La comunità internazionale ha il dovere di chiamare l’Arabia Saudita a rendere conto della tetra situazione dei diritti umani. Gli stati membri del Consiglio dei diritti umani hanno la precipua responsabilità di assumere un’azione forte e collettiva come primo passo per spingere l’Arabia Saudita a rispondere di questa sequela di tremende violazioni dei diritti umani”.
Roma, 6 marzo 2019
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